La mostra allestita all'ospedale degli Innocenti sui dieci progetti
per la nuova stazione dell'alta velocità di Firenze, ha creato un'insolita
e gradevole atmosfera, un'occasione di confronto e di respiro
internazionale per una città che sembra risvegliarsi dal letargo. Ma non
solo. Ha consentito di estendere al pubblico, il lavoro svolto dalla
giuria nella scelta di un importante progetto urbano. Giuria, è bene
ricordarlo, presieduta da Gae Aulenti e costituita da: Pio Baldi,
Francesco Dal Co, Carlo De Vito, Gianni Colantoni, J.P. Kleihues, Stefano
Reggio, J. Sondergaard, Marco Tamino. Com'è noto, il progetto vincitore
è quello dell'architetto inglese Norman Foster seguito da Arata Isozaki,
Santiago Calatrava e al quarto posto dal gruppo italiano capeggiato da
Ricci & Spaini. Svisceriamone in breve i contenuti e i singoli
apporti, anche alla luce di quanto espresso dal bando di concorso, il
quale fornisce un'indicazione, a mio avviso, vertebrante: (tratto dal
bando di concorso) "il piano del ferro della stazione Alta Velocità sarà
collocato a 25 m sotto il piano di campagna e attraverserà un camerone
lungo 454 m e largo 52 m, collocato parallelamente ai binari." Questa
precisazione tecnica fornisce una chiave di lettura pregnante e
inequivocabile: la profondità del piano del ferro rispetto a quello di
campagna, in un lotto stretto e lungo, consente un'intelligente messa a
punto d'espedienti atti a scandire e dinamizzare trasversalmente
l'isolato. In sostanza, la sezione trasversale acquista una forza
spazialmente generatrice, giacché occorre portare luce, vita, e spazio a
25 m sotto terra. In generale, quasi tutti i dieci progetti hanno
ri-proposto un'idea (in realtà un'immagine) per certi versi tradizionale
della stazione: la grande e lunga galleria d'origine ottocentesca. Il
progetto di Norman Foster + Arup, sfrutta sostanzialmente quest'idea. La
grande e luminosa galleria, adibita a centro commerciale, mediante sei
tagli triangolari inferti ai solai, rovescia luce ai piani sottostanti,
mentre una serie di passerelle, apparentemente librate nel vuoto, assieme
a lunghe scale mobili scandiscono regolarmente lo spazio interno. La
maestosa galleria interamente vetrata e a sezione circolare è strutturata
mediante costoloni incrociati in acciaio, che intersecandosi lungo tutta
la superficie, creano una sorta di guscio squamoso, concluso alle due
estremità da spericolati e acuminati sbalzi. Tale soluzione, grazie alla
suddivisione in pannelli romboidali regolabili, garantisce inoltre ottime
prestazioni tecniche, come la deviazione dei raggi solari e un efficace
ricambio d'aria, evitando così sofisticate apparecchiature di estrazione.
In sostanza un prodigio tecnologico spazialmente poco articolato, il cui
merito consiste nell'aver attualizzato tecnologicamente una tipologia
sperimentata. Molto simile la proposta di Santiago Calatrava. Una lunga
galleria vetrata, leggermente incurvata e generata dall'intersezione di
sottili nervature. Anche in questo caso la copertura si sbilancia verso le
due estremità, soverchiando due piazze d'ingresso opposte (su Viale
Belfiore e su Via Circondaria) con sbalzi sorprendenti, slanciati e
accompagnati da profili curvi terribilmente tesi: una grande bocca aperta
che risucchia dentro il viaggiatore. Lateralmente, la galleria si estende,
slabbrandosi (con un altro sbalzo), ad una terza piazza, fino a coprirne
le scale d'ingresso. Lo spazio interno racchiuso dalla galleria, tuttavia
non coinvolge la profondità della sezione, cosicché scendendo di quota la
galleria perde forza fino a diventare invisibile all'altezza delle
banchine. Rimane costante ad ogni piano la raffinata, elegante, spesso
lirica struttura che, nella sua ossessiva serialità, congela lo
spazio. Tipologicamente simile, ma formalmente diversa e più originale,
la galleria proposta da Arata Isozaki. Una lastra sottile, pulita,
tagliente, lunga 400 m e poggiante su quattro nuclei strutturali trattati
come elementi terrosi, ramificati, a sezione curvilinea e rivestiti da
pannelli d'acciaio sagomati. Esteticamente il contrasto tra la semplicità
della lastra di copertura e il trattamento irregolare, quasi inaspettato
dei sostegni, rischia d'essere eccessivo e per certi versi ridondante.
Tuttavia traspare la volontà vulcanica di stravolgere la tipologia
consueta, contorcendo le membrature strutturali secondo forme dettate in
buona parte da esigenze di carico e ricavate usando uno dei software di
calcolo attualmente più innovativi. Spazialmente, la parte centrale
diventa un unico volume tagliato da due passerelle che attraversano
trasversalmente l'isolato, mentre alla quota delle banchine niente rimane
percettibile: un massiccio solaio ne preclude la continuità spaziale e
luminosa. I tre progetti sopra analizzati, propongono ardite soluzioni
tecniche, sfruttando articolazioni funzionali e distributive diverse,
parlando linguaggi diversi, ma sforzandosi di rinsanguare una tipologia di
dichiarata matrice ottocentesca, tralasciando spesso il coinvolgimento
spaziale per l'intera profondità della sezione, pur di non rinunciare al
pesante e grandioso impatto urbano sulla città. Tale atteggiamento
concettuale, anche se risolto con soluzioni moderne di ragguardevole
interesse tecnologico-strutturale, preclude aprioristicamente la messa in
discussione e la rielaborazione del tema proposto. Il gruppo italiano
capeggiato da Ricci & Spaini, propone una soluzione inedita per una
stazione ferroviaria. Non solo mettendo in discussione la tipologia
ottocentesca, ma negando l'idea stessa di edificio, sfasciando con
coraggio l'immagine di volume da inserire all'interno del contesto urbano,
di facciata, di blocco statico e tecnologicamente ardito, rovesciando la
metodologia consueta per aggiornarne i contenuti, rielaborandoli
attraverso un'estetica di rottura. Non un nuovo edificio ma un nuovo parco
atto a simboleggiare il passo in avanti, il cambiamento della Firenze
contemporanea. Un tale approccio impone anche di ribaltare la chiave di
lettura: non una sezione trasversale da riempire e articolare, ma una
sezione da scavare, svuotare, plasmare. Il progetto è costruito con la
logica della città, dei vuoti urbani e non coi forti segni
planivolumetrici, ai quali siamo abituati e ai quali attribuiamo spesso
poteri illusori, immaginari e formali di ricongiunzioni tra parti
sconnesse. La paesaggistica diviene dunque fattore vertebrante l'intero
progetto. Niente gallerie, niente vetrate, niente sbalzi, niente altezze
sovraumane. Solo una collina, che descrive lo sfondo paesaggistico della
città. Internamente lo spazio è dinamico, le superfici dei solai
intermedi, punteggiante da tagli, riseghe, cesure, generano, nella
sovrapposizione, una continuità spaziale travolgente, enfatizzata da tre
grandi camini luminosi che investendo vorticosamente i piani intermedi,
collegano il camerone al parco verde soprastante. Il gioco è fatto: le
sezioni trasversali, diversificate lungo tutto l'isolato (più di 400 m),
sono spazialmente coinvolte per tutta la profondità, fino alla quota di
banchina. Quest'accorgimento, provoca nel viaggiatore appena arrivato a
Firenze, un impatto violento ma immediato e affascinante, con l'intera
spazialità dell'edificio-scavo, enfatizzata da una trama di passaggi
sospesi che, articolandosi e avvitandosi all'interno dei camini luminosi,
generano un flusso ascensionale di passeggeri, cui fa riscontro una
cascata traboccante di luce. I camini luminosi diventano così tre eventi
propulsori che, rovesciando il consueto rapporto dentro-fuori
verticalmente, consentono alla quota delle banchine la vista del cielo.
Lo spazio interno si articola dunque su uno schema che, unendo i due
accessi opposti (su Viale Belfiore e su Via Circondaria) con un percorso a
"corda molla", sembra ricalcare la dolcezza complessa del parco verde
soprastante, attraverso una dialettica d'agevoli passaggi di quota,
d'esplosioni luminose, di pressioni e risucchi, che vertebrano i
vuoti. Quanto detto attiene ad un'analisi spaziale del progetto, ma non
tiene conto di un altro aspetto, ritenuto fondamentale dai progettisti e
in perfetta sintonia con l'approccio paesaggista, di cui la stazione si
caratterizza: la galleria dei treni sottofalda. In breve, "la
realizzazione di un sistema di grandi gallerie a struttura idrostatica,
con una membratura a doppia curvatura che resiste alle pressioni del
terreno, ove galleggiano in immersione", evitando che il camerone
realizzato sottoterra, a quota di circa 26 m, possa impedire il passaggio
della falda acquifera sotterranea di Firenze. Diminuendo quindi il rischio
idro-geologico causato da eventuali deviazioni artificiali della falda,
deviazioni o restrizioni che saranno realizzate per il progetto
vincitore. Quest'ultima proposta costituisce il tassello mancante per
comprendere la forza dell'intero progetto: rivoluzionario nell'impatto
urbano, pregnante nello scavo del volume, attento nel riutilizzo del
terreno estratto per la stratificazione del parco, travolgente e dinamico
nell'organizzazione spaziale, esplosivo nel dosaggio dei tre vortici
luminosi, intelligente e preventivo nell'utilizzo di tecnologie
ambientalmente utili, economico sotto l'aspetto realizzativo. Ma la
giuria conclude "infine, un particolare cenno di interesse la discussione
in seno alla giuria, lo ha riservato al progetto del gruppo capeggiato
dagli architetti Ricci e Spaini, che hanno proposto, con intento
educatamente polemico di "mimetizzare" i volumi della nuova stazione sotto
un involucro naturalistico, che si avvale, però, di raffinate soluzioni
strutturali." Tale verdetto emesso con superficialità è sintomatico
della scarsa considerazione attribuita in Italia all'innovazione
tipologica, alla sperimentazione e soprattutto alla paesaggistica, grazie
alla quale, il progetto capeggiato da Ricci e Spaini, tenta di proporre
una nuova tipologia insediativa all'interno della città contemporanea.
Dopo lo stupro praticato da Leon Krier al gran parco verde di Novoli,
ideato dal paesaggista americano Lawrence Halprin, il progetto Ricci e
Spaini tenta, in forma molto ridotta ma assai più coraggiosa, di
rilanciare la sfida. Purtroppo con poco successo. Una scelta poco
coraggiosa, dunque, quella della giuria. Giovanni
Bartolozzi
©copyright archphoto 2003-Giovanni Bartolozzi-
TAV Si ringrazia l'ufficio stampa della mostra per la concessione delle
immagini
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