I Ciclo: L'impatto
dell'informatica nella città e nella ricerca architettonica contemporanea.
Il World Wide Web
11/03/2002
Approfondimenti a cura degli StudentiRivoluzione Informatica in ArchitetturaA. Il concetto Marsupiale dell'Informazione
Segui questo Intervento di A.S. (attenzione 8,5 mega)
B. Architettura come Informazione
C. Concetti derivati dalla Pubblicità
D. Il concetto di Modernità
E. La sfida per l'architettura
Kiasma Holl
To DO:
Leggi La Via dei Simboli
Edoardo Pinto
Da: "Edoardo" <epinto@tiscalinet.it>
A: "Antonino Saggio" <Antonino.Saggio@uniroma1.it>
Oggetto: caad2002
Data: Mar, 12 mar 2002 23:38
METAFORA DELLA METAFORA
Mentre leggevo l'articolo pensavo all' Opera House e al museo
Guggenheim,arrivato alla quinta pagina la frase "...che l'architettura
trascini emotivamente" mi ha fatto focalizzare l'attenzione sul modo in
cui cambia il mio pensiero su un'architettura dopo averla vissuta....
Cosi l'opera di Utzon (vista solo nei libri) diventa facilmente un'arancia,
mentre il museo di Gehry per essere descritto ha bisogno di un'immagine
che racconti,in piu, un'emozione. La sensazione è di quelle che
si possono provare immersi in un elemento della natura , il ventre della
balena. ...in questo caso la metafora della metafora è piu difficile
da trovare!
No così
no
Quando dico
scegliere un brano, "virgolettarlo" e partire da quello per il commento
e l'approfondimento vi indico una disciplina indispensabile per crescere
e far crescere.
AS
vedi sotto
>Da: ANONIMO
>A: antonino.saggio@uniroma1.it
>Oggetto: La nuova architettura
>Data: Mer, 13 mar 2002 13:06
>
> ''la nuova architettura è
l'arte dell'età dell'elettronica elettronica ,cioè
del computer dell'informatica.E'l'elettronica
è caratterizzata da tre parole
chiave : proiezione
, simulazione,mutazione .'
Proiettare ,mutare
e simulare sono parole attraversate da un tema quello
delle figure retoriche
,che hanno uno sviluppo fortissimo proprio nella
scrittura del computer
,creano interconnessioni,un modo di porre in relazione
dati per lanciare messaggi,
per convincere .
I messaggi della nostra
epoca elettronica sono sempre più metaforici e sempre
meno assertivi.
Nel mondo industriale
ogni cosa si presentava per proporsi in maniera oggettiva
,oggi si mandano messaggi
tutti traslati e metaforici (ad esempio nella
pubblicità).Si
compra prima la narrazione,l'utopia di vita che il prodotto
promette,poi la sua
forma ,e si da assolutamente per scontato che esso funzioni.Il
contenitore stravince
sul contenuto. Questo processo di metaforizzazione
investe tutto ai nostri
giorni. Nell'architettura vi è un interiorizzazine
del paesaggio e del
rapporto fra uomo e natura e andando avanti e necessario
considerare l'elettronica
e le interconnessioni.
Gehry nel museo Guggenheim
rappresenta questo nuovo modo di vedere l'architettura
,il suo messaggio ,è
sgombrare come un turbine il campo dell'architettura
da tante superfetazioni
culturali incapaci di generare un ambiente adeguato
ai nostri giorni.Egli
libera il campo e lascia vedere chiaramente quale
è il compito
dell'architetto:creare uno spazio il più liberamente possibile.
Si parla di Ghery
come
di un grande sperimentatore ,aperto e pronto ad assorbire
gli stimoli da qualsiasi
parte essi provengano ;uno che non parte da concezioni
preconfezionate,uno
che ha inserito senza timore nel suo gioco creativo
,le ultime sperimentazione
piene di materialità ,dell'arte moderna in genere;la
Pop Art,la città
di Los Angeles con tutta la sua cultura ,compresa quella
di periferia ,il teatro,la
spregiudicatezza nel costruire plastici utilizzando
i materiali più
diversi,l'uso di programmi avanzati per il computer ,le
tecniche della Visual
Art ecc.
Tratta l'architettura
come un suo interlocutore.Parla dell'architettura
come di un 'organismo
vivente',mettendo in risalto i tratti più caratteristici
della personalità
dall'esterno verso l'interno.
Ghery crea un architettura
in cui siamo indotti a stupirci di fronte a risultati
mai visti prima .
>
>
>
> Bibliografia:Luigi Prestinenza
Puglisi,Hyperarchitettura,Spazi nell?età
> dell?elettronica,Universale
di
>
Architettura,collana diretta da Bruno Zevi.
>
Antonino Saggio,Frank O.Gehry architetture residuali,
> Universale di
>
Architettura,collana diretta da Bruno Zevi.
>
Giorgio Romoli, Frank O.Gehry Museo Guggenheim Bilbao,
> Universale di
>
Architettura,collana diretta da Bruno Zevi.
Feninger Cattedrale
In uno scritto che si chiama New Subjectivity e che è in rete (non le do apposta il link, se lo cerchi se le interessa veramente ) parlo molto più a lungo della faccenda pubblicando il famoso disegno
A presto e comlimenti per la riflessione che è valida
Saggio
----------
Da: "theocharis" <theocharis@tiscalinet.it>
A: "prof Saggio" <antonino.saggio@uniroma1.it>
Oggetto: La Via dei Simboli:
riflessione
Data: Mar, 12 mar 2002 23:24
Leggendo l'articolo sulla Via
dei Simboli mi è venuta in mente la copertina di Feininger per il
primo programma del Bauhaus del 1919.
La "cattedrale del futuro"
(non di titanio o rame ma di vetro) che appariva in copertina stabiliva
evidentemente
un collegamento con l'avanguardia
dell'espressionismo. D'altra parte i disegni di
Mendelsohn, Scharoun, Luckhardt,
la "corona della città" di Bruno Taut, il monumento a Weimar di
Gropius, testimoniano come quella che abbiamo definito simbologia non tautologica
dell'architettura facesse parte del bagaglio di personaggi che poi diventarono
i protagonisti dei CIAM, del funzionalismo ecc.
Evidentemente questo bagaglio non si concretizzò, se non in scala ridotta e con compromessi (vedi torre Einstein), negli edifici realizzati in quegli anni del dopoguerra. Forse un motivo altrettanto importante di quello che veniva postulato (e cioè che avevano problemi più importanti da risolvere) era che mancava l'informazione(tecnologica), per realizzare un Bilbao o un Sidney.(in pratica non c'era Ove Arup o Peter Rice dove rifugiarsi). Oppure era un problema di rapporti tra costi e benefici che ne avrebbe tratto la città di allora.
Quindi una differenza con la "nostra" epoca è che "oggi" l'architettura è in grado di fare riferimento a quella simbologia non tautologica, non solo nella fantasia ma anche nella realtà.
antonio theocharis
"Valentina Vita 2002" <POINT_@libero.it>..
Ho avuto la fortuna di aver
potuto visitare molte delle opere architettoniche piu’significative,di
cui mi appresto a parlare e,penso,sia importante l’esperienza diretta con
esse per comprenderle in modo completo. Forse però, mi manca la
primogenita: Sidney Opera House di Utzon.
Inizierei questo cammino parlando
del Museo Guggenheim di Frank Llyod Wright che,secondo me,va inserito
a pieno titolo nel profilo che lei ha tracciato,sicuramente in chiave minore
rispetto all’originalissima Opera House di Utzon,ma pur sempre un tassello
importante nel nostro discorso. Profondamente organico e avvolgente,il
Guggenheim di New York,ti “inghiottisce”in un mondo tutto suo,dove il connubio
tra contenuto e contenitore e’riuscito al meglio,forse un opera isolata
di Wright ma comunque molto significativa.La stessa sensazione ho avuto
visitando il Museo Guggenheim di Bilbao,molto lontani geograficamente
e cronologicamente ma molto vicini concettualmente,come dice lei,infatti
entrambi grazie ad un <<atrio centrale che spinge il visitatore a
guardare all'insù>>e alla loro verticalità richiamano le
Cattedrali gotiche e la loro riuscita ricerca spaziale. Sicuramente con
la ricercatezza dei materiali e la complessità dei volumi,“la macchina”
di Gehry, e molto più completa ma anche,se posso,caotica e inquietante
(non trasmette sicuramente serenità).Geniale la scelta della posizione
nel contesto urbano,con gli infiniti e diversissimi punti di vista,per
non parlare dell’utilizzo di forme non codificate e la ricercatezza dei
materiali.
In questo quadro come dimenticare
la lezione di Scharoun della Philarmonie di Berlino,apprezzabile sia nella
ricercatezza estetica,che dei materiali ma,soprattutto,nella spazialità
interna,tutta nuova.
In modo diverso definirei,invece,il
Museo dell’Olocausto di Libeskind,vuoi per la particolarità del
tema,vuoi per il coinvolgimento dell’architetto nell’opera, penso sia una
delle opere più riuscite degli ultimi anni. Infatti in essa e’racchiusa
tutta la simbologia e la monumentalita’ del caso.
Sensazioni indescrivibili
quando,dal vecchio Museo,si inizia il percorso obbligato nel nuovo, attraverso
una scalinata che ti porta in basso e non in alto e poi,tutta quella ricercatezza
nell’illuminazione:tutto e’simbolo,tutto e’ pensato,tutto al posto giusto,quasi
impossibile percepire tutto questo in una sola visita. Ancora più
monumentale,senza nessuno oggetto ancora all’interno,il massimo del Simbolismo
e mi riferisco all’importanza del percorso zigzagato,degli spazi a tutta
altezza,alle aperture sulle pareti come se fossero delle ferite inflitte
sulla pelle di un uomo;o anche al giardino e alla torre tanto eloquenti
quanto inquietanti. Insomma,un opera riuscita al 100% importante piu’ per
l’aspetto monumentale-simbolico che funzionale.
Metterei,per esempio,in secondo
piano invece l’opera di Renzo Piano,o meglio del primo Piano e inserirei,invece,in
questo discorso,oltre al Museo della Scienza di Amsterdam,l’Auditorium
di Roma. Importanti,sicuramente, per la riuscita sintonia tra forma e funzione.
Meno legato a questo filone,
o meglio con connotati diversi,e’sicuramente la Casa del Fascio di Terragni
,magistrale nel rappresentare il suo monumetalismo non ricorrendo agli
stereotipi del classicismo,come era invece in uso in quel periodo così
particolare.
Comunque,senza dubbio,tutte
le opere descritte sono state significative e sono mattoni importanti che,
hanno costruito la storia e ci hanno aiutato a capire meglio le lezioni
dei “padri”.
Paola Di Pasquale
Avevo Pensato
a questi temi in una Critica di Architettura mai scritta che metteva a
confronto il Gehry e il Foster limitofi
A presto
Saggio
----------
>Da: alrosel@tiscali.it
>A: Antonino.Saggio@uniroma1.it
>Oggetto: Commento
all'articolo
>Data: Dom,
24 mar 2002 21:15
>
> L'aspetto che lei tratta
dell'architettura come simbolo credo porti direttamente
> il pensiero alla "nuova"
città europea. Esempio immediato è Berlino dove
> la necessità di creare
nuovi simboli e la volontà di raggiungerli in maniera
> consistente per mezzo dell'architettura
ha portato questa città ad una tumultuosa
> corsa alla ricomposizione
del proprio tessuto urbano, alla nuova idea di
> città viva, la "città-cantiere".
Dare di se' un'immagine spettacolare che
> colga ed esibisca
i linguaggi della contemporaneità è alla base dell'ultimo
> progetto per la città
di Ghery. L'edificio per uffici a "Pariser Platz 3"
> è sorto di fianco
alla storica porta di Brandeburgo e costituisce uno degli
> utimi tasselli di un puzzle
che chiude il "grande vuoto" del muro. In un
> luogo quindi dove si è
aperta una nuova sfida "per nuovi simboli" e dove
> per oltre quaranta anni
si è levato un altro simbolo architettonico, quello
> della città divisa,
troviamo un edificio "sorpresa". Interno ed esterno
> competono tra memoria e
innovazione; in particolare l'interno appare "contaminato"
> dalla nuova epoca informatizzata
e quindi già di per sé fortemente contaminata
> dalla facilità di
comunicazione, scambio e di informazione, come lei stesso
> ha detto.
> Ancora architettura simbolo,
se pur a scala diversa, si trova nell'opera
> "mur pour la paix"
di Clara Halter a Parigi. Si tratta di un'installazione
> fortemente
> evocativa che prende il
normale simbolo di divisione e separazione e lo
> tilizza per unire e per
dare un nuovo messaggio.
>
> " Dai geroglifici alle lettere,
la scrittura ha ospitato fino ad oggi il
> supporto essenziale della
civilizzazione umana. L'avvenire dirà se domani,
> con le tecnologie in gestazione,
la parola pace e la memoria si declineranno
> ancora seguendo i due vettori
che ho scelto: la scrittura e internet.?
> Clara Halter
>
> Le scrivo di seguito alcuni
link che spiegano meglio l'idea del progetto
> del muro della pace. Alla
prossima lezione.Alessia
>
> http://www.murpourlapaix.com/site/32l5.html
> http://www.phan-ngoc.com/fred/paris/html/murpaix.html
>Da: <lorisrossi@katamail.com>
>A: antonino.saggio@uniroma1.it
>Oggetto: CAAD2002
>Data: Ven, 22 mar 2002 22:17
Ho trovato molto interessante il paragone da lei suggerito tra l'enorme
edificio costruito a Bilbao da Gehry e le antiche cattedrali del nord Europa
edificate a partire dal XII sec. Il processo costruttivo, ma soprattutto
il valore simbolico accomuna enormemente i due tipi di cantieri che ergendosi
come enormi macchine polivalenti lasciano un segno indelebile nel paesaggio
circostante. A tal proposito vorrei riportare qui di seguito alcuni versi
tratti dal libro "Le radici delle cattedrali" di Roland Bechamann che forse
riescono a spiegare meglio il tipo di accostamento:
"La dimensione delle cattedrali sorpende, poichè molto frequentemente
non ha alcuna proporzione con l'importanza della collettività da
servire.
Si possono menzionare città dove l'intera popolazione riusciva
a stare dentro la cattedrale, e altre dove questo edificio poteva contenere
più di due volte la popolazione urbana. Non bisogna dimenticare
che la cattedrale serviva non soltanto la città, ma anche la regione
circostante, e soprattutto che essa non era destinata semplicemente all'esercizio
del culto e alla preghiera, che permettevano una forte densità per
metro quadrato:sfilate, ricevimenti ufficiali, cavalcate, rappresentazioni
teatrali ecc. vi avevano luogo regolarmente. Non si lesinavano inoltre
le spese per questi edifici, che contribuivano al prestigio della città
e dentro i quali ci si doveva trovare a proprio agio. Non vi erano vincoli
di superficie da rispettare ne limiti massimi di spesa.
La cattedrale, per l'ampiezza della sua superficie in rapporto alla
città da servire, ha qualche analogia con gli anfiteatri e con i
circhi dell'antichità, le dimensioni dei quali, rapportate a dei
nuclei urbani che erano, come si è dimostrato, molto modesti, ci
meravigliano ancora adesso".
Il Suo paragone
tra il museo di Frank O. Ghery a Bilbao e la cattedrale del Medioevo, così
diversi tra loro, ma anche così simili per il ruolo simbolico che
assumono per il loro essere considerati agli occhi di tutti, non solo quelli
di un architetto, dei monumenti, mi ha fatto venire in mente un'immagine
di un monumento, per me molto espressivo, che ho visto su un libro di
"Storia dell'architettura" di Konemann.
Sono molte le
architetture che vengono considerate dei monumenti e credo che ciò
si debba al fatto che queste sono legate a delle risposte architettoniche
a delle crisi che hanno portato dei profondi cambiamenti nel modo di fare
architettura (se ho interpretato bene ciò che Lei stesso ha detto
nella scorsa lezione). Un altro fattore non meno importante che ci permette
di considerare un'architettura un monumento è quando la prima è
carica di significati simbolici. Questo è il caso del Judisches
Museum di Daniel Libeskind a Berlino nel quale si può riconoscere
una stella di David aperta con forza ("decostruita" credo che possa rappresentare
un termine adatto) e che simboleggia la tragedia di un popolo.
Da queste considerazioni
sulle relazioni tra architettura, simbolismo e monumentalismo ho ricordato
questa immagine, a cui prima accennavo, e il ragionamento dell'autore su
come "gli anni Novanta hanno rappresentato il decennio della cultura del
ricordo". In questo periodo sono infatti nati molti monumenti e luoghi
commemorativi, forse per un generale senso di riflessione, portato dall'ingresso
nel nuovo millennio, sul secolo che stava per terminare.
Questo è
il monumento per Walter Benjamin, realizzato dall'artista israeliano Dani
Karavan nel 1994 sul confine franco-spagnolo a Port Bou, ed in particolare
rappresenta un pò il punto d'incontro tra architettura, simbolismo
e monumentalismo, proprio perchè esprime il suo messaggio con elementi
architettonici.
Se non lo conosce
lo descrivo in poche righe: il monumento nasce li dove W. Benjamin si tolse
la vita durante la sua fuga dal nazismo nel 1940, è costituito da
un tunnel in pendenza stretto ed angusto scavato nella roccia e formato
da una stretta scala di gradini in ferro tra pareti di ferro rosso ruggine,
tutto termina bruscamente alla fine dei gradini con una lastra di vetro
oltre la quale c'è solo il mare. L'unica via di fuga è l'abisso.
Se ne vuole
vedere alcune immagini Le dò due link:
http://www.walter-benjamin.org/portbou1.htm
http://www.sv.cc.yamaguchi-u.ac.jp/~kamimura/passage.html
hai davvero il senso della tua stessa presenza; cominciò ad interessarmi l‚idea di rendere lo spettatore presente: l‚idea che l‚Uomo è Presente".
Forse l‚architettura della rivoluzione informatica è come la scultura di Newman, non sta in un luogo, ma designa la località stessa, fonda essa stessa un luogo, è la sospensione dello spazio.
Attraverso la propria capacità comunicativa, le metafore, l‚architettura diventa come un‚arte religiosa che attraverso simboli cerca di cogliere alla radice la verità della vita alla ricerca di quel senso di infinito. L‚architettura si è aperta ad un processo di "osmosi" con la natura nel tentativo di ristabilire un equilibrio perduto.
In quanto figlia del suo tempo non può non sposarsi con le nuove possibilità tecnologiche che come le informazioni nella storia della mela fatta a lezione stanno contando sempre di più all‚interno di un progetto. Proprio grazie a queste anche l‚edificio vive un processo di dematerializzazione che gli consente di aprirsi ai nuovi valori.
Concludendo penso che con le moderne opere architettoniche si cerchi di trasportare l‚individuo verso una nuova dimensione della globalità che esorcizzi il quotidiano e susciti una sensazione di assoluto, quella stessa che si prova nell‚abbracciare il mondo con un clic.
Gabriele Chieppa
e-mail: brio_75@yahoo.it
Gabriele Chieppa
e-mail:brio_75@yahoo.it <mailto:brio_75@yahoo.it>
Saggio
----------
>Da: "adele77@inwind.it"<adele77@inwind.it>
>A: antonino.saggio@uniroma1.it
>Oggetto: 2002 CAD
>Data: Mar, 12 mar 2002 23:53
>
> Ho l'impressione che in questa tensione rappresentativa gli Americani
siano
> "avvantaggiati" dalla loro cultura dell'immagine, e dal loro pensare
in
> grande...probabilmente, però gli rimane anche molto più
facile cadere da
> quel filo che rappresenta il "giusto mezzo" fino allo scadere nel
> pacchiano, <fatto troppo>. La "M più grande di Miami" -Miami,
Magia,
> Metropolitana- (Casabella N° 654) dei "r & r studios"
vuole essere un
> <concetto di arte negli spazi pubblici dal punto di vista dell'architettura
> intesa come arte pubblica per eccellenza>, è sicuramente un'immagine
> evocativa, un'icona dotata di grande capacità narrativa, ma
è architettura?
> In questo caso la comunicazione entra nelle fibre dell'architettura,
o è
> solo scenografia????? Adele Bonaduce
Architettura che si fa grafica
L'architettura come simbolo.Cambia il concetto di "funzionalità" dell'architettura.
Nel'architettura passata (anche se non da molto) per funzionalità
architettonica si intendava il perfetto adempimento di ogni spazio progettato.
La nuova e ormai consolidata tendenza è quella di considerare
il termine "funzionalità" come un insieme di elementi che spesso
superano i confini del monumento stesso, dando forma ad un concetto che
racchiude tanti aspetti formali.
Esempio fondamentale è il Museo Guggenheim di Gehry che pur
non assolvendo a tutte le funzioni razionali e spaziali è certamente
funzionale alle esigenze progettuali che hanno voluto un monumento "simbolo"
efficace in tutti i suoi aspetti.
Il rischio (se di rischio si può parlare) è quello di
vedere in futuro un'architettura che sia funzione di se stessa o una "progettazione
funzionale al disegno". Come esempio valido si può assumere il design
di www.designgraphik.com <http://www.designgraphik.com> (imm.
allegata) che utilizza l'architettura come mezzo espressivo e dove si nota
l'utilizzo della "architettura funzionale al design", cioè un'architettura
che ha come unico scopo l'affermazione di se stessa.
Luigi Valente
"Benedetta Vita 2002" <cube_@libero.it>
Leggendo il suo articolo ho maturato alcune riflessioni sul difficile
concetto di simbolo nell'architettura, la cui rinascita Lei ha attribuito
ad Utzon nell'Auditorium di Sidney.
A mio parere il simbolo non si è mai perso ma è
sempre stato prerogativa di ogni architetto nel momento in cui si confronta
con progetti di grande scala o d'importante impatto sociale. Ma dire se
un'architettura sia veramente simbolica e rappresentativa è un processo
che avviene a posteriori , ad opera finita e "collaudata", in base alle
impressioni esercitate su chi usufruisce dello spazio creato, e poiché
ogni persona è diversa dall'altra si svilupperanno diverse impressioni
e differenti modi di interpretare quello spazio.
Provando a chiedere a chi non sia del campo cosa ne pensasse
dell' auditorium di Sidney, la maggior parte ne ha colto principalmente
la connessione vele - mare ma solamente abitudine e tempo hanno giocato
un ruolo importante nell'associare quest'architettura particolarissima
alla città di Sidney e quindi all'Australia. La stessa Tour Eiffel
di Parigi era stata concepita come simbolo di progresso tecnologico e delle
grandi capacità del ferro, successivamente è divenuta caratteristica
ineludibile del paesaggio cittadino di Parigi. Il museo di Bilbao, essendo
più recente, è ancora visto da molti come mera scultura ricostruibile
in altri luoghi, e non come espressione della città spagnola
nel suo insieme.
L'architettura contemporanea non è più soggetta
a vincoli imposti da governi o mecenati e gli architetti sono liberi di
esprimersi con il loro personale linguaggio ma in ogni modo sottomessi
a regole e budget economici imposti, sottovalutando, a volte, il valore
dei siti e delle destinazioni dell'opera, dando l'impressione di discontinuità
e di perdita di identità nell' architettura odierna. Ma forse una
connessione di fondo che lega le nuove opere c'è , è la rete
globale che si è sviluppata con la rivoluzione scientifico-informatica
e che investe l'architettura su vari livelli . La rete si può riconoscere
nella particolare attenzione odierna alla finitura degli edifici con materiali
e connessioni tra elementi studiati con estrema precisione, oppure nelle
connessioni tra gli spazi di un edificio con le maglie strutturali
e infrastrutturali della città cui si allacciano (come succede a
Bilbao, per esempio), o ancora nel ruolo di punti nodali per la diffusione
di
pu
Questo filo conduttore che caratterizza le architetture di oggi
mi sembra sempre più forte e complicato, basato sulle nuove economie
che regolano la società contemporanea e sull' evoluzione scientifico-informatica.
Nell'architettura contemporanea quando un edificio riesce ad esprimere
e a rendere evidente, anche a persone comuni, questa rete che coinvolge
tutti, diventa un bell' edificio, rappresentativo non solo della città
in cui si trova ma anche di un preciso stadio dell'evoluzione umana, se
poi la sua espressività perdura e rimane al passo con il pensiero
dell'uomo affermandovisi con forza, diviene anche un simbolo inalterabile
e subito riconoscibile come pietra miliare di cui si dovrà tener
conto nelle architetture successive.
Da: "alessandra" <ciccottandra@libero.it>
A: <antonino.saggio@uniroma1.it>
Oggetto: La cyber architettura e le concatenazioni emozionali..............
Data: Mer, 13 mar 2002 9:39
L'architettura contemporanea, partendo da un certo modernismo
e postmodernismo, sempre più rifiutandone la maniera, demotivata
e occludente, sta divagando in tutte le direzioni della differenzialità.
E' un architettura "multiculturale"che, attraverso una sofisticazione
degli strumenti culturali e tecnici, mostra i disagi ambientali, gli spaesamenti,
le incertezze di identità della società in cui vive.
L'architettura si sta mettendo a disposizione del caos.
La paura profetizzata da Victor Hugo, quando temeva che il libro distruggesse
il ruolo dell'architettura, sembra essere stata esorcizzata,come una nuova
cattedrale gotica, ricca di simboli e sublime stupore, essa è risorta
dalle sue ceneri, incarnandosi e vestendosi di "comunicazione", per palesare
il nuovo sentire comune.
Oggi l'architettura contemporanea, mentre ripercorre con maggiore proprietà
e adeguatezza tecnologica le astrazioni, semplificazioni, ancora prevalentemente
stilistiche del razionalismo e di altre tendenze del movimento moderno,
sta affrontando un'inedita fase di sperimentazione innovativa, che è
in rapporto con la terza rivoluzione industriale, ma più esattamente
con le novità tecnico- scientifiche dell'elettronica, del controllo
delle condizioni ambientali, delle ingegnerie biologiche e genetiche, dello
sviluppo dell'informazione.
Le tematiche dell'androide o del cyborg, nipote di Frankenstein,
estremizzano quella che è soprattutto una mutazione antropologica.
Il corpo dell'architettura si modifica per seguire le radicali
evoluzioni dell'uomo contemporaneo.
I nuovi maestri come Peter Eisemann, Daniel Libeskind, Zaha Hadid,
hanno in comune una visione della città contemporanea, lontana,
e forse più realistica , di quella armonica e ordinata, immaginata
dai padri razionalisti e ad essa contrappongono una città mutante,
in continua evoluzione, contraddittoria ed emblematica, ove " creature
simboliche" mostrano il sistema delle artificiosità emozionali del
loro tempo.
Le risposte in tale direzione non vengono date utilizzando schemi e
categorie prefissate, espressione di un determinato potere politico, ma
confrontando categorie di qualcosa di indefinito, di vago, di nuovo.
La nuova architettura non si pone come modello di comportamento,
non promette paradisi artificiali ,ma,dialettizzando il conflitto tra romantiche
nostalgie e ironie contemporanee, diviene il luogo in cui l'immaginario
collettivo può scatenarsi, farsi sentire.
Si va contro l'ordine centrato, grigliato, naturale o macchinista,
si cerca lo sgretolato, l'anomalo, non tanto per creare inquietudine
ma, per liberare il differente regime dell'immaginario in una rete
relazionale aleatoria che, esclude lo sviluppo di una manualistica per
tipi e modelli.
L'architettura si libera dalla pretesa di proporre un modello totalizzante
e può nuovamente dispiegare comportamenti plurali e concatenazioni
comunicazionali.
Da: "MARINA LO RE" <marina.elle@tin.it>
A: <saggio@uniroma1.it>
Oggetto: Architettura - Simbolo
Data: Gio, 14 mar 2002 23:04
L'architettura contemporanea è simbolo.
Il significato di simbolo in architettura può essere, a mio
parere, inteso con diverse accezioni:
a.. Il simbolo può essere un messaggio celato da metafora.
Una metafora costituita da elementi architettonici che richiamano alla
mente immagini ed idee che costituiscono il messaggio implicito ed interpretabile
dall'osservatore che il progettista vuole trasmettere. Un esempio di questo
concetto di simbolo come metafora può essere rilevato nel "Yad Layeled"
Museum Kibbutz Lohaniemei Ha' Getaot (Arch. Rami Karmi) dove la spirale
che si vede nell'immagine sottostante rappresenta un vortice oscuro (l'olocausto)
la cui risalita consente di raggiungere la luce centrale.
a.. Il simbolo può essere un esplicito messaggio pubblicitario
che diviene parte integrante dell'opera architettonica. A questo proposito
riporto uno dei tantissimi esempi di architetture di questo tipo
che caratterizzano la nostra epoca dell'informazione: la sede centrale
della McDonald's di Helsinki ( Arch. Mikko Heikkinen, Markku Komonen).
a.. Il simbolo può essere la monumentale architettura
rappresentativa di una città, come nei casi, ampliamente illustrati
nel suo articolo, del Guggenheim o dell'Opera House.
Il serpente ed il pesce
Raffaella Natalini
"Raffaella Natalini 2002" <r.natalin@tiscalinet.it>
>Da: "Leontina Vannini (zzn)" <leontina@gilles.zzn.com>
>A: <antonino.saggio@uniroma1.it>
>Oggetto:
>Data: Mer, 13 mar 2002 0:59
>
> il nuovo monumentalismo è un fatto civico, collettivo, della
gente.
>
> l'epoca informatica funziona non più per messaggi assertivi,
causa effetto,
> ma per messaggi metaforici.
>
da caroline.d@libero.it
Domestico
“L’ARCHITETTURA FA L’INFORMAZIONE”
Bloc 6 model, Almere, Olanda, 1999 Rem Koolhaas
L’architettura perde la sua materialità ed esprime un energia immateriale. Trasforma “un corpo architettonico” in “un corpo immateriale”, ovvero pura immagine. Dove architettura fa informazioni e informazioni fanno architettura.
Ma andando oltre, nei progetti di Kas Oosterhuis la maschera della forma scompare, le architetture sono spazi deformabili, membrane virtuali il cui volume può variare attraverso le informazioni che provengono da computer azionati dagli abitanti. Questi spazi-enveloppe si modificano soltanto attraverso il linguaggio degli utenti che con le loro immagini trasformano gli spazzi fluidi in cavità mentali. Questo modo di progettare permette agli abitanti di informarsi, comunicare ed interagire con l’architettura.
Vai approfindemento dello studente
e se proprio volete leggere AS sulla faccenda
vai qui
Studente: Paolo Diociaiuti
Email: paolo.diociaiuti@inwind.it
Da: "if_rossi" <if_rossi@hotmail.com>
A: "lui l'assistente" <francesco.deluca@uniroma1.it>, "il prof molto
saggio" <antonino.saggio@uniroma1.it>
Oggetto: un fatto, per esempio, su Ghery
Data: Mar, 26 mar 2002 22:31
.... ho letto questa settimana la sua pubblicazione su
Gehry per l'Universale di Architettura.
Effettivamente l'opera di Gehry ha grande forza espressiva
(architettura-scultura); e certamente si possano cogliere certe analogie
tra opere come il Guggheneim di Bilbao e "Forme uniche nella continuità
dello spazio". Ma esiste una sottile differenza.
Lo spazio di Boccioni è uno spazio denso. E' materia
viscosa, di cui ogni singolo atomo si tiene all'altro saldamente e mai
si frammenta o si confonde con altri corpi ed altre sostanze. Tuttavia
ciò non impedisce a due corpi di incontrarsi e relazionarsi resistendosi,
sfiorandosi, penetrandosi, mettendo sempre in scena una lotta. E' tutto
un misurare la forza e il potere reciproci, affondando o ritirandosi, come
in qualsiasi confronto. Tale sostanza ha, dunque, personalità e
manifesta volontà e desiderio nel movimento. Ma un corpo che si
muove incontra sempre la resistenza del corpo-atmosfera, giacchè
questa stessa è considerata come un'entità materiale: il
dibattimento sconvolge le forme, mai la loro individualità e unità
costituzionale. Sono, infatti, "formE uniche nella CONTINUITA' dello spazio".
E quest'ultimo é, dunque, la somma sintetica e interattiva di due
entità in continuo movimento.
Per ciò che riguarda il Guggheneim, è indubbio
che anche qui il movimento sia determinante, ma in un modo differente.
Come premessa vorrei dire che l'architettura di Gehry va compresa, a mio
avviso, sempre e comunqe alla luce dell'anima fondamentalmente pop dell'architetto,
sebbene con certe caratteristiche del tutto originali. E questo non per
il fatto che egli collabori con Mr Oldenburg, tantomeno per la poetica
del chepscape. Piuttosto è pop, è tutto americano, un certo
modo di porsi di fronte alla realtà, che non è domandarsene
l'essenza, comprenderla (come, invece, fa Boccioni), quanto piuttosto un
viverla, prenderla di petto, agirla, agire. In questo senso il cheapscape
si inserisce nell'attitudine a manipolare la realtà partendo dall'accettazione
profonda di ciò che vediamo come fatto. Questo è utilizzare
la <<poverissima rete incrociata>> delle recinzioni dei campi di
basket (piuttosto che <<dei pollai di campagna>>!). Questo è
accettare i rifiuti come prodotto naturale della società che viviamo,
ed utilizzarli come un qualsiasi altro materiale, tanto più se economico
e in grande disponibilità.
Ma tornando al Guggheneim, vorrei proporre un altro parallelo,
sempre con uno scultore, ma questa volta americano: Alexander Calder. A
differenza dei lavori di Boccioni, gli elementi costituenti le strutture
di Calder sono sempre e comunque superfici, a volte variamente piegate
(specie negli "stabiles"), altre addirittura bidimensionali. Ed il
valore spaziale si coglie nel movimento della struttura: i piani, le superfici
formano un volume virtuale, che è quello dell'area del movimento.
Non più, dunque, la massa, per quanto stravolta dal movimento; pesante,
per quanto dinamica; fatta di bronzo. Ma piuttosto lamiera sottile, per
quanto deformata fino ad essere richiusa su se stessa; leggera, da sembrare
piegata con le dita; a sezionare come lame l'ambiente. Lo spazio è
riempito, piuttosto che pieno, di movimento, ed è definito dall'andamento
delle superfici. Tutto è estremamente light, nel duplice significato
di leggerezza/trasparenza. E, con questo, rimando ad un'opera di un altro
artista americano, Bill Viola, chiamata "The veiling": consiste in una
successione di schermi verticali paralleli di materiale traslucido,
sui quali sono proiettate le immagini di due corpi. Queste ultime si tramutano
in successive visioni (una per ogni schermo) di dimensioni diverse.
E' figura senza peso, è un corpo sottile, è
anima luccicante.
di Alessandra Cicotti
LA STIRATURA E LE NUOVE PIEGHE DELLA MENTE
La stiratura può essere vista come metafora dei cambiamenti
antropologici della nostra società.????
Rispolverando le stanze della memoria mi sono ricordata di questa installazione
datata 1993 ad opera degli architetti Liz Diller e Ricardo Scofidio.
Mi sembrava interessante l’idea di come un oggetto, la camicia, e il
suo uso all’interno della quotidianità, potesse ben rappresentare
i cambiamenti della nuova sociètà contemporanea, che rifuggono
ogni schema pre-ordinato, prestabilito volgendo lo sguardo al caos, alla
casualità, all’interattività di differenti livelli che abbracciano
campo dello scibile.
L’antica scacchiera metropolitana, trasposizione nel contesto urbano,
dei rigidi formalismi della città industriale, lascia il posto alla
era delle informazioni, degli ipertesti, della tecnologia nuova.
Si attua una nuova lettura delle facoltà percettive e motorie
del corpo umano, l’esplorazione di nuovi linguaggi espressivi, l’ampliamento
della libertà di azione.
Bad Press prende in esame la stiratura, un’attività domestica
ancora guidata da principi di economia del movimento progettata da ingegneri
dell’efficienza a cavallo del secolo.
Nello stirare una camicia, ad esempio, con uno sforzo minimo è
possibile ridarle forma trasformandola in un’unità bidimensionale
e ripetitiva che occuperà uno spazio ridotto.
Lo schema standardizzato della stiratura "disciplina" sempre la camicia dandole forma piatta e rettangolare che trova il proprio posto all’interno di sistemi ortogonali di esposizione degli oggetti: gli imballaggi, i display espositivi, i cassetti del comò, gli scaffali degli armadi o le valigie.
Una volta che l’indumento sarà indossato porterà su di se i segni della logica ortogonale dell’efficienza.
Le pieghe parallele, gli angoli retti di una camicia pulita e stirata
sono diventati emblemi ricercati di raffinatezza.
Cosa succederebbe se l’attività di stiratura si potesse liberare
dell’estetica dell’efficienza?
Forse gli effetti della stiratura diventerebbero rappresentazione dell’era
postindustriale e l’immagine del funzionale si tradurrebbe in dis-funzionale.
Saggio Ritorna sul tutto
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My desk del 29.03.02