La lettera y in questa
versione
sta per dati incompleti o da verificare
Peter Eisenman
di Antonino Saggio
Perché
Eisenman
Scrivo a testa in
giù d'altra parte del globo.
Lontanissimo fisicamente da 560 Fifth avenue y e da 150 via Nomentana.
Eppure quaggiù la vita appare più chiara più
forte,
le domande più evidenti. I bambini vanno a scuola, giocano o
chiedono
la carità. E chiedendo la carità giocano e cantano
imparando
la loro vita: dura, che si cerca di migliorare, ma anche vita, tout-court. Le sfide che ci sono davanti (e sono tante: i problemi del terzo mondo,
l'immigrazione, le aree deturpate, il recupero della periferia, i
rifiuti
e l'ecologia, la ricerca della qualità di spazi e di nuove
socialità
tra le persone, le risposte a un mondo progredito rivolto sempre
più
alla comunicazione e di un mondo ancora naturale legato ai problemi
materiali
del corpo - sanità, igiene, cibo, figli) sono crisi che si
devono
trasformare in valori, in risorse del progetto per spingerci oltre,
darci
la forza e la vitalità dell'agire.
Perché Eisenman,
allora? In vent'anni e più
di provocazioni condotte ai vertici della tribuna internazionale
dell'architettura,
Peter Eisenman ci ha aiutato a riflettere, ci ha sfidato a pensare, ci
ha invitato a porci domande per capire come questo mondo, queste sfide
abbiano bisogno anche di una estetica di rottura, di
cambiamento.
La sua figura guida il trapasso, non ancora compiuto, e di cui stiamo
faticosamente
cercando le strade, tra gli artefici di una rivoluzione, che
tra
la Fagus di Gropius (1911) e Falling water di Wright (1936) ha
drasticamente
cambiato le coordinate del fare architettura, e il futuro. Eisenman in
questo processo di cambiamento è figura storicamente
imprescindibile.
Sino a qualche anno fa,
era soprattutto un critico dell'architettura.
Abile e acuto polemista, studioso, docente, fondatore di riviste,
direttore
di un istituto di ricerca, rappresentava il campione di una teoria
carica
di sofisticati rimandi alle arti figurative, alla psicoanalisi, alla
filosofia.
Intellettuale dell'élite newyorchese si proponeva di combattere
tanto il rassicurante ritorno all'antico che i meccanici legami
forma-funzione.
Ma nell'ultimo decennio, dopo una fase coraggiosa di analisi e di
rifondazione,
Eisenman ha pietrificato le sue teorie in progetti importanti: in
Europa,
in America, in Giappone. I volumi delle sue costruzioni nascono da
estrusioni
di poligoni complessi, si sviluppano con andamenti spezzati, si
sovrappongono
e intersecano reciprocamente, si dispiegano a ventaglio con rotazioni
successive
delle piante e delle sezioni, si mostrano come minerali fuoriusciti da
improvvisi movimenti sotterranei, seguono il meccanismo genetico dei
frattali,
elaborano il tema della presenza-assenza di nuove geometrie. Le sue
idee
stanno fiorendo e propongono alcune drastiche, importanti,
novità.
Per metterle nel giusto rilievo questa indagine è estesa al suo
intero percorso intellettuale con qualche inevitabile, ma speriamo solo
apparente, digressione al dibattito architettonico a lui contemporaneo.
1. Il Big bang dell'architettura
1. Poker Vitruviano?
L'architettura, dicevano
gli antichi, ha tre componenti.
Pollio Vitruvius nel 1 secolo a.c. individua la sfera della Utilitas,
che possiamo chiamare funzione, la Firmitas che investe la
costruzione
e poi la Venustas, cioè la bellezza. Nei secoli questa
triade
si è sotto articolata, i pesi delle componenti sono stati
diversamente
gerarchizzati ma mai completamente sfidata l'idea che il risultato
fosse
legittimato quale "sintesi". Per avere un rapidissimo test, basti
pensare
agli anni Venti in questo secolo quando coesistevano tre approcci ben
diversi:
l'impostazione accademica, formalizzata in un lungo processo che faceva
perno sugli ordini classici e sulla tipologia e che aveva sancito delle
regole auree che aderivano a una concezione sovrastorica e immutabile
di
"bellezza"; quella dell'ingegneria, che attraverso le entusiasmanti
conquiste
dell'ottocento e del nuovo secolo privilegiava il calcolo e la
"costruzione
a regola d'arte"; e infine quella della "Nuova oggettività" che
(soprattutto nel Werkbund e poi nei primi Ciam) si poneva l'obiettivo
di
affrontare le domande della società industriale. Al primo posto
vi era appunto la utilitas, lo studio minimo ma efficiente
degli
ambiti, delle superfici, dei componenti, negli altri la venustas o la firmitas ma accademia, ingegneria o neue sachlichkeit:
creavano solo delle priorità operative. In
particolare
i grandi architetti che guidarono il rinnovamento dell'architettura del
secolo avevano chiara che questa ricerca di sintesi era semmai
rafforzata
dalle nuovi conoscenze tecniche e scientifiche e che solo uno sforzo
intensamente
unitario poteva permettere di affrontare con successo le nuove sfide.
Attraverso un processo
esaltante, pieno di errori ma anche
di sconvolgenti intuizioni e di oggettive conquiste, Gropius, Mies, Le
Corbusier e Wright guidano una trasformazione che simultaneamente
investe
la sfera della costruzione, nei secoli pietrificata nella tecnica
lapidea,
quella della funzione, (l'architettura non si occupa solo dei palazzi,
le chiese gli edifici pubblici e monumentali ma investe tutto lo
spettro
del costruito: anche le case degli operai, i servizi minimi, e poi i
quartieri
e le città,) e quella della vecchia idea di bellezza. In Europa
in particolare si combatte violentemente una visione cristallizzata e
decorativa,
per un minimalismo meccanico, industriale che fa tesoro della
contemporanea
modifica nel campo della percezione. La cornice prospettica ormai
frantumata,
nasce un sentire bidimensionale, a-prospettico, dinamico, astratto. In
architettura non esistono più figure date a priori (il tetto, la
finestra, l'edicola, il portico) ma segni astratti, senza significato
proprio,
che vengono, come nei quadri dei pittori, accostati in nuove dinamiche
composizioni che attraverso la trasparenza del vetro e la struttura
puntiforme
del cemento armato e dell'acciaio coinvolgono in un flusso continuo
esterno
ed interno: luce aria verde vengono a fare parte integrante
dell'architettura.
Al trattatista y del I secolo, che sistematizzava la logica artificiale
e dominatrice dell'urbanesimo militare romano, era inoltre estraneo il
concetto di luogo (una ubiquitas y diremmo). All'inizio del secolo
dall'altra
parte dell'oceano, si scoprirà che l'architettura è del sito: quindi ne assorbe leggi di appartenenza nella logica asimmetrica
dei volumi e nel processo organico della sua stessa crescita.
L'architettura
non "si adatta" a un luogo o a un paesaggio preesistente: serve a
comprenderlo
assorbendone e modificandole le leggi con la propria spazialità.
La triade vitruviana si amplia a una quarta componente (indispensabile,
tra l'altro, per cogliere la differenza tra l'architettura, abitata e
radicata,
e la produzione di oggetti, per definizione Mobili).
L'architettura non
è un intrusione nel paesaggio,
serve a comprenderlo
Funzione, costruzione,
bellezza nuova consapevolezza dello
spazio e del luogo si trasformano tutte insieme in una autentica
rivoluzione..
L'architettura vive le sfide del comprendere e razionalizzare i
bisogni,
la conquista dinamica dello spazio, dà volto a un modo nuovo di
percepire la fluidità dell'edificio nel suo intrecciarsi con il
tempo della percezione e dell'uso.
L'essenza polisemica
della disciplina (l'architettura
a differenza di altre arti serve anche uno scopo pratico) esce semmai
rafforzata
in questa nuova concezione (chiamata covenzionalmente "moderna", ma
sull'aggettivo
bisognerà tornare) e si irrobustisce della consapevolezza che l'UOMO,
pur se drasticamente diverso da quello dell'Umanesimo rinascimentale,
rimane
l'agente originante proprio perché vive contemporaneamente
dentro
le diverse sfere che l'architettura adesso ancora di più e
meglio
di prima riesce a soddisfare.
La ragione di questa
discussione, stranota ai più,
è che Peter Eisenman comincia a emergere nello scenario
internazionale
proprio attaccando queste idee.
A suo avviso è
proprio per il persistere della
fortissima vocazione umanistica della nuova architettura, che nessuna
rivoluzione
epocale ha avuto luogo in questo secolo. Il fondamento umanistico
impiantato
nelle prime decadi del quattrocentesco in antitesi alla trascendenza
medievale,
rimane appunto "il fattore originante" della nuova architettura
Conclusione
di Eisenman, mediata dal filosofo francese Michael Foucault, nessuna
"rivoluzione"
è stata posto in atto nell'architettura "moderna". Architettura
moderna e "modernismo" sono due cose diverse.
Il Modernismo che
Eisenman rivendica, invece, rappresenta
la rottura della centralità umanistica, l'esaltazione del
momento
autoreferenziale e autonomo della ricerca estetica. Insomma
l'oggetto-architettura
deve esistere di per sé, rispondere alla sue leggi interne, non
derivare o acquisire valore da un contenuto umano. L'uomo non è
più l'agente originante, il destinatario finale, il centro.
Oggetti
ed edifici sono idee, appartengono alla sfera del linguaggio. Dovremo
tornare
su queste idee, ma cerchiamo ora di capire come direzionano tutta la
prima
fase del suo lavoro. Quella che va dal 1963, in cui egli termina la sua
formazione accademica, termina dieci anni dopo quando si afferma come
architetto
di spicco dei New York Five.
2. Riduzionismo
esclusivista
Si fa un errore a pensare
che il momento pregnante del
lavoro di Eisenman sia quello in cui l'architetto, nei primi anni
Settanta,
comincia a assumere notorietà internazionale. È nel
decennio
precedente che i nodi vengono al pettine.
Eisenman nato a Newark,
città del New Jersey, l'11
agosto del 1932 studia architettura alla prestigiosa università
privata di Cornell nel nord dello stato di New York dove, dopo aver
svolto
il servizio militare come ufficiale in Corea, si laurea nel 1955 con
una
tesi regolarmente premiata. Come è usuale negli Stati Uniti,
dopo
alcuni anni di pratica presso accreditati studi (Percival Goodman a New
York e The Architects Collaborative, lo studio di Gropius, a Boston),
torna
agli studi universitari ottenendo il Master of science alla Columbia di
New York nel 1959. Decisivo nella sua formazione è l'incontro
con
Colin Rowe, "il più importante dei miei padri". Rowe (nato nel
1922
y) ha un atteggiamento ricorrente negli intellettuali britannici. Uno
snobismo
eccentrico, nel suo caso irrobustito da vasta cultura, intelligenza e
capacità
di convinzione sia nella parola che negli scritti. Già negli
anni
Cinquanta il critico britannico studia la categoria, per altro
fondativa
nella nuova architettura, della trasparenza. Il suo approccio si
autodefinisce
"formalista": tende a scoprire ed evidenziare la logica del
linguaggio
architettonico che viene di conseguenza indagata, piuttosto che nei
rapporti
con il contesto storico-culturale, con lo stato dell'arte del
costruire,
o quale risposta a domande sociali, politiche, funzionali o
ideologiche,
nei suoi meccanismi interni di evoluzione, trasformazione, combinazione
eccetera. Attraverso questa via, e la cosa non è affatto banale
o trascurabile, si può interpretare Le Corbusier con Palladio e
viceversa.
Rowe orienta la tesi di
dottorato di Eisenman completata
presso la facoltà di Cambridge dopo un triennio trascorso in
Inghilterra
terminato nel 1963. The Formal Basis for Modern Architecture si
struttura come una rilettura analitica di alcuni esempi
contemporanei
condotta anche con l'ausilio di numerosi diagrammi. Il trentunenne
studioso
vi mette a punto gli strumenti per una analisi pertinente al
progetto
che è fatta con le stesse armi che si usano sul tavolo da
disegno.
Il dr. Eisenman, formato al massimo livello accademico quale teorico
della
progettazione, torna negli Stati Uniti per insegnare come Lecturer a
Princenton
dove incontrà il coetaneo Michael Graves anche lui docente alla
stessa università. Con l'amicizia tra i due giovani architetti
(sviluppatosi
anche in diverse collaborazioni progettuali) comincia a prendere corpo
il nocciolo di quelli che saranno i NY Five. Con Graves cerca una
strada
tra impegno e urban design nei progetto di Manhattan Waterfront (1966)
e in altre prove di concorso a Boston, Washington, Berkeley, ma non
sarà
questa la strada dell'affermazione.
Nel 1959 muore Wright, e
poi in rapida successione Le
Corbusier, (1965 y) Gropius (1969 y) Mies (1972 y). Con la "morte dei
maestri"
scompare o meglio viene posta in crisi proprio la vocazione sintetica,
unitaria dell'architettura che essi avevano tenuto insieme cercando
sino
alla fine, almeno con Le Corbusier e Wright, di conservare anche
l'originario
spirito di "rivoluzione permanente". Se si guarda alla scena americana
degli anni Sessanta, in cui Eisenman comincia a muoversi, si scoprono
un
certo numero di continuatori di Gropius che aveva già da un
quindicennio
formalizzato uno studio allargato a molti collaboratori, ma il
paradigma
più diffuso e vincente è quello offerto da Mies van Der
Rohe.
Contemporaneamente emergono alcuni nuovi talenti come Paul Rudolph,
Ieoh
Ming Pei o Kevin Roche che aveva preso con Dinkeloo le redini dello
studio
Eero Saarinen prematuramente scomparso, alcuni geniali ma isolati
continuatori
della eterodossia wrightiana come Bruce Goff, una estesa produzione di
qualità anche medio alta affidata ai grandi studi da Skidmore
Owings
and Merril a Minoru Yamasaki.
La novità
più forte è quella di Louis
Kahn, ma si tratta di un messaggio che non ammette repliche; quando
trascritto
da altri, immancabilmente impoverito. Esaurita la spinta della nuova
architettura,
confrontata con una pratica di routine e di buon senso, o con
l'ascetismo
tutto costruttivo di Mies, Kahn opera un drastico azzeramento. Una
rifondazione
strutturata sulle motivazioni profonde al bisogno di architettura per
l'uomo
e le sue "istituzioni". Una ricerca sui "perché", legata a
concetti
di permanenza e a valori sovrastorici, perenni. Per Kahn Il progetto
(design)
non più è aggredibile analiticamente via le componenti
tecniche,
estetiche o funzionali ("la forma segue la funzione) ma sempre ricerca
di sintesi protesa a un momento superiore (form) che raggruma
contemporaneamente
le tre componenti: costruzione, funzione e forma si condensano nella
"stanza"
e successivamente queste monadi con significato si aggregano attraverso
suggestioni archetipiche (la luce dall'alto, gli spazi contenitori e
contenuti,
il sistema concentrico di spazi differenziati) in una nuova ricerca sul
"tipo edilizio". Il processo di progettazione si trasforma in una
ricerca
di intima coesività. È l'opposto di una ricerca
formalistica,
o meccanicistica. Semmai la formula kahniana recita: forma è funzione forma è costruzione.
La tautologia kahniana
risucchia le sfere della vecchia
triade vitruviana nel buco nero di una condizione primigenia. È
l'ultimo ed estremo paradigma sintetico del secolo che, nella stessa
impossibilità
di diventare regola estensibile, accende una miccia. Contratta ai
minimi
termini di una tautologia, la stessa nozione di architettura quale
sintesi
tra diversi ESPLODE. in una miriade di
frammenti,
di schegge lontane e separate una dall'altra. È il Big bang
degli
anni Sessanta. Si accendono e spengono stelle e stelline ciascuna
basata
non più sull'idea di sintesi ma su quella di particolare. .
D'altronde
è il mondo stesso che non è più unitario, ma si
diversifica
in una miriade di stati, di opzioni diverse in una società del
molteplice
di cui lo stesso Sessantotto sancisce l'evidenza. Così la
cultura
architettonica, che con i maestri si era concentrata (pur se con
accezioni
diverse in Gropius, Mies, Wright, Le Corbusier e appunto nello stesso
Kahn),
nel tentativo di tenere insieme le componenti eterogenee
dell'architettura
perde la sua vocazione totalizzante e si occupa di frammenti di quello
che prima era un insieme. Dopo Kahn si costruirà valore,
non più sull'unitarietà ma sulla particolarità,
non
più sulla centralità ma sull'eccentricità, non
più
sulla ragionevolezza ma sull'esclusività.
Il fenomeno avviene
simultaneamente su tutti i fronti
della vecchia trinità, ormai distrutta quale Dio uno e trino. Se
Rowe è il campione di una lettura autorefenrenziale sul
linguaggio,
nel medesimo scorcio tra fine Cinquanta e inizio Sessanta, gli scritti
dell'inglese Reyer Banham y - con l'esaltazione del momento tecnologico
costruttivo - e dell'italiano Leonardo Benevolo, - con una indagine
prevalentemente
socio-funzionale che dalla nuova architettura si estende all'indietro
sino
al Rinascimento - contribuiscono su fronti diversi all'aratura sul
fronte
storico-critico di un terreno esclusivista che si svilupperà
vieppiù
nel decennio successivo. Si tende spesso a dimenticare, che uno dei
libri
più influenti degli anni Sessanta è Note sulla
sintesi
della forma nel quale un giovane architetto con solide basi nella
matematica
porta agli estremi una concezione deterministica. Il risultato formale
è per Christopher Alexander il frutto di una ricerca meccanica
di
un albero di requisiti che possono tutti essere descritti e indagati
nello
loro ramificazioni e necessità di ordine pratico. È
l'esplicitazione
estrema ( decine e decine di attributi per uno scalda acqua) della
Utilitas.
Il paradigma scientifico spoglia l'architettura di tutti gli altri suoi
attributi, soprattutto quelli autonomamente estetici. Questo tipo di
riduzionismo
meccanicistico si connota più oltre, nello stesso Alexander ma
anche
in altri progettisti, di sociologismo. Si rivendica tutto al momento
della
partecipazione, del bricolage, del montaggio quasi casuale degli
elementi
scelti direttamente dagli utenti.
Ma dicevamo che questa
concentrazione sul particolare,
su una scheggia di quello che prima era unito avviene anche in altre
direzioni
. Basti pensare all'esaltazione del momento tecnico-costruttivo nelle
esperienze
radicali di gruppi quali gli Archigram o dello stesso Buckminster
Fuller
che si travasano in opere concepite nei primi anni Settanta dove si
presentano
costruzioni-macchine, scheletri le cui ossa e vene, magari colorate,
sono
diventate il tutto.
Un altro decisivo libro
degli anni Sessanta basato, su
un fronte diverso, sullo stesso fenomeno riduzionista è quello
di
un ex collaboratore di Kahn. Scrive a ragione Tafuri che Robert Venturi
apre "il pozzo senza fondo della ricerca formale". Eppure questa
apertura,
che sarà negli anni a venire il filone portante del cosiddetto
post-modernismo,
avviene attraverso un'operazione di per sé interessante.
È
l'interesse verso i nuovi significati indicati dalla Pop Art: l'arte
deve
metabolizzare anche il momento spontaneo, vernacolare, periferico,
kitch
della società contemporanea. Tesa da una parte alla sua storia
alle
sue regole e dall'altra al fluttuante mondo della società di
massa
(il Campidoglio e Michelangelo e dall'altra Las Vegas e le insegne
pubblicitarie)
l'architettura non può che raffigurare, appunto,
complessità
e contraddizioni.
In questa generalizzata
frammentazione della visione unitaria
della disciplina, Eisenman si afferma sulla scena internazionale
attraverso
una ancora diversa visione riduzionista ed esclusivista. Vediamo
attraverso
quale percorso, perché naturalmente pur se gli esiti che lo
sanciscono
come figura di spicco della nuova avanguardia architettonica (sancito
da
un sondaggio che la rivista "Progressive Architetcture", ha compiuto il
decennio seguente) alcuni "padri" sono esistiti, che con sorprendente
intuito
e acume combinerà.
2. Architettare
testi e
manifesti
1. Architetto-artista concettuale.
Eisenman docente a
Princeton (cittadina universitaria
del New Jersey a poca distanza da New York), è abituale
frequentatore
dell'ambiente d'élite dell'avanguardia (forse anche nel suo caso
si potrebbe parlare della categoria del Manhattanismo come in David
Byrne,
Woody Allen, Andy Warhol) e cerca la propria autonomia con una serie di
distinguo rispetto al dibattito architettonico del momento.
Innanzitutto si distanzia
dall'impostazione kahninana
rifiutandone sia la tensione sovrastorica. che i risultati, (che certo
porgevano il fianco anche a entusiasmi accademici e passatisti).
Rifiutando
il paradigma sintetico e sovrastorico del maestro di Philadelphia egli
taglia un cordone con la cultura degli anni Sessanta e
contemporaneamente
ne recide altri: quello funzionalistico-sociologico alla Alexander,
quello
costruttivo-utopistico (Archigram, Buckminster Fuller eccetera),
naturalmente
quello produttivistico degli studi incorporati o del professionismo di
alta qualità come quello di Pei o Rudolph o Roche per il quale
in
fondo, non ha neanche la predisposizione creativa e la struttura di
supporto
professionale. La sua lunga esperienza in Europa, la vita a New York
(la
città meno americana d'America) lo allontanano da ogni mito
della
"frontiera" (alla Bruce Goff o Paolo Soleri).
Semmai, più
prossima la sua posizione potrebbe
essere alla ricerca sofisticata e provocatoria di Venturi o dello
stessa
Tendenza italiana (parteciperà alla Triennale milanese
coordinata
da Rossi nel 1973 y). Ma in un caso come nell'altro le differenze sono
fortissime: infatti in entrambi persiste, malgrè y soi diremmo,
una visione contenutistica. Da una parte rivolta a una ricerca aperta
al
quotidiano, dall'altra a una metafisica di tipi e forme pure che,
riscoprendo
"l'edilizia cittadina" proposta nel ventennio da Piacentini, la
promuove
quale indicazione sociale e politica di segno opposto. Eisenman
scoprirà
una strada radicalmente diversa.
Gli anni Sessanta vedono
l'affermarsi sul fronte filosofico
dell'analisi sul "testo" (che avrà in Italia "eco", oltre che
negli
scritti dell'autore di Opera aperta, anche in architettura
attraverso
il lavoro di Renato De Fusco e della sua rivista "Op. Cit." e negli
scritti
soprattutto di Giovanni Koenig molto vicino a Bruno Zevi). Le basi
teoriche
sono nel lavoro di De Saussure a inizio secolo, uno sviluppo
rimarchevole
si era compiuto nel lavoro degli strutturalisti sovietici come ..... y
ma negli anni di Eisenman figura emergente è quella di Noam
Chomsky,
il suo secondo padre. Intellettuale tanto impegnato politicamente nel
movimento
pacifista che porterà al Sessantotto americano che sulla analisi
del testo come struttura di significati autonomamente relazionati, il
generativismo
di Chomsky diventa la componente con la quale a un tempo irrobustire il
formalismo di Rowe e iniziare un processo di "dislocamento".
Si tratta di una delle
parole chiave del nostro. Eisenman
sin da giovane ha piena consapevolezza, che la conoscenza artistica non
viaggia per coerenze ma per frizioni tra entità diverse. A
compatibilità
scontate sostituisce, con tutti i rischi del caso,
incompatibilità:
nella speranza diventino rivelatrici. Disclocare, pertanto, vuol dire
operare
non solo "da dentro" il linguaggio dell'architettura medesimo, ma anche
"da fuori" facendo intervenire (non gli abituali contenuti ideologici,
politici o costruttivi) ma un sistema di pensiero tanto più
destabilizzante
quanto più lontano dalla prassi e dai contenuti tradizionali
dell'architettura.
Pur se la prima
dislocazione di quella che sarà
una lunga serie è meno dirompente delle successive (testo
letterario
e testo architettonico fanno entrambi perno sul linguaggio) rimane una
grande novità: l'architettura è un testo, i suoi
riferimenti
sono dentro la logica architettonica ma allo stesso tempo dislocati in
altri sistemi del pensiero. Tipico a proposito è il suo primo
manifesto
della serie "Notes on Conceptual Architecture. Towards a definition"
del
1969, dove cinque numeri su un foglio bianco rimandano ad altrettanti
testi
da Donald Karshan con un saggio in Conceptual Art and Conceptual
Aspects a
Gregory Battock, Minimal Art , da Erwin Panofsky Idea, a
concept
in art theory a Dematerialization of Art. "Un quadro" di
architettura
che fa riferimento alle nuove teorie tra minimalismo e arte concettuale
della nuova avanguardia ad artisti come Sol Lewitt, Joseph Kossut,
Donald
Judd e a critici come Rosalind Krauss e Clement Greenberg.
Su queste basi, Eisenman
compie la sua prima affermazione
come vedette internazionale. L'architettura viene indagata come un
"testo"
per rappresentare "la struttura formale di una narrazione", non per
veicolare
il complesso dei significati ideologici, funzionali, sociali,
costruttivi.
Ma se l'architettura
è un testo, essa diventa allo
stesso tempo - è il bel titolo del saggio di Pippo Ciorra; nella
sua monografia - "un pretesto". Il medium è secondario:
scrittura
verbale, scrittura progettuale, scrittura costruttiva sono solo dei
supporti
intercambiabili. Non solo. Scrittura ex novo e ri-scrittura critica si
identificano ("Terragni non esiste. Terragni l'ho inventato io.
Terragni
sono io." - affermerà in una conferenza).
Eisenman in questo
processo si autorappresenta non come
un architetto tradizionale, ma come un "architetto concettuale":
campione
dell'analisi linguistica dell'architettura nei suoi significati logici
autoreferenziali (via Rowe) quanto dei rapporti con la struttura di
origine
letteraria del testo (via Chomsky) (con riferimenti sparsi alle
avanguardie
artistiche del momento): è la sua personale rappresentazione, la sua scheggia del Big-Bang.
Su queste coordinate la
sua stella comincia a brillare,
ad acquisire una propria consistenza esercitando i propri effetti
gravitazionali
coesistendo, a distanza, con altri sistemi solari della nuova galassia
in cui è ormai esplosa la cultura architettonica. La miscela di
unilateralità e perentorietà che egli afferma sul fronte
del nuovo formalismo linguistico si ritrova infatti, nel corso degli
anni
Settanta, con la stessa perentorietà ed esclusività,
anche
in Rossi e Krier nella memoria delle forme primarie, in Venturi nel
kitch,
in Piano e Rogers nell'high-tech, in Kroll nel bricolage. Ma la miscela
di Eisenman sarà vieppiù particolare perché egli
intuisce
che non basta avere idee e teorie: bisogna sapere strutturarsi entro un
mondo ormai dominato dalla comunicazione
2. Cultura è un business.
Nella molteplicità
del mondo contemporaneo e nella
stessa frammentazione in cui si è ormai spezzata la disciplina,
l'eccentricità, la perentorietà, e l'esclusività
di
una posizione intellettuale (non la sua "bontà") crea valore se veicolato in appositi media. Essi stessi infatti hanno bisogno di
idee
(diremmo, hanno bisogno "comunque", di idee) per funzionare nel mondo
delle
merci. Idee e tesi, per quanto lontane dalle consuetudini, vanno
presentata
con forza provocatoria, con una buona dose di teatralità (siamo
anche nel momento del nuovo teatro e degli happenings), teorizzate in
tutti
gli aspetti, diffuse in tutte le sedi, legittimate e soprattutto
autolegittimate
attraverso un dislocamento eccentrico (possibilmente, "esotico") ma di
cui bisogna captare le potenzialità di sviluppo e di
accettazione.
Il ventaglio delle
iniziative di Eisenman relazionate
al variegato mondo della comunicazione è vasto e articolato.
Invece
di radicarsi come l'amico Graves a Princeton diffonde le sue tesi
insegnando
in moltissime università: alla Cooper Union (diretta dal
più
anziano Hedjuk), in Texas (che aveva visto insegnare Rowe nella sua
fase
della trasparenza), a Columbia e più avanti alle
università
di Harvard, Carnegie-Mellon, Maryland, Illinois, Ohio State. Il suo
approccio
all'insegnamento naturalmente è molto diverso da quello abituale
condotto da architetti professionisti che spesso negli Stati Uniti
conducono
i corsi di progettazione. Eisenman ha una dirompente forza di
penetrazione
nei discenti (miei ex studenti passati al suo corso me ne scrivevano
ammirati
ed entusiasti) che deriva dalla naturale "energia didattica" della sua
stessa architettura e dalla sua fortissima base teorica. Egli focalizza
l'insegnamento su concetti, modi di operare, parole chiave tutte
interne
al proprio sistema (graft, folding, scaling che negli anni va
affinandosi
e cresce): un gergo che stupisce e infastidisce dall'esterno, ma che in
realtà è assolutamente indispensabile per direzionare le
esplorazioni progettuali dei singoli quanto per trarre dall'insegnare
un
necessario feed-back. Naturalmente alcuni studenti diventano satelliti
del suo sistema di pubbliche relazioni ma sono gli stessi circoli
intellettuali
delle prestigiose università in cui insegna che si trasformano
in
potenziali committenti: in una prima fase per le case degli stessi
professori,
più oltre per gli edifici dei campus.
Un punto decisivo di
coagulo di iniziative è l'Institute
for architecture and urban studies che co-fonda nel 1967 a New York (e
dirigerà sino ai primi anni Ottanta e con un picco di
popolarità
e di successo alla metà degli anni Settanta con la presenza di
personalità
come Rossi Tafuri Scolari Tschumi, Koolhaas e Fujii. L'Iaus è
un'istituzione
atipica: tribuna per teorici, architetti, artisti ma anche atelier per aspiranti architetti che vogliono compiere un internato fuori dalla
strutture accademiche o rigidamente professionali. L'Iaus, registrato
tra
le istituzioni dello Stato e in un primo momento agganciato al Museo
d'arte
moderna della città , diffonde culturalmente le posizioni di
Eisenman
e poi dei Five, si apre alla presenza di altre vedette internazionali,
ma dall'altra, e in collaborazione con l'Urban development corporation
della città, promuove e realizza alcuni interventi abitativi su
cui torneremo inseguito.
Questo quadro in
movimento trova in diverse riviste una
tribuna ("Perspecta", "Casabella" y eccetera) ma è Eisenman
stesso
che, naturalmente, oltre al mensile informativo "Skyline" non
può
che fondare (1973) una rivista trimestrale che diventerà cult:
"Oppositions", il titolo, è naturalmente alla moda tra gli anni
Settanta e Sessanta (cfr. le nostre "Contropiano" e "Controspazio"),
con una sensibile differenza però. Diversamente dalle riviste
italiane
fortemente ideologizzate e politicizzate, le "Opposizioni" di Eisenman
non saranno mai di ordine politico ideologico ma solo frizioni tra
sistemi
diversi del pensiero cui abbiamo prima fatto cenno (ed ecco anche il
perché
della presenza di architetti come Rossi e Scolari nella rivista) Egli
rimarrà
fedele a un agnosticismo ideologico di fondo. Al massimo la sua etica
corrisponde
alla buona fede: "Io onestamente credo che quello che sto facendo non
è
solo per me, vi è un bisogno che sia fatto. C'è una
moralità
nel farlo" (Eisen 92 p. 107). L'individualismo quale etica. D'altronde
lui stesso definisce l'architettura in Europa come motivata
dall'ideologia,
quella americana, invece, dal business. Potremmo anche dire che
in un caso l'architettura è sociale nell'altro, appunto,
individuale.
La cultura per Eisenman è architettura: La sua azione culturale
non può che essere, essa stessa, affare.
Ma di che stupirsi,
perché giudicare moralisticamente
ciò?. Il problema è cosa egli propone, cosa rappresenta
di
pregnante, e soprattutto, (lui stesso non se ne dolerà di
certo),
come estrarre chirurgicamente dal corpo della sua teoria e dei suoi
edifici
organi vivi.
3. Nascita dei Five
Questo intreccio di
iniziative, posizioni, frequentazioni,
rifiuti e interessi, intuizioni disciplinari e soprattutto
extra-disciplinari
si afferma attraverso il lancio e l'affermazione di cinque architetti
di
New York .
A un simposio al Museo
d'arte moderna di New York (MoMA)
del 1969, Kenneth Frampton presenta al pubblico i cinque, tutti tra i
trenta
e i quaranta anni. Oltre ad Eisenman, Michael Graves (nato nel 1934)
John
Hejduk (1929), Richard Meier (1934) Charles Gwathmey (1938).
L'operazione
in realtà è una geniale auto-promozione perché il
tutto avviene all'interno della Case (Conference of the architects for
the study of the Environment) co-fondato nel 1964, naturalmente da
Eisenman
stesso.
Nel 1972 un volume
miscellaneo con il nome di "Five Archiects"
sancisce l'esistenza, se non di un gruppo, di una impostazione comune
ai
cinque progettisti e contemporaneamente al volume si apre una mostra al
MoMA che andrà anche in altri paesi. Eisenman appare da subito
"l'anima
teorica", come di lì a poco dirà Manfredo Tafuri, che
dedicò
attenzione e straordinario acume critico ai cinque architetti a partire
dalla prima pubblicazione su "Oppositions" del 1974 sino al volume Five
Architects N.Y. del 1976. ((( DOPO? Se Eisenman è il teorico
e il terrorista formale, Graves è un illusionista, Meier un
meccanico
delle funzioni, Hediuk un prestigiatore che lancia e poi raccoglie i
suoi
pezzi nello spazio, Gwatney associato con Siegel, un colto
mediatore.)))
Rappresentano visti insieme un mondo dell'architettura senza più
riferimenti ideologici, chiuso entro le coordinate del linguaggio di
cui
sperimentano i limiti con un piacere estetizzante: non masochistico,
perché
hanno successo, ma senza dubbio un poco sadico. Certo non è lo
storico
italiano che vuole indicare strade o destini ma "è proprio per
tale
esperienza del limite, per i loro eccessi, vale a dire, che
essi
ci interessano: l'eccesso è sempre portatore di conoscenze"
(Tafuri
76 p. 10)
Al fenomeno della
promozione dei giovani architetti partecipano
sul fronte del sostegno Arthur Drexler, direttore del MoMA che
organizza
la mostra e introduce il catalogo, Colin Rowe, ormai affermato critico,
il più giovane Frampton, nel decennio successivo teorico del
"regionalismo
critico" ma che in questa fase continua a professare e si occupa in
particolare
di residenze popolari, William La Riche e oltre oceano lo stesso Tafuri
mentre, sul fronte altrettanto importante della negazione,
organicamente
necessario per giustificare "l'apparato pubblicitario messo in moto per
lanciare il gruppo", vi sono architetti come Romaldo Giurgola, Robert
Stern,
Alan Greenberg che evidentemente criticano da tutti i fronti:
l'irragionevolezza,
l'esclusivismo, l'estraneità al contesto statunitense,
l'invivibilità
delle costruzioni: soprattutto quelle prodotte dallo stesso Eisenman.
In maniera abbastanza
sorprendente visto il percorso che
abbiamo descritto, l'anima teorica del gruppo, riesce a presentarsi al
pubblico non solo via il suo apparato concettuale, ma anche con alcune
costruzioni che realizza per committenti sofisticati (accademici o
professionisti
di alto livello) affascinati dalle sue teorie. La sua progettazione in
questa fase si concentra, come è prevedibile, sui meccanismi
sintattici.
La costruzione, la funzione, la carica ideologica che all'architettura
era stata attribuita viene congelata per esaltare il gioco astratto
delle
parti. Il nesso forma segue funzione è spezzato: i due termini
che
facevano centro sull'uomo vivono ora un rapporto dialettico e uno
scontro
nihilista. Il progetto si auto-definisce nella dimensione teorica del
"testo"
e le quattro case realizzate tra il 1968 e il 1975 non aggiungono nulla
a quanto previsto nell'ideazione.
Non sono pertanto le foto
delle costruzioni, i disegni
ortogonali del progetto o i plastici il centro delle sue esposizioni,
quanto
i numerosi diagrammi assonometrici che illustrano i passaggi evolutivi
(generativi) dell'opera. Una prassi di smembramento all'indietro del
progetto,
disegnata, in un'era pre-Cad, apparentemente in modo maniacale. In
realtà
per una ragione fondamentale. Eisenman sa che la merce del mondo
occidentale
è la conoscenza (lo abbiamo detto prima ripercorrendo brevemente
il ventaglio delle sue iniziative) e quindi essa deve essere anche
"formalizzata";
resi espliciti, trasmissibili e comunicabili i meccanismi di
legittimazione
dell'opera. Assieme agli schemi nasce così una formula che
colpisce
come una frustata e fa guardare il mondo delle costruzioni con una
lente
diversa. Cardboard architecture. Architetture di Carta
3. Partiture
di carte e
di dadi
1 Peter Terragni
Eisenman tra il 1967 e il 1983 progetta una diecina di
case di cui ne riesce a realizzare cinque. Come composizioni musicali,
i progetti portano un numero progressivo e possono essere divise in
cicli.
Il primo, dalla House I alla House IV (1967-1975) aderisce alla formula
della Cardboard Architecture e corrisponde grosso modo alle
mostre
collettive (e ai volumi) dei NY Five, il secondo termina nel 1978 con
la
rinuncia da parte del cliente di costruire House X cui aveva lavorato
dal
1975, l'ultimo, che si intreccia con altri progetti, comprende tre
opere
e si conclude con la Fin d'Ou T Hous S: gioco di parole tra fine di
tutte
le case, e fine di Agosto. Quello del 1983 che chiude il capitolo.
Le prime quattro case
vogliono essere "di carta" (letteralmente
sarebbe "di cartone") non tanto per il loro aspetto leggero, quasi
immateriale,
quanto per sottolineare il substrato concettuale, autoreferenziale che
le ha generate. Gia detto La formula, (letteralmente sarebbe
"architettura
di cartone") congelando già nella titolazione tutti i
significati
culturalmente e storicamente attribuiti al progetto, sottolinea che
architettura
è veicolo e non fine e che la fondazione teorica del
progetto-testo
è molto più importante dell'effettiva costruzione e certo
degli eccentrici committenti.
Ma i numeri sul foglio
bianco della Conceptual architecture
non sono più sufficienti quando si deve fare un progetto.
Adottare
un linguaggio si impone perché , come gli altri Five in questa
fase,
Eisenman non ne possiede uno proprio. Con sicuro intuito, allora,
pre-sceglie
quello meno usato e consumato nel contesto statunitense del momento.
Rowe
lo aveva mosso alla riscoperta del Purismo lecorbusieriano, del
Neoplasticismo
e soprattutto del Razionalismo di Terragni, Lingeri o Cattaneo,
praticamente
sconosciuto oltre l'Atlantico e, almeno sino al 1968, poco o nulla
indagato
nella stessa Italia. Sono coordinate relativamente omogenee che combina
e porta al limite studiando alcune tecniche compositive proprio
dell'autore
della casa Giuliani-Frigerio. Non a caso, l'opera più
formalistica
della produzione dell'architetto di Como.
Le Corbusier e
soprattutto Terragni rappresentano una
provocazione esotica, (perché Wright è americano, Aalto
troppo
simile al primo, Gropius e Mies completamente americanizzati, Kahn agli
antipodi culturalmente). È un dislocamento che determina (se
accettato)
valore e status. Ma è anche un'operazione che necessita di vaste
e onnivore conoscenze e soprattutto della imponderabile
sensibilità
culturale che fa guardare gli impressionisti alle stampe giapponesi,
Picasso
e Braque alle maschere negre, Capogrossi e Burri ai moduli ripetibili
della
città o alla materialità stessa dell'architettura, un
quarantenne
newyorchese a un quasi sconosciuto architetto italiano, morto
tragicamente
giovanissimo, e che diventa per lui, ma non sarà il solo,
ossessione:
sogno, incubo desiderio.
Nella House I e
soprattutto nella House II Eisenman affronta
una questione di natura formale che ha origine nel suo alter ego.
Sempre
interessato alle differenze, alle frizioni, alle opposizioni egli
è
attratto da due opere del comasco in contrasto l'una all'altra. Tra la
Casa del fascio e la Giuliani Frigerio (le uniche tra l'altro su cui
pubblicherà
qualcosa) l'opposizione si basa sul diverso meccanismo di
"stratificazione"
che le ha generate. Nella Casa del fascio è un processo che
parte
dall'esterno (la forma stereometrica del prisma) verso l'interno.
L'esito
è noto. Pur conservando la presenza del semicubo primitivo
Terragni
riesce a conferirgli un tensione astratta (con partiture a tutta
altezza
che si alternano asimmetricamente nei fronti) quanto dinamica,
(perché
i diversi spessori delle stratificazioni sul volume invitano
continuamente
ad una esplorazione del prisma). In una parola, è un processo di Estrazione,
operato attraverso intagli geometrici di diverse dimensione e di
profondità
variabile .
La casa Giuliani Frigerio
invece è basata su un
processo di esplosione. La stratificazione non
si
muove da fuori a dentro ma all'inverso. L'esito è lo slancio
dinamico
dei piani e dei volumi che non vengono più trattenuti da alcuna
virtualità originaria ma invadono lo spazio. Il problema, per un
ricercatore di nuove tensioni quale Eisenman, è quello di
lavorare
dentro questa differenza, dentro questa tensione tra estrazione
e esplosione. Presentare il problema, farcelo
conoscere,
dargli evidenza. I progetti delle sue prime case diventano a tutti gli
effetti due saggi di architettura, il cui tema, come negli scritti,
è
di natura strettamente linguistica. Gli esiti di questa riflessione,
fatta
questa volta con le armi del progetto, saranno incomparabilmente
più
ricchi e profondi dei saggi su "Perspecta" e "Casabella"
Diciamo subito
però che in House I (padiglione
Barenholtz) a Princeton del 1967-1968 questo conflitto è appena
accennato. L'edificio destinato a mostra di giocattoli presenta la
tipica
rigidezza di alcune opere prime, un corbusierismo di maniera e forse il
suo dato più interessante è l'organizzazione ad "L" del
vano
interno e il trattamento nella doppia altezza del vano centrale che
reinterpreta,
ma in maniera originale, il sistema a telaio del grande salone della
Casa
del fascio.
Nella House II (Residenza
Falk a Hardwick 1969-1970) che
epidermicamente è certamente avvicinabile al Neoplasticismo
presenta
invece il conflitto delle due opere "opposte" di Terragni. Eisenman
riprende
da la Casa del fascio l'idea di un quadrato in pianta che viene
compresso
in alzato nello stesso rapporto di 1/2 adoperato da Terragni. Ma il
semi-cubo
che egli genera non è più stereometricamente compatto
perché
viene modulato tridimensionalmente in nove quadrati che vengono abitati
di nuovo lungo una "L" (una geometria estranea alla Casa del fascio e
alla
Giuliani Frigerio e raramente adoperata da Terragni, ma che in Eisenman
avrà ulteriori sviluppi) e lasciati liberi nella doppia altezza
della corte interna. Questo mondo interno, nella stessa presenza di
parti
libere e di geometrie dinamiche basate sulla "L " spinge verso
l'esterno
e si scontra con il sistema a telaio che trattiene la pressione
dinamica
esercitata dalle parti.
La stratificazione dei
volumi, generata dallo scalettamento
dei cubi ad "L", a volte arriva in facciata a volte si ferma
presentandosi
come puro scavo. Il sistema che trattiene e quello che spinge entrano
in
conflitto con raddoppiamenti della struttura e con la creazione sui due
lati della "L" di uno spazio interstiziale occupato da un lato dalla
scala
dall'altro da uno spazio libero sorta di diaframma a tutta altezza. Una
soluzione quella dello slittamento e sovrapposizione dei moduli
quadrati
per lasciare posto alla circolazione verticale e orizzontale anch'essa
derivata da Terragni e che Eisenman adotta anche in alzato:
cosicché
all'incertezza palese della House I nel ricavare il sistema delle
bucature
qui corrisponde la precisione dettata dalle diverse tensioni che
generano
l'opera.
La perimetrazione
esterna, richiama la presenza della
forma primaria e lo stesso uso del telaio della Casa del fascio, ma
l'interno
mette in azione lo slancio dinamico della Giuliani-Frigerio. Il telaio
esterno di conseguenza non definisce più come nella Casa del
Fascio
intagli geometrici sul cubo ma diventa un piano astratto, una struttura
trasparente lasciata all'esterno per trattenere i piani e i volumi che
esplodendo vorrebbero eliminare la gabbia.
La soluzione che Eisenman
dà al conflitto che aveva
scoperto in Terragni ha una parola: Implosione.
Una
esplosione delle pareti, dei piani, dei volumi che però non
invade
l'esterno ma è rivolta all'interno, verso il dentro, verso se
stessa.
Una violenta reazione chimica viene trattenuta ed esaminata dentro una
provetta. Naturalmente si può riflettere ulteriormente "sul
significato"
di questa operazione: un'architettura ormai divenuta solo linguaggio
che
esplode su stessa e anche come le parole di "Virtualità" o di
"Presenza
dell'assenza" (quest'ultima di Jencks) sono in realtà sfocate
per
l'operazione implosiva scoperta da Eisenman.
Se le scoperte si muovono
mettendo insieme tensioni o
problemi che non erano dati in quanto tali prima della nascita
dell'opera,
si potrebbe dire che questa casa "dà una soluzione" a una
tensione
presente, ma non isolata prima quale "Tema".
Il viaggio nel progettare
chiarifica il problema, lo enuclea,
ne trova una soluzione. ("Arte è risolvere problemi che non
possono
essere formulati fino a che non sono risolti" con le parole di Piet
Hein).
House II dà una chiave critica per comprenderlo e a ritroso per
reinterpretare le fonti. In altre parole, il suo lavoro vero su
Terragni
non sono i due articoli, (importanti "storicamente" per la loro
pionieristica
lettura sintattica, quanto deludenti oggi) o il libro fantasma promesso
dal 1976, addirittura presente in Bibliografia (come, Giuseppe
Terragni,
Cambridge, 1985) ma mai in circolazione anche se una nuova Casa
editrice
lo riannuncerà, senza risultati, nel 1992. Il suo vero lavoro
saggistico
su Terragni è House II.
2. Differenze e
Diagrammi
A questo punto si
capirà meglio come il problema
delle Implosione scoperto da Eisenman è
diverso
da quello di altri protagonisti della scena anni Settanta.
Le popolarissime case
dell'architetto ticinese Mario Botta
elaborano una dialettica di contenitore-contenuto.
Il primo segue un andamento stereometrico e una volumetria pura, il
secondo,
invece, articola i piani, i livelli, gli spazi. Stereometria e
dinamismo
convivono l'uno dentro l'altro perché il contenitore è
una
scatola svuotata entro la quale si colloca uno scrigno articolato e
libero.
(Più avanti questa meccanismo verrà svilito attraverso
tagli
assiali e simmetrie classicheggianti del contenitore che banalizza le
tensioni
tra il sistema esterno e quello interno).
Le case di Hejduk
elaborano una delle componenti del purismo
Le Corbusieriano, (i volumi puri) innestandovi le tarde composizioni
urbanistiche
del maestro (come quelle di Chandigarh): oggetti a reazione poetica (a
volte prismatici, più spesso ad andamento ondulato e mistilineo)
non sono racchiusi in volumi unificanti ma lanciati nello spazio e
collegati
da meccanismi di percorso che anch'essi diventano oggetti. I pezzi di
questo
gioco di PRESTIGIO possono continuamente
variare posizione
nello spazio, in un incessante rincorrersi. (È un'operazione
simile
a quella compiuta da Gwathmey, che se perde in rigore sintattico
acquista
concretezza nel mediare l'assunto linguistico con le necessita del
programma,
del sito, della costruzione.)
Le prime case di Graves
sono apparentemente le più
simili a quelle di Eisenman derivando entrambe dal medesimo filone, ma
piani spazi e forme giocano con il collage, con una presenza quasi
surrealista
di panelli dipinti e soprattutto con un uso prezioso del colore lontano
dall'ascetismo didattico del nostro. Il puro "talento" di Graves, la
sua
capacità inventiva sono tutti orientati verso una sorta di ILLUSIONISMO percettivo stimolante in questa fase quanto stucchevole più
avanti
(quando il suo talento si rivolgerà al monumentalismo
corporativo
e alla riscoperta della tradizione eclettica americana).
Le case di Meier invece
partono dal programma funzionale
e organizzativo. Il bianco è il non-colore che adotta sempre e
il
suo comporre astratto si basa in realtà su una nuova forma di
figurazione.
Non più quella tradizionale degli elementi e dei punti di vista
privilegiati, della simmetria e degli ordini, ma bensì quella
delle
funzioni. I collegamenti interni, le rampe, le scale, gli spazi serviti
con le grande vetrate e quelli di servizio nei volumi pieni sono le
basi
del suo comporre. I risultati sono buone architetture, ma in fondo
prevedibili
perché scaturite da certezze che raramente spingono la ricerca
nei
territori del difficile e dell'incerto. Meier è in questa fase
un
abile e dotato Meccanico delle funzioni come
dimostrano
i diagrammi, (programma, struttura, circolazione, geometria) che sempre
accompagnano i suoi progetti.
Proprio i diagrammi
esplicativi di Meier dimostrano per
contrasto la natura di quelli di Eisenman. che, nonostante la loro
presunta
didatticità, sono maschere. Nel loro asettico susseguirsi essi
ripercorrono
le mosse di un ipotetico gioco che poco o nulla ha che vedere con la
complessità
del reale ragionare sul progetto. Male si farebbe a interpretare le sue
case fidandosi di questi diagrammi assonometrici (e vieppiù
degli
scritti dell'autore). La ragione prima dei disegni non è critica
(che, come autore, non è tenuto a fare), né autocritica
(l'unica
legittimato a compiere, e che invece, mai farà) ma
pubblicitaria.
Sono strumenti in quella campagna di legittimizzazione di cui abbiamo
parlato.
Senza stampa, mostre o studenti sarebbero inutili. Ma questi schemi
promozionali,
questi diagrammi di gioco non solo non servono criticamente ma
ingenerano
nel progettista stesso un grosso equivoco: quello tra una mossa
arbitraria
(ma rivelatrice) e una semplicemente errata, in cui la partita-progetto
viene persa. È quanto avviene con la House III.
3. Perversioni
dell'arbitrario.
Trovato e poi risolto con
efficacia un autentico nodo
sintattico con la House II, Eisenman va in cerca di nuove avventure che
si muovono esattamente in questa dimensione "di gioco" dei diagrammi La
forzatura del carattere di testo dell'architettura, il suo svincolarsi
dalle usuali parametri di controllo costruttivo e funzionale gli
permette
di fare perno sul concetto di arbitrarietà. È quanto
avviene
nella Casa III (Lakeville 1969-1971).
Si parte anche in questo
caso da un cubo questa volta
diviso in tre fasce. Poi si ripete l'operazione sul lato contiguo
determinando
18 quadrati complessivi (nove per piano). A questo punto, ecco la mossa
arbitraria: perché non inserire su questa struttura un nuovo
cubo,
magari ruotato di 45 gradi? L'origine di questa decisione è
arbitraria,
non è dettata da ragioni di alcun tipo eccetto quella della
sperimentazione
pura. (Estranei a Eisenman sono gli assunti del simbolismo funzionale
della
casa Esherick y di Kahn o quelli della creazione di un esterno dinamico
conformato dalle rotazioni delle fabbrica come nel villaggio di y
Charles
Moore e Mltw) Poco male se, dopo una prima verifica, l'idea venisse
abbandonata
oppure se si scoprissero, strada facendo, delle inaspettate valenze. Ma
questo non avviene, perché l'architetto non rinforza questa
mossa
arbitraria con alcuna altra scelta e anzi la ibrida ulteriormente,
rivelandone
la gracilità, creando gli spazi abitati sia lungo la diagonale a
45 gradi del nuovo cubo che lungo un lato dell'asse originario. Certo,
nasce un conflitto, una tensione tra queste due geometrie. Ma è
solamente quella dell'arbitrio che si ripresenta tautologicamente in
quanto
tale. La struttura diventa sovrabbondante, doppia, tripla, non per
rivelarci
una tensione tra i due sistemi in contrasto della House II ma
semplicemente
quale derivazione della scelta che l'ha generata. L'architettura non
è
più un testo, neanche un pretesto, ma un solitario gioco di
carte
che non può che far pensare a una pratica onanistica y. La
partita
del progetto è persa.
Naturalmente tutto
può essere teorizzato se alle
capacità di retorica si aggiunge una spruzzata di cinismo. E qui
si teorizza lo straniamento del cliente, il suo essere un intruso che
entra
in uno spazio non suo. Gli abitanti debbono compiere un processo di
appropriazione
di un oggetto ad essi estraneo. Questo farebbe scattare "un senso di
esclusione
che lavora dialetticamente per generare un nuovo tipo di
partecipazione-progettazione".
Buchi nel pavimento della camera da letto, scale che si muovono al
contrario,
tavoli a cui non si riesce ad accedere. Una architettura sbagliata
viene
teorizzata attraverso presunti valori contenutistici che si erano
preliminarmente
esclusi dal proprio universo contraddicendo la contraddizione in un
vortice
di non sense.
Le montagne possono
essere scomposte nei volumi puri della
sfera, del cilindro, del cono e del cubo. Nascono le tele del Moint y
Saint
Michel. Le bagnanti di Cezanne incontrarsi con le maschere primitive
africane.
Nascono le Demoseilles y d'Avignone. Le regole dell'astrattismo, di per
se estranee a ogni tensione ideologica, possono essere accoppiate alla
rabbia civile per un massacro. Nasce Guernica. Sperimentare frizioni
tra
distanti è la chiave per nuove conoscenze. La partenza
può
apparire arbitraria, l'arrivo sancisce l'assoluta necessità di
quella
scelta. Nella ricerca (artistica, ma non solo) tra "il caso" (che
può
essere anche generato arbitrariamente) e "l'arbitrio" sino alla
rappresentazione,
addirittura edificata, dei se stesso vi è una differenza. In
questa
House III, una mossa arbitraria non conduce a nulla se non a
ripresentare
se stessa..
Sono riflessioni che
possono avere interesse relativo:
il fatto importante è che è Eisenman stesso che comprende nei
fatti la differenza Troppo intelligente per imbottigliarsi in un
cunicolo
senza uscita opera infatti un'immediata retromarcia.
La House IV, infatti, fa
un passo indietro e ritorna al
tema scoperto nella House II. L'Implosione qui è risolta in
maniera,
in stile, in una quasi graziosa esercitazione e nel modo tutto sommato
più naturale: uno spazio quadrato centrale con gli ambienti
principali
distribuiti su livelli sfalsati e uno spazio a corona esterna che
contiene
un secondo diaframma. Naturalmente questo diaframma si svuota o si
chiude,
varia leggermente, a volte manca completamente. per far percepire tutta
la profondità dello spazio. Un'opera estremamente ben
congegnata,
che rivela con didattica evidenza come risolvere il problema, ma che
anche,
per questa sua stessa sicurezza, rischia di innestare, una routine, un
modo di procedere, uno stile che il giustamente irrequieto Eisenman
rifiuta.
4. La casa del
pendio. Eisenman wrightiano?
House VI, y Ga, cui
"Global Architetcure" ha dedicato
un numero monografico, introduce acerbamente una strada diversa. Poco a
noi interessa la centralità di cui parla Gandelsonas che
però
vede giustamente in questa casa un cambio di direzione alla
"successione
dei piani verticali" delle altre opere. Quello che appare chiaramente
in
questa casa è un procedere non più per piani ma per
volumi
o meglio il coesistere di "scatole volume" sovrapposte o scalettate
svuotate
in alto o in basso, ma appunto non più piani ma volumi. È
un'azione che l'architetto non ha la lucidità di portare alle
estreme
conseguenze e che coesiste con bizzarre travi in aggetto a mo' di
cornicioni
o basamenti e dall'altrettanta incongrua presenza di setti liberi
(fragilissime
memorie delle operazioni linguistiche tutte diverse compiute nelle
opere
precedenti). È una maniera embrionale, inconsciamente
contraddittoria,
di cercare un tema nuovo. (allo stesso modo dell'incerta House I
rispetto
alla affascinante House II). Per capire l'incertezza di House VI
dobbiamo
vedere il problema aggredito. È quanto avviene con la House X
(Bloomfield
Hills Michigan), le altre evidentemente, almeno agli occhi dell'autore,
non presentano alcun interesse visto che non sono state pubblicate
né
appaiono nei regesti delle opere.
House X, iniziata nel
1975 ma a cui Eisenman continua
a lavorare per alcuni anni, apparentemente seppellisce il problema
terragniano
del conflitto tra la forma primaria e la dinamica dei piani esplosi, e
poi trattenuti. La casa si presenta come una composizione di volumi in
masse estremamente articolate che si muovono tutte verso l'esterno per
una libera conquista dello spazio. La tempesta in un bicchiere della
implosione
appare superata. Negli sbalzi, (mai usati prima) negli angoli svuotati,
addirittura nelle tessiture diverse dei materiali (è la prima
volta
che il materiale entra effettivamente in gioco) il progetto sembra
muoversi
semmai in una poetica wrightiana, almeno in quella di certe opere
californiane
degli anni Venti, o forse, ancora di più, nel manifesto della
stessa
Falling Water. Ma questo riferimento, del tutto evidente a guardare gli
esiti, non nasce da uno studio critico o teorico, come per Terragni, o
da una esotica riscoperta del maestro di Chicago, ma avviene, quasi,
per
forza di cose.
Eisenman infatti per la
prima volta non appoggia i suoi
candidati oggetti "sopra" un vassoio isotropo, omogeneo e in fondo
assente,
ma del suolo valorizza la componente orografica (un sito che declina) e
quindi le viste che si generano. La sua architettura appartiene a quel
luogo è, wrightianamente appunto, "di" quella collina.
Questa poetica per volumi
esplosi (il piano libero come
il telaio sono quasi seppelliti) si basa, su un percorso anulare che,
legando
tra loro le varie situazioni del lotto, attraversa in discesa la casa
suddividendola
in due blocchi. Il percorso incontrando la casa si trasforma in una
scala,
i cui pianerottoli generano altri due blocchi distinti per lato. Una
mossa
questa volta "centrata": innanzitutto funzionalmente, perché i
quattro
quadranti, creano spazi altamente fruibili, collegati tra loro dalla
spina
in discesa ma ognuno autonomo (zona giorno, studio, sala di servizio,
camere
separate per gli ospiti per i circa 730 mq complessivi). Mentre il
percorso
attraversa l'intera casa per poi continuare a legare tra loro altri
episodi
sull'area, (la piscina, il padiglione d'entrata, i garage) ogni blocco
abitato è dotato di un proprio sistema di scale che permette di
accedere al livello superiore con stanze o terrazze sull'intera
superficie
coperta o solo su delle porzioni. I quattro quadranti staccati e a un
tempo
collegati si possono articolare in differenti altezze e far dialogare i
diversi materiali. Eisenman vi userà sia le reti (poi tipiche di
Gehry) che i rivestimenti in panelli di alluminio (che saranno la
griffe
di Meier) ma anche gabbie modulari vetrate che dal percorso fuoriescono
lateralmente.
Il progetto dimostra come
si possa superare il conflitto
trovato nelle due opere opposte di Terragni e, attraverso una fase di
incertezza,
comunicare una nuova persuasiva idea. L'opera anticipa una
peculiarità
di quello che sarà l'Eisenman maturo. La capacità di fare
concretamente architettura tenendo alto il tiro della riflessione
teorica.
Al di là della consapevolezza dell'autore, in fondo
trascurabile,
si noti come questa casa segni una strada nuova rispetto a due
importanti
assunti. Quello del famoso schema wrightiano di "ogni uomo il suo
castello"
(quattro case autonome e indipendenti ma generate da uno schema
cruciforme
a cui ciascuna è legata su due lati) e quello del Danteum.
Terragni
nell'edificio emblema per Dante divide il rettangolo in quattro
quadranti
che differenzia anche in sezione per generare le aule a diverse quote
delle
cantiche. La figura della croce è organizzazione interna,
smistamento
e filtro tra le sale. Ma mentre Terragni e Lingeri racchiudono la
composizione
in un prisma, e Wright non dà alcuna evidenza spaziale al nucleo
geometrico che genera le quattro case, Eisenman spinge wrightianamente
i quadranti all'esterno dando al contempo valore di fenditura allo
schema
organizzativo che presiede al Danteum. Che qui non solo ha ragioni
spaziali,
distributive e funzionali ma rimanda a intriganti relazioni con il
sito,
alla circolazione interna ed esterna, al modo stesso di usare la casa.
Un'opera vera e riuscitissima.
5. Trivellazioni nell'inconscio.
Ma Eisenman non prosegue
neanche questa volta anche se
le ragioni dell'abbandono di una via così promettente, non sono
di natura squisitamente disciplinare. Il cliente nel 1978 decide di non
realizzare l'opera e l'architetto, frustrato, comincia a scavare dentro
se stesso attraverso la terapia psicoanalitica: un altro classico del
manhattanismo.
Il perenne sperimentatore Eisenman è per giunta spiazzato
dall'ondata
nostalgica (vi torneremo) e dal travolgente successo del vecchio amico
Graves, (ironizzerà sul cognome - in inglese "tomba" - in un
articolo
dal titolo Graves of the Modernism del 1978). Si attorciglia in
manovre di politica culturale nello Iaus, che comincia ad agonizzare, e
soprattutto abbandona la strada ottimistica di House X per cercare
nuove
origini e motivazioni del suo progettare. Lo scavo nella propria
personalità,
nel proprio rimosso ebraismo, nella ricerca costante di mentori si
muove
dalla Io al lavoro di progettazione in un una evidente, quasi
letterale,
continuità. I progetti diventano come scavati, affondati nel
suolo
(inconscio, passato, ombra) da cui emergono faticosamente i volumi.
L'architettura
implosa su stessa, quella organicamente aperta e slanciata di House X,
ora va a trivellare il suolo per cercare le ragioni per riemergere da
una
fase di incertezza.
Tipico di questa fase
è il progetto di House XI
che inserisce più volte a mo' di padiglione nel progetto di
Venezia-Cannaregio
variandone ad ogni replica la scala. La casa da una parte usa la nuova
ricerca sul volume e sui materiali (emergono due tessiture: uno vetrato
con montanti molto ravvicinati come una serra e un secondo invece
monolitico
e senza apertura che si intreccia sovrapponendosi al prima) dall'altra
manifesta una intenzione di radicarsi alla profondità. Il
progetto,
(originariamente per la casa dell'amico Kurt Forster) sfrutta l'antico
interesse per le geometrie ad "L" muovendole però su tre
dimensioni,
sovrapponendole e ruotandole a spirale con la figura dell'elica o
meglio,
bisognerebbe dire, della trivella.
Sempre per il progetto di
Venezia-Cannaregio disegna un
"Contextual Object" che toglie quel minimo di rassicurante presenza del
padiglione di House XI . Si presenta come una casa-sezione: un pozzo di
trivellazione. Come non pensare alla follia analizzata da Foucault, che
Eisenman cita ora ripetutamente, o alla famosa citazione del teatro
della
follia di Y Marat Piet Heiss y. Nel fosso buio del rivoluzionario
deluso
Marat, per uscire ci si può aggrappare solo ai propri capelli.
Ma
per uscire bisogna chiudere un ciclo. Dopo aver sperimentato con House
eleven Odd giochi sulla rappresentazione stessa (una casa che è
una assonometria) questo compito è assolto da Fin d'Ou tous
House.
L'opera elabora gli stessi temi delle precedenti (trasformando le "L"
in
un cubo mancante di una parte) . Vi riappare, a chiusura di un ciclo
aperto
quindici anni prima, il motivo del telaio terragniano. Siamo nel 1983,
in un anno di svolta anche dal punto di vista personale.
4. Dislocare
il Post
1. Sterro, tracciati, metafore
Agli inizi degli anni
Ottanta Eisenman appare chiuso in
sperimentazioni , di scarso interesse se si esclude il nuovo,
dislocante,
rapporto con la psicoanalisi, ma in fondo tutto privato e personale.
Alcuni
critici descrivevano le poche case realizzate come un insieme di forme
invivibili (con clienti che decidono di "non abitare" le case da essi
stessi
commissionate) che non potevano influenzare la produzione
dell'architettura
soprattutto se confrontate alle molte realizzazioni degli ex compagni
di
strada dei NY Five (Richard Meier con il suo rigoroso Neo-razionalismo
ma soprattutto Michael Graves con la sua architettura neo-decorativa).
Il motivo della crisi di
questi anni, in parte vi abbiamo
già fatto cenno, è a un tempo personale e generale. Siamo
all'apogeo del Post-moderno (Po.Mo). Un fenomeno che approda anche alla
Biennale veneziana del 1981 y attraverso la sorprendente convergenza
tra
la metafisica rossiana e il neo-barocco portoghesiano. Gli assunti del
Po.Mo, come erano stati sistematizzati nel 1977 y in un fascicolo di
"Architectural
Design", non erano però del tutto privi di interesse. La
costruzione
del critico britannico Charles Jencks tendeva a ricomporre in una nuova
era di libertà, di apertura antidogmatica una serie di rivoli
del
dibattito architettonico dagli anni Cinquanta in poi: dallo storicismo
italiano di Albini e Gardella al partecipazionismo di Erskine o Kroll,
dal vernacolare pop di Venturi, alle esperienze Morph, dallo
strutturalismo
di Piano e per altri versi di Safdie, alle esperienze del Taller de
arquitecture
con il giovane Bofill o quelle del Mltw e di Charles Moore. Da una
parte
si rivendicava l'autonomia della ricerca estetica (ancora, per molti,
meccanicisticamente
dipendente dalla funzione); dall'altra si poneva con grande forza in
primo
piano il concetto di Luogo di matrice organica.
Ma "Autonomia estetica" e
"Luogo" invece di far avanzare
la ricerca verso nuove strade di ancora maggior consapevolezza,
ricchezza
e libertà espressiva verranno appiattite (soprattutto quando
interverrà
ad arbitro della varie tendenze Philip Johnson), in un nuovo dogma.
Viene
valorizzata la componente più trita tra quelle presenti
nell'originaria
miscela: la classicheggiante e neo decorativa impostazione dello stesso
Johnson e del suo famoso ITT, di Venturi, di Moore, di Graves, di
Stern,
poi di Krier e del suo Principe. Il "luogo" serve per teorizzare
presunti
ambientamenti nostalgici, la ritrovata "autonomia espressiva" per
legittimare
pastiches neo-decorativi.: una formula che soprattutto negli Stati
Uniti,
ma anche un poco in Gran Bretagna e in Francia, ebbe una sua fase di
successo
commerciale.
Eisenman naturalmente
è spiazzato da questa tendenza.
Nel corso degli anni Settanta non ha sviluppato una effettiva rete di
relazioni
professionali o uno studio strutturato che gli permetta di chiudersi in
una fase di resistenza e di autonomia (come quella di Meier o di Pei in
questo momento) perché si è concentrato maggiormente
nella
promozione delle sue numerosissime iniziative che, pur se a volte
ecumenicamente
onnivore, risultano ormai perdenti rispetto alla grande ondata del
ritorno
alla Storia. Ha la coerenza intellettuale - lui che spesso viene
imputato
del contrario - di non abbracciare avventure, di non volersi
epidermicamente
riciclare.
Ma la crisi è
anche personale perché l'ormai
cinquantenne Eisenman non può considerasi né un
architetto
"credibile" (troppo poche, di modestissima scala e in fondo "teoriche"
le sue prove), né un autentico studioso (non ha prodotto alcun
testo
di peso ma solo alcuni articoli provocatori) mentre la sua azione di
promozione
culturale soprattutto come direttore dello Iaus si avvolge in
estenuanti
giochi di politica culturale (dice che non gli interessa il potere, ma
il "gioco" della sua conquista). Eisenman comprende che la situazione
è
senza via di uscita: che bisogna rifondare cambiare nel profondo .
Sembra
quasi mettere in atto su se stesso la formula derridiana che muove la
sua
psicoanalisi. "Non buttiamo via le cose rigettiamo o che ci preoccupano
o ci creano ansietà, cerchiamo di capire perché le
vogliamo
eliminare". Comincia così a decostruire lentamente molti aspetti
della sua esperienza.
Eisenman ha sempre
rifiutato classicismi, simmetrie, revival
stilistici, ma il fenomeno Po.Mo non può essere rimosso come se
nulla fosse. Per essere superato, non può essere solo rigettato,
ne vanno capite in profondità alcune ragioni, per
metabolizzarle,
trasformarle andare avanti.
Ora, dell'autonomia
linguistica egli era stato un precursore,
ma sul concetto di luogo posto dal Po.Mo alla ribalta egli deve trovare
una propria declinazione che non sia quella mimetica e ambientalista,
di
una banalità paragonabile ai disarmanti esiti. L'idea su cui
ragiona
(e di cui abbiamo visto l'anticipazione nelle ultimo ciclo delle case)
può essere condensata nella formula dello "Sterro archeologico":
un riscoprire alcune ragioni del fare architettura in una dimensione di
luogo "concettuale", come un disseppellire le storie dei luoghi
scoprendo
geometrie abbandonate, perdute o soltanto immaginate. Lo strumento per
questo lavoro si chiamerà tracciato: reticoli spaziali e
ordinatori,
griglie complesse stratificate e sovrapposte come in un palinsesto (le
vecchie carte medievali su cui si scriveva cancellando, ma non
completamente,
i testi più antichi) che ne costituirà per alcuni anni il
principale strumento di lavoro.
Ma vi è un altro
aspetto portato alla ribalta dal
Po.Mo per autolegittimare le opere dei suoi autori: quello dei presunti
valori "collettivi", pubblici, di immagine che l'architettura di
origine
cubista del secolo aveva rimosso e che invece da Venturi a Graves a
Johnson
si vogliono ritrovare in un conclamato ritorno alla Figurazione contro
l'Astrazione. Via libera allora agli elementi riconoscibili di
identificazione
collettiva del pubblico: i timpani, le edicole le colonne i portici,
quando
non le grandi statue a mo' di acroteri y. Anche su questo Eisenman, che
non può non sentire un viscerale rifiuto; pensa, riflette, e
trova
una sua soluzione, che cambia i termini della medesima questione.
La strada è quella
della metafora. L'architettura,
pur conservando intatta la sua valenza astratta nella relazione tra
"segni"
senza significato proprio, narra anche una sua storia, trova origine in
una intuizione di cui l'edificio, pur se attraverso una serie di
complessi
intrecci spaziali tecnici, funzionali e costruttivi, conserva e rimanda
presenza.
È quanto avviene
con il primo edificio importante
che realizza a Berlino ovest accanto al muro all'epoca ancora
esistente.
L'opera ripresenta l'idea di frattura, di lacerazione sia nei tracciati
con cui è sagomata l'elevazione che nella stessa dinamica
frammentazione
delle masse.
2. Stratigrafia a
Berlino.
Nel 1982, quello dei suoi
cinquant'anni, Eisenman si sgancia
da una serie di impegni culturali e promozionali, dopo una lunga agonia
si dimette dalla direzione Iaus, chiude "Oppositions", decostruisce la
propria vita familiare, e allo stesso irrobustisce lo studio (dal 1987
Eisenman architects) perché la proposta di concorso per l'Iba a
Berlino che aveva guadagnato il primo premio l'anno prima passa alla
fase
realizzativa. È il suo primo edificio importante perché
una
piccola Stazione dei pompieri a Ohio State realizzata nello stesso arco
di tempo, si rivela assolutamente deludente.
Il palazzo per
appartamenti, completato nel 1985, sorge
in un punto importante della città (Checkpoint Charlie,
adiacente
al muro tra est e ovest) e completa l'angolo di uno dei grandi isolati
della città. In questa occasione l'architetto deve accettare la
complessità del programma funzionale perché i clienti non
sono più gli eccentrici intellettuali delle case unifamiliari.
Gli
appartamenti sono serviti da una scala comune posta nel retro del
fabbricato
e sono distribuiti da un ballatoio che si ripete nei sette piani. I
bagni
e le cucine sono lungo il percorso, mentre gli ambienti affacciano
all'esterno.
Lo schema è funzionale, fornisce le dimensioni e i tagli
richiesti,
risponde agli standard normativi tedeschi e, attraverso l'andamento
mistilineo
del perimetro, rende ogni casa speciale. Alla base del progetto questa
volta non sono tanto i meccanismi sintattici della architettura di
carta,
ma appunto l'idea dello sterro: tracce stratificate nei luoghi che,
ritrovate
quasi archeologicamente, conformano il progetto. Per cui l'edificio
usando
le parole dell'architetto è come "sollevato" da un terreno
archeologico,
le masse "sono letteralmente fossili fuoriusciti dal piano orizzontale
del terreno", che lasciano incise nella terra le tracce della loro
precedente
esistenza (articolazione della pianta) mentre "svolgono il racconto
della
loro storia nelle facciate." Queste ultime dunque diventano delle
sezioni
stratigrafiche, dei pezzi di materia riemersi (e cercano di presentarsi
come tali anche se, naturalmente con i necessari compromessi legati
all'uso).
A guardare l'edificio
realizzato, naturalmente, si può
essere convinti sino a un certo punto dalla bontà e soprattutto
dalla effettiva risoluzione di queste, per altro opinabili, idee. Ma
bisogna
ricordare che la costruzione è solo un frammento della proposta
complessiva, ben più articolata e interessante, che investiva
l'intero
isolato. Il progetto presentato al concorso proponeva una strategia di
modifica di "town design" con nuovi intriganti spazialità e
nuove
funzioni sia lungo il perimetro che all'interno dell'isolato. Era, come
legittimo aspettarsi da Eisenman una relazione dissonante, "per
contrasto"
tra le nuove costruzioni e quelle che già esistenti. L'isolato
ottocentesco
era investito da un sistema di reticoli ruotati di 15 gradi rispetto
alla
maglia ortogonale esistente. La nuova geometria creava una successione
di spazi interni, di percorsi di collegamento che determinando nuovi
invasi
mistilinei e inglobava nella sua nuova trama gli edifici esistenti.
Apparentemente
un nuovo gioco formalista, in realtà un esercizio geometrico ma
che determinava spazi che alla naturale tensione dinamica derivata
dall'incrocio
dei suoi sistemi geometrici associava la possibilità di una
soddisfacente
risoluzione funzionale (come dimostra il frammento realizzato).
Questo progetto mostra un
rapporto critico, dinamico,
di cambiamento rispetto all'esistente, dà una lente con cui
guardare
alla città consolidata ma con fuoco al futuro e non solo al
passato
di cui però non cancella le tracce. Il concetto di Luogo, viene
fatto reagire con altre suggestioni (le griglie hanno motivazioni nella
lettura a palinsesto della città, la presenza del Muro viene
riassunto
a emblema metaforico dell'edificio eccetera) senza aderire alla troppo
facile "memoria" o alla riproposizione "mimetica" dell'esistente in
parte
presenti in altre proposte dell'Iba.
3. Collage di
tracce.
Questa idea dello sterro
archeologico, dei tracciati da
riscoprire e portare alla superficie per strutturare il progetto si
ripresenta
in una proposta per il Parco della Villette realizzata con la
consulenza
di Jacques Derrida e che viene a integrarsi con il programma tecnico e
architettonico della realizzazione di Bernard Tschumi. È una
serie
di dislocamenti e sovrapposizioni di griglie su un'area di circa 210
metri
per 270 che hanno origine da frammenti di storia rintracciate nelle
mappe,
o in costruzioni poi demolite. Coesiste così l'idea del
mattatoio
che vi insisteva o quello delle mura che in quel punto circondavano la
città. L'esito è un intrigante collage, fa pensare ai
lavori
di Mimmo Rotella y che scorticava i manifesti pubblicitari che negli
anni
erano stati sovrapposti l'uno all'altro, ma manca di una strutturazione
spaziale convincente. Eisenman ricorre per spiegare le presunte valenze
del progetto al valore intellettuale dell'esperienza. Si tratterebbe di
un progetto non-autoritario: "Vi erano due siti, uno a Parigi
l'altro
a Venezia (anch'esso per coincidenza un'area con un mattatoio). Un
architetto
franco-svizzero, Le Corbusier, va a Venezia e vi inserisce la sua
griglia,
un architetto americano [Eisenman stesso] raccoglie quella griglia e
l'allunga
dal Mattatoio a Cannaregio. Un altro architetto franco-svizzero
[Tschumi]
va a Parigi e mette sull'aria del mattatoio una griglia astratta come
quella
di Le Corbusier, e chiama un architetto americano [Eisenman stesso] ad
inserire una nuova griglia sopra la sua griglia. Quindi naturalmente io
metto la mia Griglia di Cannaregio sopra la griglia della Villette.
Nessuno
può prendere autorità o merito per l'operazione o per chi
è arrivato prima".
La descrizione è
sintomatica: da una parte ricorda,
giustamente, che l'idea dei tracciati e dello sterro archeologico, ha
origine
nel 1978, nel progetto di Concorso che fece per Venezia Cannaregio
(dentro
cui pose la sua House XI), ma vi è anche una sottile
rivendicazione:
è indubbio che la realizzazione di Tschumi alla Villette deve
più
di qualcosa alla pionieristica soluzione eisenmaniana del 1978. Quindi,
con una tecnica retorica di una certa sofisticazione, Eisenman enuclea
dei fatti (di cui è protagonista), che in realtà
smentiscono
la tesi che, apparentemente, si vuole sostenere: "Nessuno può
prendere
autorità o merito per l'operazione o per chi è arrivato
prima".
È vero il contrario: è ad Eisenman che si deve l'aver
trovato
questa direzione, questo metodo di lavoro sui tracciati, le griglie i
palinsesti.
Ma nonostante le
affascinanti autogiustificazione, i numerosi
rimandi di alter ego psicoanalitici e il sottile gioco con Tschumi il
progetto
come dicevamo rimane deludente. Il gioco con la griglia portato
all'estremo
e giustificato come "non principio di autorità" spinge di nuovo
Eisenman contro il muro, come i diagrammi giocati arbitrariamente
avevano
portato alla House III. Naturalmente bisogna cercare altre direzioni
anche
questa volta e Eisenman lo farà.
Il progetto per il Wexner
center, invece del parossistico
e intellettualistico gioco di griglia e sterro presentava, sia pure in
embrione, anche una nuova idea. Quello dello spazio "tra" le cose:
naturalmente
generate per frizione e non assonanza e che si evolverà
più
in là in ancora più convincenti progetti.
4. Il "tra"
La realizzazione dello
Wexner center for Visual Arts a
Columbus, si completa nel 1989, ma nasce da un concorso ad inviti nel
1983.
Eisenman incunea tra gli edifici esistenti del campus una struttura
reticolare
tridimensionale che da spazio di risulta diventa il nuovo fulcro
simbolico
e funzionale del progetto. Malignamente si mormorerà che la
fittissima
rete di relazioni pubbliche intessuta sin dagli anni Settanta comincia
a dare i suoi frutti: in questo caso con l'affermazione nella
Competizione.
In realtà, anche ad una rapida occhiata, il progetto presenta
una
soluzione strategica di grande interesse per gli stessi amministratori
dell'Università.
Il programma richiedeva
una serie di attrezzature (un
teatro, spazi per esposizioni temporanee e permanenti, uffici, un
caffè,
studi e laboratori per un totale di 130.000 metri quadri) che né
museo, né uffici, né laboratori propriamente detti vede
l'arte
come un processo continuo dalla fruizione alla produzione. Ne deriva la
caratteristica "di percorso" dell'edificio: un'idea che ha una sua
storia
(anche americana: basti pensare alla spirale del Guggenheim di Wright e
alla risposta lecorbusieriana dove una rampa letteralmente attraversa
l'edificio
del Visual Art Center di Harvard). Ma oltre a strutturare un edificio
percorso,
naturalmente anche in questo giocando con la rampa, il progetto di
Eisenman
si rafforza attraverso altre due scelte.
La prima è quella
di articolare l'edifico non solo
sulla spinta di una forza interna, o di una limitrofa situazione
morfologica,
ma attraverso due Tracciati regolatori: quello della città e
quello
del campus universitario. Basterebbe, forse, quale base del progetto
perché
le due geometrie sono ruotate l'una rispetto all'altra ed esercitano
dunque
una tensione deformante nel progetto. Ma è una nuova idea quella
vincente.
Invece di proporre la
costruzione in un lotto libero del
campus, Eisenman memore dell'innesto urbanistico compiuto a Berlino, inventa un luogo conficcando la costruzione tra due edifici: l'auditorium e il
museo propriamente detto. Una operazione di densificazione che si
contrappone
allo spreco di nuove aree, e vitalizza gli amorfi retri di servizio
degli
edifici derivati dalla lottizzazione del campus.
Del tutto naturale, da
queste premesse, la soluzione.
L'architetto fa penetrare tra gli edifici del campus una maglia
reticolare
tridimensionale: una costruzione-percorso che trasforma lo spazio di
risulta
in nuovo fulcro simbolico e funzionale del progetto. Lungo una rampa
che
vi scorre, si snodano i percorsi e i fatti espositivi, si accede agli
edifici
esistenti sui due lati e alle estremità a una serie di
attrezzature
richieste dal programma. L'idea dello spazio "tra" le cose come
strategia
di progetto (lo chiamerà, teorizzandolo anche negli scritti, "il
between") fa così con questo progetto, la prima cosciente
comparsa.
Ma il progetto presenta
anche grosse incertezze. La principale
consiste nell'adoperare la vecchia idea di telaio, che caratterizzava
la
sua fase terragnana, all'interno della nuova concezione. Pur se la
strategia
del connettere con il percorso, dell'incunearsi tra aree di risulta, di
sfruttare geometrie esistenti è valida, l'esito spaziale
determinato
dallo scontro tra geometrie tridimensionali a telaio (con gli
inevitabili
incroci, raddoppiamenti e i famosi pilastri tagliati) ricorda un poco
l'arbitrario.
La griglia tridimensionale, lo capirà oltre, non è lo
strumento
per plasmare i cavi. L'esito spaziale è lo scontro fine a se
stesso.
Il secondo limite con cui
il progetto si scontra è
nel conformare lo spazio esterno. La soluzione è molto debole su
entrambi i lati. In quello a nord y è la riproposizione di
volumi
differenziati e tagliati a mo' di sezione: una composizione mediamente
interessante ma incapace di raffigurare una chiara articolazione
dell'esterno.
Sul fronte opposto, invece, si gioca con le improbabili memorie di
bastioni
militari precedentemente nell'area che vengono ricostruiti con una
tecnica
volutamente falsa e provocatoria. Al di là della pregnanza
culturale
dell'operazione rimane il problema. Questi pezzi addossati alla testata
mostrano che Eisenman non ha sviluppato una strategia per affrontare un
dettato dell'architettura: la creazione dello spazio pubblico
attraverso
la manipolazione volumetrica e spaziale dell'edificio stesso.
5. Il futuro del
passato
Sembra aggredire il tema
della creazione dello spazio
pubblico nel più gehriano dei suoi progetti. Il Museo di Arte
nel
campus di Long beach, in California. Il rapporto tra Frank Gehry e
Eisenman,
al di là della concorrenza e della tensione tra i due o delle
manifestazioni
espositive che li hanno visti associati (come quella alla Biennale
venezia
del 1991), quali figure di assoluto spicco nella scena architettonica
statunitense
e quindi mondiale, va un attimo inquadrato.
Gehry opera una sintesi,
la più alta di questo
scorcio di fine millennio, di tre componenti presenti ma distanti tra
loro
nella cultura architettonica americana.
La prima componente
è palese. È il filone
della pop art, che nel suo caso si muove nella riscoperta non tanto dei
presunti valori "popolari" alla Venturi, ma in un uso tattile di
elementi
semplici, poveri, triviali. È una accanita sperimentazione, a
lungo
condotta in sordina, che inventa un nuovo spazio espressivo per
materiali
poco usati in edilizia e che rivela al contempo una straordinaria
sensibilità
scultorea ed espressiva. La stessa di John Johansen. Questa seconda
ascendenza,
di cui poco si parla ma che non è sfuggita a Paul Heyer,
sarà
fondamentale in Gehry. Johansen, autore del famoso Mummers Theater y,
crea
composizioni estremamente dinamiche, esplose letteralmente nello spazio
in una logica che ne segna anche il cammino di evoluzione futura.
Ma detonatore della
miscela tra estetica povera e dinamica
scultorea è una nuova concezione dello spazio pubblico. Gehry fa
tesoro delle ricerche di alcuni architetti californiani e in primo
luogo
di Charles Moore. Tra gli anni Sessanta e Settanta Moore opera una
interessante
riscoperta. I volumi puri sotto la luce della tradizione
lecorbusieriana
portavano con sé (soprattutto nelle banalizzazioni delle
periferie
di tutto il mondo) allo scollamento tra edificio e spazio. Il primo
diventava
un volume puro, dimensionato e pensato per le sue valenze funzionali ed
espressive autonome. Il secondo era un vassoio verde, isotropo omogeneo
non più sagomato come nella precedente tradizione della
città
in cavi e invasi formati dagli edifici stessi. Moore, anche ispirato da
costruzioni rurali e vernacolari sparse per il mondo, come dalle grande
architettura tardo romana di Villa Adriana, riscopre invece la
possibilità
di architettare le relazioni tra gli edifici per creare spazi aperti.
Edifico
e spazio pubblico vengono pensati di concerto per determinare sequenze
spaziale e funzionali che si proiettano dall'esterno all'interno e
viceversa.
È un'idea con risvolti scenografici, delicata da gestire. Tanto
è vero che la pur grande intelligenza di Charles Moore
finirà
con il cadere nelle risibili parate delle sue piazze d'Italia. Ma
ciò
nondimeno è una idea nuova che Gehry assorbirà
naturalmente
trasformandola (è la terza componente di cui dicevamo).
Le sue architetture
pertanto nascono quasi sempre da un
incrocio tra un materiale tattile, "pop", (ma anche sensibile al
contesto,
come nella pietra del suo centro americano a Parigi) montato con
esaltanti
contrastati e con sapienza nuovissima; composizioni esplose nello
spazio
alla Johansen ma che fanno sempre centro su un concetto di spazio
conformato,
creato dagli edifici: la "L" che si apre sulla strada del padiglione
ospedaliero
di Yale a New Haven, il nuovo foro della facoltà di legge della
Loyola University, la stradina interna del centro commerciale di Santa
Monica. Ma la genialità di Gehry va ancora oltre, perché
questi nuovi cavi circondati dai suoi luccicanti volumi si
arricchiscono
d'improvviso di oggetti d'arte. Come i grandi cavi barocchi entravano
in
dialogo organico con le barcacce, le fontane dei Fiumi e le cascate
animate
di Trevi. L'arte pura riacquisisce un posto: naturalmente con le
valenze
d'oggi. Il grande pesce di Barcellona o del ristorante a Los Angeles,
il
binocolo gigantesco, l'aereo appeso alla parete del museo.
Questa capacità di
conformare con l'architettura
lo spazio pubblico, nel 1986 aveva già dato più di una
prova,
ma su questa tema i progetti di Eisenman sono disarmati. L'operazione
sia
a Berlino, che nel Wexner a Columbus, è tutta di
"densificazione"
mentre assenti sono tecniche di "diraradazione" che possono permettere
la definizione dei cavi. È del tutto naturale: perché
mentre
l'origine dei cavi di Gehry è nello stage set, lo strumento di
Eisenman
per attaccare il vassoio corbusierano è la griglia. Un concetto
appunto di densificazione e di controllo spaziale che ha la sua origine
nelle nuove esperienza della casa bassa ad alta densità (dagli
svizzeri
di Atelier 5 a Louis Sauer, un altro brillante allievo di Kahn come per
altro erano stati Moore e Venturi).
Ora mentre sia nel
progetto di Cannaregio che nella Villette,
e nello stesso Romeo e Juliet a Verona del 1985, Eisenman non ha
coscienza
effettiva di come creare lo spazio pubblico, nel bellissimo museo
d'arte
per l'università California State a Long Beach egli pone in
essere
un incrocio tra la manipolazione spaziale di Gehry e i tracciati
regolari,
le griglie, gli sterri che gli sono propri: gli stessi un poco gratuiti
bastioni del Wexner qui, gehrianamente, si trasformano in significanti
macrosculture (nella fattispecie un percorso sopraelevato, come un
molo,
e una torre, che ricorda quelle di estrazione del petrolio). I vari
tracciati
usati per modellare il progetto con la tecnica del palinsesto derivano
di nuovo dalle planimetrie storiche dell'area (il ranch che vi
preesisteva,
il campus) insieme alle planimetrie della famosa faglia californiana e
poi il fiume, la costa, il canale. Ma non è il collage o il
palinsesto
il solo motore dell'operazione perché le tracce entrano in
relazione
con l'organizzazione spaziale. Una cavea diagonale (allo stesso tempo
percorso,
elemento paesaggistico, giardino di sculture all'aperto e
organizzazione
degli eventi museali che vi si addossano) e un percorso sopraelevato a
mezzaluna che la attraversa collegando un nuovo padiglione espositivo e
una struttura preesistente nell'area.. Una doppia geometria, secca e
ben
risolta, che come al Wexner va a ridosso di un edifico inglobandolo in
una nuova relazione. Cavea diagonale e mezza luna proiettano linee di
forza
negli altre angoli del sito legando insieme, il parco preesistente,
altri
edifici, un nuovo lago. Rimane uno dei più ricchi e intriganti
progetti
di Eisenman. Assolutamente dissimile da quelli di Gehry, ma anche
capace
di metabolizzare la lezione dell'amico rivale nella creazione di un
nuovo
fulcro che fa da perno alle diverse e complesse geometrie di un museo
calato
nello spazio e nel paesaggio.
In Eisenman come in Gehry
rientra dunque, attraverso una
contaminazione di ben sofisticato livello intellettuale, il momento del
racconto. "La verità e la metafora possono essere messe in
discussione
- scrive derridianamente nel 1989 - non sbarazzandosene, ma entrandoci
dentro, esaminando criticamente la loro struttura" (Eisen 89a p. 214).
I progetti ormai si muovono dal testo-testo della prima fase al
testo-racconto
ma strutturalmente molteplice, complesso polidirezionato.
5.Rivoluzione
permanente e grandi conquiste
1. lotta al Cubo
In realtà Eisenman
sembra essere percorso da un
fremito elettrico. Già abbiamo notato il suo costante bisogno di
sperimentazione, di novità. Mentre in artisti come Gehry, le
componenti
fondamentali dopo essere state individuate circa tre lustri fa, si
affinano
e perfezionano nelle nuove occasioni, Eisenman cerca sempre una nuova
sfida,
un nuovo dislocamento. Nel cammino egli usa, per poi abbandonare,
tecniche
di progetto che lasciano a chi voglia raccoglierle una spesso vitale
traccia
di lavoro.
In maniera sempre
più accelerata nel corso della
seconda metà degli anni Ottanta le "scoperte" sono numerose.
Filosoficamente
è vicino alla teoria di Derrida (che sostituisce il ruolo di
ispiratore
che aveva avuto Colin Rowe nella formazione, Chomsky nell'analisi
strutturale
e Foucault nella indagine sulla modernità). Comincia a essere
attratto
verso la geometria non-euclidea e la teoria del caos: studia i
frattali,
il Dna (il padre è stato un eminente bio-chimico), .gli atomi
leibniziani
y, la geometria booleana. Proprio questa geometria oltre a strutturare
integralmente un progetto avrà ulteriori sviluppi nel suo lavoro
e quindi merita una pur brevissima delucidazione.
La geometria booleana
è dinamica, quanto quella
euclidea è statica. Se un cubo viene traslato nello spazio si
possono
creare molteplici sistemi di assi derivanti dall'unione dei vertici del
cubo iniziale con quello spostato. Dal legame virtuale tra i due,
nascono
infatti una serie di prismi deformati, con assi anche non ortogonali
tra
loro: una geometria quindi a più dimensioni, nata dal movimento.
Oltre a tutti i prismi
deformati che si possono ottenere
dall'unione dei vertici traslati, si può operare anche sui due
cubi
originari considerandone le reciproche risultanze tridimensionali
quando
si varia il segno "+" o "?" attribuito a ciascuno. Le "operazioni
booleane",
(termine che dovremo riusare) sono tre: la prima è di Incastro
(la
nuova figura tridimensionale è formata dal primo cubo più
il secondo cubo, entrambi con segno positivo); la seconda è di
Sottrazione
(un cubo, con segno negativo, erode la parte in cui si sovrappone al
cubo
positivo); la terza è di Intersezione (entrambi i cubi hanno
segno
negativo, la geometria risultante è solo l'area di
sovrapposizione
dei due).
Questa geometria (che
è alla base di moltissime
operazioni tridimensionali operate dai calcolatori) è usata da
Eisenman
per progettare i laboratori di ricerca di una delle università
più
conosciute al mondo per la ricerca sull'informatica e la robotica con
l'evidente
intento di rinforzare metaforicamente la natura dell'edificio. Il cubo
booleano, è assunto a tema "dislocante" e allo stesso pertinente.
Il Carnegie Mellon
research center (1987-1988), da una
più ambiziosa e interessante ipotesi che si confrontava con la
sinuosità
del fiume (attraverso due linee di cubi di scala e di altezza diverse,
che si sovrapponevano parzialmente in un doppio spessore), si riduce
progressivamente
di dimensione e al contempo si complessifica plasticamente (con una
serie
di operazioni di Sottrazione, Incastro e Intersezione e con una serie
di
altre strutture filiformi a ricordare le forme degli altri prismi
virtuali
derivati dal movimento) al punto da preoccupare gli amministratori
dell'Università
che affidano l'incarico ad altri progettisti. Realizzeranno due edifici
distinti, uno elegantemente disegnato ma certo scarico rispetto alla
proposta
eisenmaniana, l'altro desolantemente trito.
I laboratori Biologici
per la Goethe Università
a Francoforte sul Meno, progettati nello stesso 1987, mettono in atto
la
stessa tecnica della "dislocazione pertinente". Qui alla geometria
booleana
del computer, si sostituisce una geometria "biologica": quella del Dna
e dei Frattali. (Si tratta, in campo artistico, di principi come quelli
elaborati da Susan Condé : "Mai ritrarre solo le utopie
euclidee.
Non sottolineare l'inizio e la fine, ma la ricorrenza e la
molteplicità.
Mai lo stato perfetto dell'essere, ma lo stato imperfetto del divenire.
La ripresa in diretta della molteplicità e quindi le
proprietà
frattali dell'autosomiglianza e dell'infinito-finito").
L'interpretazione
eisenmaniana del Dna e del suo funzionamento si esplica attraverso tre
processi: replica, trascrizione e traslazione. Al di là, come
sempre,
delle autolegittimazioni teoriche, il progetto propone una strategia
più
plausibile di quella di Pittsburgh. Ai cubi frammentati e costosissimi
del Carnegie Center si sostituiscono sei blocchi di laboratori semplici
e funzionali che si attaccano su entrambi i lati di una spina centrale.
La spina è l'occasione per creare nuove più complesse
geometrie
e per articolare a V o a U l'attacco di corpi dei laboratori all'asse
centrale.
Il procedere della spina nel sito in alcuni casi spezza i blocchi in
due
parti, come nelle testata dell'accesso, in altri si spinge all'esterno
come per indicare la regola della futura crescita dell'organismo, in
altri
si incunea tra i blocchi per formare le necessarie eccezioni
(auditorium
e servizi specialisti). La dialettica tra elementi ripetibili ed
eccezioni
(gli asimmetrici annessi della spina centrale) è l'inizio di una
tecnica di riduzione pragmatica tra le necessità concettuali che
muove l'ideazione e il doversi fare "realistico" del progetto.
Avrà
un seguito.
2. il cagnolino
Balla sulla spiaggia
Ma in queste
sperimentazioni, oltre alle scoperte delle
griglie, dello sterro archeologico, del "tra", che rappresentano delle
effettive acquisizioni portanti del suo lavoro, e ricerche in fondo
laterali,
dettate da una curiosità specifiche, come il cubo booleano, il
frattale,
il Dna, Eisenman scopre una tecnica di progetto di grandissimo fascino
perché dà una risposta finalmente innovativa ad un
vecchio
problema della nuova architettura: il movimento.
La presenza del movimento
come tecnica non più
tanto di percezione non più statica (dal punto di vista
privilegiato
del cono prospettico rinascimentale) o quello di esplorazione dinamica
della composizione spaziale ma proprio come tecnica di progetto.
Questo tema ha avuto nel
secolo alcuni grandi momenti,
tutti in vario modo legati alla rivoluzione einsteiniana: Spazio
è
Tempo. Lo spazio si misura con il tempo (vedi anni luce) cosi come
Energia
è Massa, elevata al quadrato con il valore della velocità
della luce. In piccolissime particelle di materia è nascosta una
energia misurabile con la stessa dimensione (temporale) con cui solo
possiamo
misurare le galassie: una scoperta, se si vuole la più grande
tautologia
del secolo, che porta alla scissione dell'atomo. Insieme a queste idee,
spesso soltanto orecchiate dagli architetti, come più in
là
avverrà con lo stesso decostruzionismo derridiano, si associa la
presenza della velocità quale dato strutturante la
società
industriale (treno, automobile, aereo). Cosicché le prime
architetture
che tenteranno di affrontare il tema del movimento saranno quelle,
certo
ingenue, dell'italiano Sant'Elia che fanno perno su ascensori in vista,
strade che si intersecano agli edifici di centrali elettriche o
fabbriche.
Il costruttivismo russo teorizza una grammatica basata anche su questi
concetti e Tatlin; dà forma a una avvolgente e mobile y
struttura.
Mendelsohn costruisce una torre in cui la trasformazione delle forze
gravitazionali
in campi deformati di Einstein y sembra prendere consistenza plastica,
ma è con il Bauhaus di Gropius che l'assoluta evidenza di come
un
edificio possa essere percepibile solo attraverso il movimento
diventa
paradigmatica (perché l'idea delle masse distinte disposte
centripetamente
nello spazio si associa alla scoperta di un nuovo medium di relazione
fluida
e continua tra interno ed esterno: la trasparenza).
Ma oltre a queste idee e
alle molte variazioni e repliche
successive, il problema di come traslare il movimento in architettura
rimane
dopo il 1924 senza sostanziali sviluppi anche se alcune fluidità
spaziali di Wright, o alcune strutture in precario equilibrio di
Riccardo
Morandi o gli stessi recenti edifici semoventi di Calatrava paiono
riaprire
una strada,. Ma sempre si tratta di una re-interpretazione "fisica" del
movimento nell'architettura. La caratteristica immanente del movimento
per conformare il farsi del progetto
Ora Eisenman, attraverso
il suo incessante cercare, scopre
una tecnica che, io sappia, mai ha avuto prima di lui uso in
architettura.
Si tratta del blurring, direi sfocamento, che diventa la chiave dello
sviluppo
di un progettare che usa il movimento quale tecnica del suo interno
strutturarsi.
Il movimento non viene "interpretato" via la fluidità della
rampa
del Guggenheim, il raggelamento dell'attimo prima del crollo del salone
ipogeo di Torino, o l'aprirsi e chiudersi delle membrane del Padiglione
alla Sswissbau, ma diventa l'ispirazione "concettuale" e allo stesso la
"tecnica" con cui organizzare un nuovissimo modo di progettare.
L'origine è nel
futurista italiano Giacomo Balla
(la Donna con il cagnolino del 1912 y) ma l'immagine universalmente
nota
è la donna che scende le scale di Marcel Duchamp y 1916 y. Si
ricorderà
l'immagine. Una serie di sovrapposizioni della figura come in un
fotogramma
scattato con un tempo troppo lungo in cui i singoli movimenti sono
sovrapposti
(in Balla, vi torneremo, sono anche "sfocati"). È una tecnica di
straordinaria interesse rimasta muta per ottanta anni in architettura.
Sino ad Eisenman. Che, ed è molto strano per lui che ama
teorizzare,
proprio questa volta non rivendica l'importante paternità:
l'aver
trasmigrato per primo questa tecnica dall'arte figurativa a quanto di
più
solido esiste. Eisenman è qui, come devono essere gli artisti,
parzialmente
inconsapevole. O almeno, lascia a noi il privilegio di scriverlo.
Il Blurring (termine che
non adotta, nel suo pur numeroso
indice di parole chiave) fa la sua prima apparizione in un progetto di
casa unifamiliare redatto nel 1988, a cinque anni dalla chiusura dal
famoso
ciclo delle case numerate. Si tratta della Guardiola House a Santa
Maria
del mar, sulla costa spagnola di Cadice. Di nuovo come House X è
una casa sul pendio. In questo piccolo capolavoro Eisenman fa reagire
molteplici
suggestioni. Parla, nel testo che accompagna il progetto, del concetto
classico di Topos come segno stabile dall'urbanesimo militare romano.
Ma
giustamente ricorda che una componente del mondo d'oggi è "avere
una complessità dialettica estremamente più sofisticata
(ëuna
logica che contiene l'illogico') per cui il concetto di luogo deve
contenere
il concetto di Non Luogo." Sembra una delle tante disquisizioni
cerebrali
che si incontrano nei suoi testi, ma in questo caso l'esito è
straordinariamente
convincente. Eisenman ricorda il concetto platonico di Chora come
qualcosa
che c'è e non c'è e allo stesso tempo scatta la metafora
illuminante. Chora è come le tracce delle onde sulla sabbia. Le
onde del mare sulla spiaggia cui guarda questa casa, non sono un
oggetto
nello spazio "ma soltanto la registrazione di un movimento" che poi
sarà
cancellato e riscritto. Le tracce regolatrici, le memorie degli sterri
archeologici si trasformano ora in questa impalpabile presenza, una
assenza
ogni volta riproposta attraverso la fragile presenza di un movimento.
La
stessa dello scodinzolio del cagnolino sulla tela.
Eisenman disegna
così questa casa giocando proprio
sul movimento ondulatorie della sua famosa "L" e le geometrie che
nascono,
vibrano, dondolano, ruotano una sull'altra in pianta, sezione, alzato.
Attraverso questi movimenti si vengono a creare booleanamente (a volte
con l'Incastro altre con la Sottrazione altre con l' Intersezioni) gli
spazi funzionali della casa, (niente affatto assurdi), si forma il
percorso
che come House X attraversa scendendo la costruzione nasce,
soprattutto,
una nuova estetica della sfocatura attraverso la ripetizione traslata e
sovrapposta della forma base prende forma.
Questa piccola casa
è assolutamente inconcepibile
senza una concezione del progetto teoricamente radicata, senza
l'esperienza
didattica dei suoi primi lavori, senza una sconcertante
profondità
di riflessione e una capacità (anche professionale) di
conformare
attorno a queste idee spazi credibile e la stessa costruzione. Ma la
soluzione
non è automatico risultato perché qui si fa Arte quello
che
in altri casi è pura legittimazione. Che le onde mare, che le
tracce
di quel movimento sulla sabbia possano rappresentarsi in architettura e
darci un nuovo paradigma sul movimento è un esito entusiasmante.
3. Cavi Audaci per
Insegnare architettura
L'edificio che deve
contenere una Facoltà di architettura
è un tema ricorrente negli Stati Uniti. Architetti di varie
epoche
(a partire dal primo: Thomas Jefferson) si sono incontrati con questo
programma;
basti pensare, oltre al famoso campus della Virginia, agli edifici
Beaux
Arts dei primi decenni del secolo, al campus dell'Itt di Mies, oppure
alle
opere in chiave brutalista come quella di Berkeley, o alle composizioni
fortemente plastica di Rudolph a Yale o alla famosa inclinata vetrata
di
Harvard. Eisenman affronta questo tema in un progetto (College of
Design
Architecture and Planning, University of Cincinnati) che comincia a
studiare
alla metà degli anni Ottanta ma che giunge a maturazione solo
nel
1991 in un rapporto, questa volta, aperto "agli studenti, ai
professori,
agli amministratori e agli amici del college per definire un processo
evolutivo
alla fine del quale ognuno potesse dire "l'abbiamo fatto noi"". Al di
là
di questa nuova consapevolezza, (sembra che Eisenman sia diventato
talmente
sicuro da poter ora includere nel processo della progettazione
quanti
doveva in precedenza escludere) qui vengono usate in un programma
complesso
alcune delle idee che ha sviluppato negli ultimi anni. Presente, ad
esempio,
è l'idea dell'incunearsi tra strutture esistenti nel campus,
quello
dello spazio "tra" le cose, quella dello scaling. Ma l'idea base
è
la scoperta sulla spiaggia di Cadice .
Il progetto, doveva
rispondere a una doppia esigenza:
riorganizzare gli spazi della facoltà esistente e poi edificare
altre attrezzature (biblioteche, sale mostre, teatri studi uffici) che
ne raddoppiasse quasi la superfici utile. La prima idea è
relativamente
semplice. Alla struttura dell'edificio esistente, che si muove
funzionalisticamente
a zig-zag sul terreno, viene aggiunta una struttura ad andamento
ondulato
che contiene le nuove attrezzature. Ma l'idea geniale scatta solo dopo
il progetto di Guardiola e consiste nell'applicare la tecnica del
Blurring
simultaneamente al nuovo fabbricato e a quello preesistente. Entrambe
le
geometrie di base vengono duplicate e ruotate con la tecnica del
Cagnolino
di balla. Nasce un moto ondulatorio doppio: uno più geometrico
(quello
del vecchio edificio) l'altro più fluente determinato dalla
curva
in cui si organizzano le nuove funzioni. Apparentemente una pura
follia,
ma il risultato è di sconvolgente novità e di grande
interesse.
Perché queste due geometrie, giocando con incastri sottrazione e
intersezioni reciproche dettano la conformazione dei nuovi spazi, dei
volumi
delle stesse geometrie terrazzate o vegetali che si proiettano nel
sito.
Il progetto sembra un Yen sens y, il simbolo orientale dell'amore, che
fa vibrare e fremere le forme una sull'altra in un incessante moto
ondulatorio..
Ma vi è anche una
differenza profonda rispetto
al Wexner dove il movimento era rigido e lo strumento della griglia
tridimensionale
(che abbiamo criticato) poco adatto a conformare gli spazi. Qui a
Columbus
succede che i movimenti di traslazione e ondulazione delle due
geometrie
non solo si ripercuotono all'esterno, ma soprattutto all'interno. Allo
scontro asettico delle gabbie modulari si sostituiscono spazi interni
estremamente
più complessi ricchi, affascinanti e novissimi. L'incrocio
infatti
è qui di volumi, plasmati differentemente e con libertà
attraverso
le ormai famose tre tecniche booleane. Sono spazi assolutamente
sconvolgenti.
Vi gioca la luce dall'alto di lato in fondo, i volumi assumono varie
inclinate,
i pilastri ritmano senza alcuna rigidità preconcetta i cavi.
Sono
spazi che danno effettivamente forma ad un pensare "concettualmente"
all'architettura
con una forza e un livello di complessità finalmente adeguato ai
mezzi intellettuali che questi ultimi anni stanno elaborando. Il
docente,
lo studente, chi vi lavora non potrà che riflettere sul
progettare
il futuro.
6. Eisenman realista
1. Decostruire,
ma cosa?.
Nel corso degli anni
Ottanta alcuni architetti hanno lavorato
controcorrente rispetto all'ondata del Po.Mo. che, nel frattempo,
esaurita
la novità iniziale, approda a fine decennio ai parchi di
divertimento
disneiani. In prima fila Eisenman e Gehry bisogna ricordare Rem
Koolhas,
olandese viaggiante in moto perpetuo tra le due sponde dell'oceano e
fondatore
dell'Oma che negli anni Settanta riprendeva in chiave provocatoria le
utopie
urbane degli Archigram; Daniel Libeskind, polacco dotato di una
capacità
squisita sulle sovrapposizioni e le tessiture grafiche, Bernard
Tschumi,
divenuto direttore della Facoltà di Columbia e autore del parco
della Villette a Parigi, una geniale allieva di Koolahas a Londra,
l'irakena
Zaha Hadid. Attorno a queste personalità si muovevano in America
alcuni gruppi come i californiani Morphosis e Arquitectonica, con base
Miami. Ma anche in Europa vi erano fermenti in una nuova direzione
frammentata,
dinamica, violentemente anticlassica: in particolare nel lavoro del
maturo
ed esperto Gunnar Behnisch, autore delle strutture delle Olimpiadi del
1970 a Monaco, di due austriaci che formavano lo studio Coop
Himmelblau,
e anche dei giovani spagnoli Miralles & Pinos Queste
personalità
erano minoritarie e spesso censurate, rarissimamente avevano trovato
spazio
in costruzioni o in mostre.
All'inizio della seconda
metà degli anni Ottanta,
un gruppo di studiosi americani (Paul Florian, Stephen Wierzbowski e
Aaron
Betsky) propone un progetto di ricerca con relativa mostra dal titolo Violated
Perfection: The Meaning of The architectural Fragmentation che
voleva
raccogliere queste e forse anche altre personalità. Sostenere
che
l'idea della mostra, mai realizzata dai promotori, fu "rubata" è
semplicemente assurdo. (Perché la necessità di
valorizzare
una sensibilità diversa rispetto alla "memoria" era ormai
diffusa
in moltissime roccaforti culturali e certo Eisenman in particolare ne
era
stato un ostinato avversario). Sorprendente però del grandissimo
lancio internazionale dell'Architettura Decostruttivista sono due
fatti.
Il primo è che alla mostra realizzata al MoMA di New York nel
1988,
e anticipata da un simposio a Londra di "Architectural Design", venga
dato il nome, appunto, di Deconstuctivist e il secondo fatto,
ancora
più forte, è che a Mark Wigley quale teorico della nuova
tendenza si associ proprio Philip Johnson. Johnson, autore della famosa
definizione di Wright, come il più grande architetto
dell'ottocento
e della relativa sottovalutazione alla mostra sull'International Style
del 1932 (sì: 67 anni fa!), poi miesiano super fedele negli anni
Cinquanta, neo-accademico classicista nell'Eur newyorchese del Lincol
Center
negli anni successivi, architetto neo-corporativo curtain wall negli
anni
Settanta è il nume tutelare del Po.Mo americano di cui dissemina
prove in mezza nazione. Ora che proprio Johnson sia diventato il
sostenitore
di questa nuova tendenza iper-moderna sconcerta e senz'alcun dubbio
legittima
riflessioni sul destino dell'architettura nel paese del business.
(Anche
se Johnson, bisogna pur ricordarlo, possiede qualità
assolutamente
formidabili e Eisenman stimando e lavorando insieme a lui in molte
occasioni
di politica-culturale gli riconosce grande generosità e un ruolo
di primissimo piano nel sostegno dell'architettura negli Stati Uniti).
Ma torniamo alla
sorprendente etichetta "Decostruzionista".
Il successo della formulazione si basa su una serie di assonanze che
fanno
"orecchio" ma, in realtà, si tratta di malintesi. Da una parte
rimanda
all'esperienza dei costruttivisti russi cui, senza alcun dubbio, alcuni
tra gli architetti citati guardano (ma non Eisenman, né Gehry).
Ma una "decostruzione" del costruttivismo è un assurdo in
termini
logici, storici e sintattici., (perché il costruttivismo russo e
poi il Suprematismo sono estetiche che disassemlano per poi assemblare
volumi e forme con estrema e dinamicissima libertà). Il legame
sintattico,
è tutt'altro che decostruttivo ma in particolare come (Tschumi e
Hadid), quasi letterale: l'unica cosa che i decostruttivisti
decostruiscono
di quella esperienza è il valore politico-ideologico che Tatlin
Ginzburg Chernikhov e Leonidov attribuivano al loro lavoro nella
temperie
rivoluzionaria della rivoluzione bolscevica.
Ma quello che elettrizza
stampa, critici, pubblico è
che l'etichetta Architettura Decostruzionista fa l'occhietto a uno dei
pensieri filosofici più influenti degli ultimi anni: quello
appunto
di Derrida e di alcune personalità (....) in varie modo legate
al
filosofo francese. Ora su questo punto la tesi espressa da James Wines,
escluso da Wigley e Johnson, forse anche di Eisenman, dalla mostra
newyorchese,
è convincente: tra la filosofia di Derrida e le opere esposte
non
vi è una reale affinità. Il decostruzionismo di Derrida
abbisogna
di un testo, possibilmente "classico" accettato per alcuni versi quale
norma. Un testo, appunto, da decostruire facendo intervenire sistemi
destabilizzanti
(anche dalla scienza, dalla fisica, dalla psicoanalisi) e soprattutto
dalla
linguistica stessa. Per cui l'analisi decostruttiva alla fine,
wittgensteinamente,
scopre i limiti stessi del linguaggio che si scontrano con quelli della
letteratura della filosofia della scienza delle arti.. Quindi una nuova
totalità, una nuova circolarità anche se ormai senza
centro
e in cui la mente umana è un frammento di un più ampio
schema
di infinito disordine (entra il caos, come categoria e una assonanza
alla
teoria dei quanti su cui torneremo). Il fine di ogni indagine
Decostruttiva
non può essere che quello di informarci, di darci un frammento
di
conoscenza su questa complessità e quindi per estensione sulla
condizione
umana.
Chiaro è che la
cosiddetta Architettura Decostruttivista,
come altre formulazioni sintetiche della storia dell'arte, non si
legittima
attraverso filosofia o scienza, ma è qualcosa a se stante. Il
valore
del lavoro di Zaha Hadid di Libeskind o quello di Eisenman, che dopo la
mostra si allontanerà dall'etichetta o di Gehry, che non volle
neanche
partecipare, non è più o meno valido rispetto alle
presunte
origini filosofiche quanto il Bauhaus di Gropius sia "prova" della
relatività
einsteiniana. Il valore che conosciamo, al di là delle fonti di
ispirazione è solo spaziale, espressivo, costruttivo,
funzionale,
la pregnanza (o meno) dell'opera solo storica, la soluzione dell'arte,
una maniera nuova di guardare il mondo
Inoltre ha ancora ragione
Wines nel sostenere che semmai
il lavoro in architettura filosoficamente "decostruttivo" è
casomai
quello di Gordon Matta Clark, che sega (letteralmente) stereotipi
architettonici
come la casa unifamiliare per rivelarci nuovi pensieri, o dello stesso
scultore Wines e dei suoi Site che costruisce artificiosamente porzioni
di edifici distrutti. Wigley li esclude perché il suo
decostruzionismo
"non tratta di edifici distrutti", tesi criticamente accettabile, ma
allora
ha ragione Wines: Deridda c'entra poco. Tra quelli convenzionalmente
denominati
tali, l'unico decostruttivo cui si può applicare Derrida
è
Gehry (attraverso una componente di cui non abbiamo neanche parlato:
quando
inserisce stereotipi classicheggianti nelle sue opere appunto per
decostruirli
completamente in un nuovo diverso sentire o quando usa al contrario lo
stage set scenografico di Moore).
Comunque sia, moda,
business, cultura, rivalutazione della
tradizione delle avanguardie, iper-modernismo, rimane il fatto che le
manifestazioni
di Londra e New York fanno diventare fenomeno di massa quelle che prima
erano esercitazioni isolate. Il ruolo di Eisenman come nuovo
teorico-architetto
di questa ricerca è egemone e assolutamente indiscusso. Ne
deriva
un rifiorire di pubblicazioni (tra cui il numero unico di "A+U"
introdotto
da Johnson, quello del "Croquis" e di "Progressive Architecture") e
soprattutto
un maggior numero di occasioni progettuali. Eisenman è ormai
completamente
risorto e la sua stella brilla con ancora maggior intensità
degli
anni Settanta.
2. Edifici in tre
continenti
I progetti, e gli
incarichi di Eisenman anche grazie al
nuovo successo del movimento decostruttivista aumentano. In molti
progetti
degli ultimi non emergono nuove scoperte, ma avvengono lo stesso due
fenomeni
interessanti: da una parte si intrecciano tra loro modi di operare
differenti
messi già a punto, dall'altra si attuano dei compromessi
necessari
a tramutare le idee in realtà. A questo appunto avviene uno
strano
fenomeno: Eisenman che era stato attaccato da destra (per essere
irrazionale,
astratto e a-funzionale) ora viene attaccato (magari dagli stessi) da
sinistra,
accusato appunto di abbassare il tiro. In realtà il compromesso
(oppure il gioco "dare-avere" o il trade-off) è assolutamente
parte
del lavoro dell'architettura e chiunque abbia una conoscenza non
libresca
del progettare sa che costo, funzione, norme entrano nel progetto, a
volte
riducendo l'impatto teorico, ma ottenendo nel processo una cosa
necessaria:
essere realtà fisica, la sola che può innescare processi
di mutamento.
Tipico a proposito
è il Convention center realizzato
a Ohio. L'edificio è stato descritto come una manciata di
spaghetti
su una scatola. Eisenman certo per ottemperare alle necessità
pratiche
ed economiche deve effettivamente creare un volume rigido. Ma su questo
innesta ondeggianti strutture che usano le tecniche che abbiamo visto
nel
collegio di architettura, richiamando l'ondulato sovrapporsi delle
curve
di livello, le famose tracce delle onde sulla spiaggia ma anche gli
innesti
stradali che gli sono limitrofi. Il risultato è che agli insulsi
capannoni con frontalini degli abituali Convention center (luoghi
coperti
per immense manifestazioni espositive) si sostituisce un'idea
completamente
nuova. una architettura senza facciate, perché ogni onda si
presenta
autonomamente all'esterno, e che valorizza proprio le coperture (che
sono
visibili dai grattacieli limitrofi, e che sparano le linee dei laser in
movimento sulla città). Gli interni di nuovo sono bellissimi.
Forse
un attimo sotto rispetto alla Facoltà di architettura, ma
vivaddio,
questo progetto esiste: fa pensare anche le persone di Columbus e non
solo
gli architetti che leggono i disegni.
Un meccanismo simile di
articolazione dell'edificio per
nervature arcuate sovrapposte e intrecciate avviene in due progetti non
realizzati: l' Hotel Olimpico a Banyoles che risponde attraverso questo
mezzo al paesaggio scosceso e l'Emory Center for the Arts della omonima
università di Atlanta, un centro che si dovrebbe realizzare per
le olimpiadi del 1996.
L'idea dello spazio "tra"
le cose si sviluppa in due opere
olandesi. Nell'edificio che progetta per l'Aia (1989) divide gli
appartamenti
in due blocchi, ma sfrutta il ballatoio centrale di distribuzione come
il cuore del progetto: vi gravitano le attività di percorso dei
residenti, ed è formalizzato come l'arteria pulsante
dell'intervento
che si prolunga all'esterno con il grande frattale vetrato delle scale
e con la struttura reticolare del lato opposto. È un peccato che
il progetto non sia realizzato perché dimostra come una
risoluzione
figurativa intelligente e se si vuole formalmente ëdecostruttiva'
è
possibile anche nel limitato bilancio dell'edilizia pubblica. Un altro
progetto in cui il between viene esplorato è quello del
piccolo
padiglione per una mostra video realizzato in Olanda (in cui la
sovrapposizione
dei due volumi in cui lo spazio è diviso fa nascere il sistema
di
circolazione). Ma in questa costruzione del 1990 a questa idea si
sovrappone
quella del movimento scoperta nella Guardiola House. Qui diventa
un'altra
volta una "disclocazione pertinente" perché, almeno secondo,
Eisenman
l'operazione di slittamento e sfalsamento incrementale della forma
deriva
dallo stesso movimento che fa il pennello elettronico per ricostruire
le
immagini video. Continuamente rigenerate, in realtà sfocate,
assumano
nell'occhio la sensazione del movimento. Una tecnica, quella
televisiva,
diversa dalla pura successione fotografica del cinema. (Viene da
pensare
che se Duchamp y parla nel suo quadro del cinematografo, già
inventato
da un ventennio, Balla intuisce nel suo la televisione, che sarà
scoperta solo quindici anni dopo).
L'idea dello sterro che
aveva fatta la sua comparsa sin
dal progetto di Berlino o di frammenti minerali fuoriusciti da
improvvisi
movimenti sotterranei (riemerge in alcuni edifici alti come nei
progetti
della Max Reinhardt Haus a Berlino, una specie di Grand arche ma qui
composta
di segmenti poliedrici, e negli uffici Alteka in Giappone). Mentre
altri
due progetti come la casa per studenti della Cooper Union a New York e
un blocco abitativo (Atocha 123) a Madrid dimostrano come Eisenman
ormai
sia molto capace nel legare la riflessione teorica e concettuale con i
vincoli di una progettazione professionalmente credibile.
In Giappone attraverso
questa doppia chiave, un professionismo
ormai maturo e una forte riflessione teorica e concettuale, realizza
negli
ultimi anni due opere che rivelano che le sue architetture non sono
solo
stimolanti dal punto di vista della ricerca espressiva e non presentano
solamente dei giochi formali e allusivi.
Gli uffici Nunotani a
Tokyo - oltre a specchio convincente
della caleidoscopica società giapponese e della
telluricità
del territorio - presentano dei modi innovativi di organizzazione dello
spazio. Il core (blocco centrale di circolazione verticale e
servizi
dell'edificio multipiano) assume un originale perimetro poligonale che
è posto nella zona di sovrapposizione dei due quadrati sfalsati
in cui si suddivide il fabbricato. La localizzazione e l'andamento del
blocco determina percorsi e viste interne ricche di sorprese e
rappresenta
un suggerimento distributivo che varrebbe la pena di veder riapplicato.
Nell'altro palazzo realizzato sempre a Tokyo (uffici Koizumi-Sangyo),
Eisenman
dimostra con evidenza che per raggiungere i suoi messaggi (Tokyo come
sintesi
di luogo e "non-luogo"), non bisogna necessariamente decostruire
l'intera
fabbrica (con gli immaginabili costi), ma si può agire cercando
una tensione dialettica tra le parti: le une standard (in questo caso
la
scatola uniforme dei diversi piani) le altre eccezionali (il grande bow-window di
tre piani ottenuto con una rotazione progressiva di pannelli e bucature
su la forma a "L" di base. Ma il suo progetto recente più ricco
e interessante è per Francoforte, la città di Ernest May
e delle Siedlung. Se si confronta la banale ripetitività di
tanti
piani urbanistici con quello proposto per il quartiere residenziale a
di
Rebstock park (primo premio al relativo concorso) notiamo come i
meccanismi
del folding (piegatura), graft (innesto) e scaling (riduzione/allargamento) insieme ancora ad altre idee contribuiscono a
creare uno spazio urbano molto ricco. Innazitutto per gli abitanti.
3. Rebstock Park.
Plasmare la città.
Questo progetto del 1990
per un quartiere residenziale
di ben 450.000 mq tra abitazioni e edifici di commercio apparirebbe dal
nulla nella produzione di Eisenman se non si facesse un passo indietro.
Temi simili erano stati affrontati nel progetto Fox Hill a Staten
Island,
firmato insieme a Arthur Baker e Peter Wolf nel 1973. In quel momento
si
tentava di innestare una sinergia tra il New York State Urban
Development
Corporation (Udc), il MoMA diretto da Drexler e appunto l'Iaus di
Eisenman
che oltre al formalismo Five, aveva un filone minoritario, (capeggiato
da Kenneth Frampton) attento ai problemi dello sviluppo della
città
attraverso la residenza a basso costo. Studi dei fenomeni negativi
presenti
negli edifici alti, e la necessità di proporre soluzioni
alternative
alla crescita dei suburbi, spinse la Udc a formulare una serie di nuovi
scopi progettuali nel suo Criteria for Housing e a collaborare
appunto
con l'Iaus per la formulazione di prototipi innovativi di cui Fox Hill
è un esempio.
Il titolo della mostra al
MoMa(Another Chance for housing:
Low rise alternatives 1973) sottolinea che la "diversa scelta"
è
nel contenimento delle altezze ma, la formulazione più efficace
di questa strategia prenderà il nome da un titolo di
"Progressive
Architecture":Low rise-high density. Case basse ma ad alta
densità
diventa così la strategia per affrontare simultaneamente molti
problemi:
territorialità, conformazione dello spazio urbano,
appropriazione
degli spazi collettivi e semi-privati, creazione di sistemi compatti da
inserire anche in situazioni urbane già edificate per evitare
l'estensione
infinita della metropoli, sicurezza, privacy eccetera. Centrale per
ottenere
questi scopi era l'innovazione dei sistemi distributivi che ai
tradizionali
meccanismi a ballatoio, in linea e a schiera sostituisse soluzioni che
pur limitando l'altezza ai quattro piani consentissero di radicare
l'alloggio,
anche quello dei piani più alti, direttamente con il suolo.
La soluzione proposta da
Eisenman a Fox Hill, ma presente
anche in altri progetti del gruppo di lavoro Iaus e nella realizzazione
del Marcus Garvey Village di Frampton e altri, si basa su una soluzione
di "case sovrapposte" l'una altra. Questi pacchetti edilizi composti
ciascuno
da quattro appartamenti, contenendo ciascuno il sistema di
distribuzione
autonomo, si possono aggregare con relativa libertà: in questo
caso
con un andamento a crescent.
Se paragonata ai coevi
esempi che si realizzavano nel
recupero di Society Hill a Philadelphia coordinati da Edmund Bacon e
per
lo più progettati dalla Sauer associates (che gli snob
architetti
newyorchesi paiono ignorare), la soluzione distributiva è molto
primitiva e parzialmente inefficiente proprio nel conformare gli spazi
a terra: ma il pur immaturo Fox Hill rimane la premessa necessaria al
Rebstock
Park, di 17 anni successivo.
In questo affascinante
progetto si incrociano molte tecniche,
molte idee. La prima, e non poteva che essere così nella
città
delle Siedlung, è che l'architettura residenziale non è
solo
quantità ma essa stessa crea l'immagine (vorremmo dire
l'identità)
della città. È chiaro che le sottili variazioni dei
blocchi
abitativi per rispondere alle situazioni morfologiche e orografiche e
l'uso
del verde come connettivo ideato da Ernest May non possono più
essere
riproposte. Eisenman focalizza la critica nell'uso del suolo di questo
modello, notando che spesso il terreno in questa concezione "si
è
trasformato in una distesa abbandonata. I volumi degli edifici sembrano
distaccati dal suolo, galleggianti su un'area non più influente".
A questa idea dello
scollamento tra conformazione degli
edifici e suolo egli sostituisce il concetto di tessuto. Il terreno si
deve trasformare da lastra su cui poggiare volumi, in un insieme da
progettare
attentamente come un insieme compatto in cui interagiscono spazi,
strade,
edifici, sistemi verdi e lastricati per contrapporre alla
discontinuità
di quella concezione, la continuità tra uno spazio e
l'altro,
tra una configurazione e la successiva.
Il concetto di tessuto
d'altronde, sin da Halen di Atelier
5 della fine degli anni Cinquanta, usa lo strumento a lui familiare
della
griglia. Un sistema a un tempo progettuale e territoriale che
investendo
globalmente tutta l'area, la riammaglia in un continuum di relazioni e
di variazioni perché entro la griglia gli spazi si svuotano, si
aprono e si chiudono con dimensioni variabili corrispondenti ai vari
modi
dell'uso.
Eisenman usa a Rebstock
park il concetto di tessuto e
la griglia ordinatrice, ma li rafforza con la propria idea dei
tracciati
urbani e degli sterri. Per cui alle griglie ortogonali tradizionalmente
adoperate nei sistemi insediativi bassi ad alta densità, egli
sostituisce
tre sistemi geometrici, tre tracciati regolatori, naturalmente tra loro
diversi: il primo a maglia larga derivato dal sistema del Mercatore y
(?),
un secondo a trama fitta di un'area limitrofa, un terzo mistilineo che
segue i confini ondulati dell'area di progetto localizzata tra gli
anelli
viari del cosiddetto "terzo anello verde" di Francoforte. I tre
sistemi,
naturalmente, entrano in tensione. I vertici del sistema ondulato si
giungono
a quelli ortogonali deformando, piegando le linee perpendicolari in una
serie di spezzate: un campo deformato che fa pensare a come la massa
dell'energia
gravitazionale (in questo caso degli edifici) plasma lo spazio tempo di
.Einstein y.
Il risultato di questo
esercizio geometrico è che
alla ripetitività di alcuni sistemi insediativi "a tessuto", si
sostituiscono linee ondeggianti e sempre variabili (ultimamente Jencks
ha teorizzato questo muoversi per onde delle nuove ricerche
architettoniche.
Un sistema partito, per la verità, dal piano di
Disurbanizzazione
dei Costruttivisti russi nel 1929). Le strade, tutte a leggera
ondulatura,
seguono le linee del sito che declina leggermente e creano scorci
continuamente
variati. I corpi edilizi (lineari, organizzati a corte o con un
interessante
sistema a doppia "C" nei blocchi alti sul margine settentrionale) si
deformano
per seguire l'andamento della rete dei percorsi ma allo stesso, alla
variazione
di nello scatto dei piani, si disconnettono dalla geometria base per
rispondere
alle altre forze sottese dei tracciati con improvvisi tagli o con la
fuoriuscita
di corpi triangolari.
Il risultato è un
urbanistica che crea un ambiente
ricco di strutturate eccezioni e che, al contempo, risponde a tutti i
canoni
della moderna funzionalità. I mezzi, in fondo non sono
più
costosi di quelli, per esempio, che hanno conformati i nostri a volte
fantasiosi
Peep negli anni Settanta (l'ondulazione dell'intero progetto è
creata
con andamenti poligonali delle linee e una impostazione prismatica dei
fabbricati). La vera qualità aggiunta è quella della
cultura
dell'architetto: Eisenman, affrontando un tema come quello del
quartiere
residenziale su cui generazioni di architetti si sono misurati in
questo
secolo, non propone né il funzionalismo anni Venti, né
l'ambientismo
nordico o le sue riprese paesane, nè la ripresa nostalgica del
tipo
a corte di molte prove Po.Mo, né solamente il concetto di
tessuto
dell'esperienza della casa bassa ad alta densità ma combina
tutte
queste esperienze in una sintesi che molto deve alle sue proprie
decennali
ricerche. Il progetto dimostra come una riflessione al più alto
livello teorico e concettuale sull'architettura e la sua Storia
può
conformare la nuova città. Ma l'efficacia del progetto in
realtà,
al di la di queste spiegazioni, è proprio nella
semplicità
della soluzione, se si vuole nella sua assoluta fattibilità, nel
suo realismo. Un esito tutt'altro che scontato per Eisenman.
7. Sei Domande. Una risposta
1. Trattatista di oggi?
Eisenman, non ha scritto
un trattato dell'architettura
come Vitruvio, Alberti, Palladio o Durand. La fede di poter
sintetizzare
l'intera disciplina è, giustamente, svanita. Ma non bisogna
sottovalutare
la riflessione teorica e le tecniche di sviluppo progettuale che egli
ha
messo a punto in sei lustri di accanita di ricerca. Ricordiamone
alcune:
la scoperta della Implosione (House II) derivante da una inedita
combinazione
di alcuni principi progettuali di Terragni, l'Esplosione dei volumi su
una struttura geometrica legata al sito e che struttura i movimenti
delle
parti (House X), le tecniche di Trivellazione (House XI) determinate
con
rotazioni a elica di volumi ad "L", l'idea dello Sterro archeologico
(Iba
a Berlino) per ritrovare geometrie nascoste che strutturano i volumi
come
minerali, l'idea del Tra, dell'incunearsi tra strutture preesistenti
modificando
spazi amorfi in nuovi centri (Wexner), i Palinsesti che intrecciano
presente
passato e futuro e la cui manipolazione progettuale determina spazi
pubblici
agganciati al paesaggio (Museo Long Beach), i Movimenti astratti dei
cubi
booleani o quelli organici dei frattali e del Dna (a Pittsburgh e a
Francoforte),
soprattutto queste ultime tecniche che, combinandosi alle altre,
strutturano
tre capolavori. Il movimento ripetuto e Sfocato della Casa Guardiola a
Cadice, la Vibrazione doppia del nuovo e del preesistente del College
of
Design a Cincinnati che determina straordinari cavi e si proietta nello
spazio circostante e infine la Piegatura del Rebstock park che
sintetizza
in un nuovo paradigma town design e manufatti edilizi in uno dei temi
più
portanti di tutta la nuova architettura del secolo. Sono tecniche di
progetto.
Non automatiche ricette. Conoscerle è importante, per poterle
riusare
e magari combinare ad altre. La loro applicazione è delicata, ma
non difficile, né necessariamente irrealistica. Si tratta per
Eisenman
stesso e per noi di capire quando servono, quando rinforzano
caratteristiche
fondamentale del problema quando il loro uso ci rivela, con la magia
dell'arte,
la loro assoluta necessità. Sfidiamo i lettori a trovare un
protagonista
della scena architettonica contemporanea che abbia tanto sperimentato e
che ci fornisca tanti e così potenti strumenti di lavoro.
2. Existenz Maximum
y?
Ma al di là della
incessante ricerca di novità,
della inesauribile curiosità intellettuale e del coraggio della
sperimentazione, della teatralità a volte enigmatica e
iniziatica
con cui vengono diffuse queste idee, queste tecniche sono tutte unite
da
un concetto. La ricerca artistica, lo abbiamo già detto,
funziona
per frizioni tra diversi: non per assonanze, ma per contrasti (o come
li
ama chiamare il nostro "dislocamenti"). Eisenman lo ha fatto sin da
quando
associava il generativismo chomskiano al farsi dei suoi progetti, un
modernismo
senza uomo alla Foucalut alle sue arbitrarie composizioni di carte, la
psicoanalisi ai suoi sterri e trivellazioni, la filosofia di Derrida,
la
geometria di George Boole y, il Dna di James Watson e Francis Crick, il
Chora di Platone ai suoi progetti. Ma le dislocazioni vanno ancora
avanti
su un percorso che proprio nel College di Cincinnati e a Rebstock
comincia
a intravedersi. Quasi impercettibilmente, passo dopo passo Eisenman
riconquista
quello che aveva all'inizio escluso. Le sue architetture non sono
più
solo dei testi (o dei racconti molteplici e sfaccettati che si muovono
nella dimensione astratta del pensiero), ma diventano anche spazi per i
movimenti, la vita, gli uomini.
Eisenman paralizzò
nella sua prima fase, la dimensione
storico-culturale dei fenomeni (e su questa esclusione basò la
sua
posizione eccentrica e vincente); teorizzò l'assolutezza del
linguaggio
e un modernismo antiumanista. Ma in realtà a vedere questi e
altri
progetti sembra che le sue ultime architetture facciano fatica a
sostenere
il suo vecchio antiumanesimo. Se non altro perché le sue
prospettive
diventano popolate da anziani e giovani, belle donne e bambini. Sembra
anzi che quei suoi volumi tagliati e articolati, quei cavi
magnificamente
dinamici hanno assolutamente bisogno degli uomini per esistere. Sono
anti-classiche
proprio perché superano ogni posizione astratta e atemporale. Ci
parlano dell'oggi e del futuro. Dell'esistere contraddittorio e
molteplice
della nostra vita. Eisenman ci aiuta a capire, e in questo ha ragione,
che il centro non è più l'Uomo (principe dominatore e
prospettico)
del primo Rinascimentamento, quello senza centro del Manierismo
(confuso
dopo la controriforma, la rivoluzione copernicana, la scoperta
dell'America,
la doppia morale di Macchiavelli), quello di una riduzione a
quantità
e bisogni "minimi" della nuova oggettività funzionalista, ma che
il vero centro è diventata proprio la vita nel suo misterioso
svilupparsi,
nel suo pernenne cambiamento nel suo intrecciarsi in situazioni sempre
mutabili con la mente, la percezione, la cultura, il tempo, e la
fisicità
dell'uomo.
3. Informatico
versus Meccanico ?
L'ambizione,
difficilissima, che Eisenman persegue è
trovare una via per dare struttura architettonica al grande, immenso
paradigma
che ci sta avvolgendo tutti in questa fine millennio.
L'energia della
conoscenza che come un fiume in piena
straripa all'esterno, le griglie sovrapposte e intersecanti dello
spazio
urbano sterrate archeologicamente, il gioco allusivo della città
fortificata degli improbabili bastioni terminali, il fossile intagliato
accanto al muro di Berlino, oppure i percorsi-moli o le ipotetiche
torri
di estrazione del Museo in California, ma anche le sue dislocazioni
pertinenti:
il cubo informatico, il Dna, le onde televisive, la sabbia luogo-non
luogo.
Questa serie di rimandi diventa per Eisenman un aspetto fondamentale di
un testo che non descrive più l'assolutezza dei significati
sintattici
della sua fase precedente, ma l'ambigua e poliedrica
molteplicità
del mondo della conoscenza contemporaneo. Sono risposte adeguate?
Oppure
una nuova autolegittimazione? È questa la strada da percorrere
oppure
siamo ancora ai dagherrotipi che rifacevano con l'obiettivo fotografico
i ritratti a olio? È una banalizzazione di quel turbinio di
eventi
che ormai si chiama terza ondata, civiltà del computer, epoca
post-industriale
e che abbisogna di altre ancora più complesse risposte o
è
gia questa la via?. Hanno queste operazioni la capacità di
parlarci
di un "paradigma informatico" come quelle della nuova architettura del
secolo ci parlavano di un "paradigma meccanico". Le risposte maturano
lentamente.
Certo oggi, è chiaro che Eisenman sta cercando. E chi voglia
cercare
in questa direzione del suo lavoro non può fare a meno.
4.
simultaneità contro Velocità ?
Forse il vecchio
paradigma industriale della velocità
si trasforma in simultaneità. La concezione fondamentale di
questo
secolo è stata che edificio è spazio. Oggi si cerca
risposta
in una nuova direzione: l'edificio è tempo. L'edificio come
macchina
del tempo che "narra" simultaneamente di passato presente e futuro (la
dimensione del racconto molteplice di cui sopra) ma anche che gioca
strutturalmente
con il problema sostanziale della Simultaneità. Come? Che salti
concettuali dobbiamo ancora fare per riuscirci?. Si tratta
semplicemente
di includere sistemi vivi di trasformazione automatica degli edifici al
variare per esempio della situazione di illuminazione (vedi i diaframmi
di Jean Nouvel), o del numero di persone o del clima o delle esigenze
di
sicurezza e controllo?. Oppure si tratta di incorporare nell'edificio
sistemi
di letterale simultaneità (schermi computer, grandi televisori,
il famosissimo Internet con tele conferencing, l'accesso immediato a
persone,
dati, conoscenze in tutto il globo e oltre?). Ma questi strumenti
dovrebbero
trovare una loro intrinseca necessaria risposta estetica. Come l'uso
del
vetro trovò nella nuova dimensione spazio percettiva del
Bauhaus.
Se l'edificio non è più solo spazio ma soprattutto tempo
(nei suoi molteplici infiniti aspetti) quali sono le dimensioni
spaziali
del tempo?. Eisenman a Guardiola e a Cincinnati fa una proposta. Basta?
5. La chiave
è nel piccolissimo?
Il problema, ormai chiaro
a molti, è di estendere,
di moltiplicare, di dilatare la Polisemia dell'architettura e non
più
di ridurre, circoscrivere, frazionare la disciplina in sotto ambiti
particolari
come si faceva tra gli anni Sessanta e Settanta. La difficoltà
è
creare edifici capaci di intessere relazioni "con l'altro da sé"
non solo perché luogo costruzione funzione si veicolano in
architettura
attraverso l'arte ma perché ci rendiamo conto che la mente
umana,
la sfera delle idee (dalla filosofia alla fisica alla psicoanalisi)
entra
quale quinta fondamentale categoria dell'architettura. Non più
triade
di bellezza costruzione e funzione, né poker esteso al luogo, ma
appunto mano: con cinque dita. Forse la risposte si trovano nel
piccolissimo.
Fritjof Capra, tra i grandi divulgatori delle moderna scienza, scrive:
"In contrasto con la visione meccanicistica e cartesiana, la visione
del
mondo che emerge dalla fisica moderna può essere caratterizzata
da parole come organica, olistica y ed ecologica. Può essere
chiamata
anche una visione sistemica, proprio nel senso della teoria generale
dei
sistemi. L'universo non è più visto come una macchina,
composta
da una moltitudine di oggetti, ma come una unità indivisibile,
dinamica
le cui parti sono essenzialmente interrelate e possono essere comprese
come patterns (forme-strutture) di un processo cosmico."
In particolare, quando si
guarda agli Atomi, al Dna, alle
onde elettromagnetiche è la teoria dei "Quanti" la chiave
"Nella teoria dei quanti
non si termina mai con "cose"
ma sempre con inter connessioni. [...} Non possiamo decomporre il mondo
in indipendenti piccole unità . Quando penetriamo dentro la
materia,
la natura non ci dimostra alcun isolato mattone da costruzione, ma
piuttosto
una complicata ragnatela di relazioni esistenti tra le varie parti di
un
unificato intero"
A questo paradigma basato
sulle inter connessioni, risponde
un poco tutto il pensiero contemporaneo: dall'economia all'urbanistica,
dall'informatica (cosa è un microship se non questo) alla
matematica,
senza parlare di biologia e fisica e naturalmente filosofia. In
architettura
come non pensare a due opposti? Ancora Alexander con il suo Pattern
Language e naturalmente Eisenman. Quando interpreta i granelli di
sabbia
ondulati, quando organizza i suoi progetti sulle onde elettromagnetiche
o sul Dna, quando formalizza episodi degli edifici come dei frattali
che
dal piccolo al grande ruotano su se stessi. La chiave della vita si
nasconde
nel piccolissimo. Chissà qualcosa ci aspetta ancora: qualcosa
che
riesca in una tautologia del Duemila a parlarci insieme della vita e
della
materia. In fondo quello che cerchiamo di fare con l'architettura. Non
solo parlare delle idee, non solo trovare risposte alle vecchie triadi
o alla nuova mano ma trasformare la materia inerte del ferro
dell'acciaio
del cemento (magari delle plastiche o delle lamiere) nella vita stessa
degli uomini. Per farli felici, forti, consapevoli: più umani.
Spazi
come cellule viventi che attaccano assorbono strutturano organizzano
l'unica
vera natura, l'unico vero paesaggio dell'uomo sapiens. Quello del
costruire.
6. Ancora il "tra
". Eisenman transfuzionalista?.
Ormai siamo consapevoli
che il problema di questi anni
non è quello di basarsi su presunte certezze, su dogmi e regole,
ma quello di porci, le giuste domande. Ora a me sembra che la domanda
fondo
dell'architettura è: "Come Possiamo Articolare la Vita nelle
Nostre
Costruzioni?" (Dove il Come rivela l'esigenza di formalizzare
conoscenze
trasmissibili, tecniche e metodi di lavoro; Articolare sta per la
ricerca
di spazi dinamici e fluidi; Nostro vuol dire apertura problematica a
quanti
dalla comunità ai clienti, alla città sono coinvolti nel
processo; Costruzioni significa considerare il progetto come un tutto
che
investe simultaneamente l'edificio comunemente inteso e le aree libere,
"costruibili" anch'esse con l'acqua, la vegetazione, le pavimentazioni,
gli arredi, le strutture leggere). La parola decisiva è
però,
ancora, Vita. Questo vuol dire, in fondo, Transfunzionalismo:
abbracciare
della vita tutti gli aspetti, da quelli di quantità, standard,
norma,
ergonomia della prima stagione modernista "oggettiva", a quelli
tridimensionali
percettivi e tattili della fase organica, a quelli di
territorialità,
controllo, comunità densità della psicologia
dell'abitare,
a quelli logici, filosofici, scientifici elettronici dell'ultimo
prodigioso
aprirsi degli ultimi anni. Senza dimenticare il dato più
difficile
e più importante. L'arte. Che della vita è la forma
più
alta e la sola unicamente umana. Transfunzionalismo allora (e non Post!
come scrisse nel 1976): oltre il funzionalismo, attraverso il
molteplice
della vita per cercare risposte ogni volta diverse. L'ultimo Eisenman e
soprattutto quello futuro può essere un agente di straordinaria
importanza in questa direzione. Il suo costante attraversare,
esplorare,
cercare risposte con libertà e curiosità ci è
necessario.
7. Modernità
come crisi
Speriamo di aver
dimostrato come l'antiumanesimo di Eisenman,
con cui era partita la sua ricerca, ormai si è annullato in una
consapevolezza verso l'estensione polisemica dell'architettura che
riabbraccia
della vita la sua incredibile e affascinate molteplicità. Ma in
conclusione un altro tema eisenmaniano, quello dell'antitesi tra
architettura
moderna (come continuazione della tradizione Umanistica rinascimentale)
e quella del Modernismo (come scissione tra uomo e idee. come
rivendicazione
di autonomia testuale, logica dell'architettura), va discusso. Di
questo
aggettivo "moderno" e del suo sostantivo "modernità" dobbiamo
pur
parlare, capire cosa è (e per questo quasi mai lo abbiamo sin
ora
adoperato).
Non molto tempo fa, il
direttore di questa collana mi
chiese "Saggio, cosa è per te la modernità? Sono
cinquant'anni
che ci lavoro ... " Avevo già capito che la critica è
positiva
solo se nega: combatte consuetudini, norme e regole per affermare il
valore
originale della ricerca artistica. Avevo capito che il progetto di
architettura,
di per sé prosa compromissoria tra funzione, costruzione e
bellezza,
si doveva spingere oltre. La funzione diventare tensione verso spazi
umani
e organici, la costruzione segnare l'audacia della conquista dinamica
dello
spazio, la bellezza essere annullata nel ricominciamento del Grado
zero.
Era chiaro pure che un'idea canonizzabile e imbalsamata di "bellezza",
non esiste.. Ma sulla modernità dissi qualcosa come "Beh, certo
è un concetto atemporale, non si riferisce a un epoca ....". Era
solo la risposta di un lettore diligente: "Saggio, la modernità
è quella che fa della crisi un valore".
Caspita, pensai, questo
vale E=mc2 . Bruno Zevi lo aveva scritto e allo stesso "nascosto" in un inciso del
suo recente libro Architettura della modernità, appunto.
La modernità è quella che fa della crisi un valore, crea
una morale contraddittoria, suscita un'estetica di rottura.
Modernità è
un concetto che attraversa tutta
la storia, non è utilmente segmentabile in un arco temporale
perché
vuol dire affrontare di petto gli elementi di crisi di cambiamento di
novità
in un dato momento storico e, a partire da questi elementi di crisi
rispondere
in positivo. Cosicché moderno è l'atteggiamento di
Arnolfo
Di Cambio o di Giotto, di Bruneleschi o di Masaccio di Michelangelo,
Borromini
e Gropius. Ora se vi è un architetto moderno al mondo per questa
sua incessante ricerca nelle viscere stesse della situazione
contemporanea
e Eisenman, senza di lui saremmo molto più soli, molto
più
poveri. Il presunto contrasto tra Architettura moderna e Modernismo,
sotto
questa luce, appare un falso problema.
Le sfide che ci sono
davanti con cui ho iniziato questo
scritto sul newyorchese Eisenman sono "crisi che si devono trasformare
in valori", in risorse del progetto per spingerci oltre darci la forza
e la vitalità dell'agire. Da Eisenman aspettiamo nuove sfide e
nuove
risposte.
Per Approfondire
I principali studi di cui si è
giovato questo scritto sono indicati
nella lista delle abbreviazioni che segue; quelli più specifici,
solo nei paragrafi relativi. Un cenno non va omesso ai due lavori
più
importanti. Il primo è il saggio di Manfredo Tafuri del 1976
esteso
a tutti i Five Architects, il secondo è il libro di Pippo Ciorra
del 1993. Le citazioni riferite ad Eisenman, eccetto quando altrimenti
specificato, si riferiscono alla traduzione italiana di Ciorra dei
testi
di Eisenman che accompagnano i progetti.
A+U 88 - Eisenmananamnesie,
"A+U", numero unico, 8/88
AdA 92 - Frederic Levrat, Peter
Eisenman, "L'Architecture d'Aujourd'hui",
2/92
Ciorra 93 - Pippo Ciorra, Peter
Eisenman, Electa, Milano, 1993
ElC 89 - Peter Eisenman, "El
Croquis", n. 41 12/89
De 89 - Deconstruction, Omnibus volume (cura di A. Papadakis,
C. Cooke, A. Benjamin), Rizzoli int., New York 1989
Eisen 76 ? Peter Eisenman, Post-functionalism, "Oppositions",
n.16 1976
Eisen 78 ? P. E, The graves of
modernism, "Opposition", n.12
1978
Eisen 84 - P. E, [Autopresentazione] in
AA.VV., Contemporary Architects,
EDITORE y, New York con un saggio di C. Ray Smith (ed. 1984), di Nathan
Silver (ed. 94)
Eisen 88 - P.E., Architecture as a
second language: The text of between ,
in varie pubblicazioni (v.p.) tra cui De 89 e Ciorra 93
Eisen 88a - P.E., The authenticity of
differance; architecture and
the crisis of reality, v. p. tra cui in Ciorra 93
Eisen 88c - P.E., En terror firma;:in
trails of grotextes, v.
p. tra cui in De 89
Eisen 89 - Intervista a Jencks in De 89
Eisen 89a - P.E., The blue line text, v. p. tra cui in Ciorra
93
Eisen. 92 - Intervista a Levrat in AdA 92
Frank 93 - Suzanne Frank, voce Eisenman,
International dictionary
of architects, St. martin press 1993
Heyer 93 - Paul Heyer, American
architecture, Ideas and ideologies
in the late twentieth century, Van nostrand Reihnold, New York 1993
Jencks 89 - Charles Jencks, Deconstruction;
the pleasure of absence,
in De 89
PA 89 - Peter Eisenman,
"Progressive Architecture", numero unico,
10/89
Tafuri 76 - Manfredo Tafuri, Five
architects N.Y., Officina,
Roma 1976
1. Big Bang dell'architettura
1. Poker Vitruviano?. A quanto
già discusso nel testo
forse vale la pena aggiungere che gli ordini classici nelle Accademie,
il calcolo nei Politecnici, la razionalizzazione delle quantità
nel dibattito culturale e nei centri della nascente nuova architettura
erano gli strumenti privilegiati che cercavano di "gerarchizzare" gli
aspetti
divergenti della disciplina: non sfidarne l'unitarietà. Una
unitarietà
ribadita con la massima evidenza (I cinque punti! di LC) proprio in
tutto
il lavoro dei maestri della nuova architettura La necessità
sintetica
d'altronde è connaturata alla natura stessa della disciplina: a
differenza di altre arti come la musica, la poesia o la pittura,
l'architettura
è polisemica: serve uno scopo pratico, e insieme ha altre
proprietà.
Filosofi e critici avevano dibattuto su questa particolarità,
che
poi è comune al design degli oggetti d'uso, arrivando
alla
conclusione, anche con il filosofo italiano Benedetto Croce certo non
troppo
aperto verso l'accettazione delle componenti "pratiche" e
utilitaristiche
dell'arte, che sì, pur se l'architettura deve obbedire all'uso,
essa è in grado di veicolare messaggi (conoscenze) di ordine
estetico.
("Il fine estrinseco non è di necessità limite e
impaccio"
a quello estetico: "i due fini non stanno di necessità in
contraddizione";
"l'attività estetica può andare sempre d'accordo con
quella
pratica". Sono brevi citazioni di Croce inserite in un discorso
più
ampio da Bruno Zevi, Paesaggi e città, Newton
Compton,
Roma 1995 p. 11 che naturalmente incontra questo problema trattando
della
natura del paesaggio)
Eisenman attacca più riprese la
continuità umanistica
della architettura moderna . Un chiaro sunto di questa sua concezione
è
in Eisen 84 p. 263 dove egli si sofferma sul la differenza tra
"architettura
moderna" (che addirittura definisce "classica" Eisen 8a p. 212)
e il nuovo epistema "modernismo": "Il modernismo, come una
sensibilità
basata su un fondamentale dislocamento dell'uomo, rappresenta quello
che
Michel Foucault chiamerebbe un nuovo épistème.
Derivante
da un attitudine non-umanistica nella relazione tra uomo e l'ambiente
fisico.
Il Modernismo rompe con il passato storico sia perché non vede
più
l'uomo come soggetto, sia con il positivismo etico di forma e funzione.
Quindi Modernismo non può essere relazionato al funzionalismo.
È
la ragione per cui il modernismo non è stato fino ad esso
elaborato
in architettura". (Aveva già spiegato i medesimi concetti in
Eisen
76, Post-Functionalism). Naturalmente un problema esiste quando si
guarda
alla natura strutturalmente polisemica dell'architettura. In altre
parole
se questa idea di modernismo si basa sull'estraniazione - se si vuole
alienazione
dal fondamento umano - perseguire questo programma proprio in una
disciplina
che si basa sul suo radicarsi anche in una serie di ragione pratiche
(tettoniche,
di uso) ma anche, simboliche, psicologiche, rappresentative,
ambientale,
è particolarmente complesso (anzi impossibile, anzi sbagliato)
Eisenman
d'altronde lo dice "è più difficile in architettura
perché
(...) l' architettura è radicata nella sua presenza nel suo
essere
vista come riparo e istituzione, house and home. L'architettura
è
il guardiano della realtà. È l'ultimo bastione della location.
È un vero problema. L'architettura reprime la dislocazione per
la
stessa paradoxical posizione che ella tiene. Non si ha questo problema
con teologia, filosofia o con la scienza." (Eisen 89 p.143)
2. Riduzionismo esclusivista. La
tesi dottorale di Eisenman (The
Formal Basis for Modern Architecture, Cambridge 1963) è
disponibile solo in alcune biblioteche molto attrezzate (come quella
dell'Eth
di Zurigo) ma andrebbe da qualcuno pubblicata perché è
una
testimonianza a un tempo storica - solo negli anni successivi questo
tipo
di analisi diverrà abituale - e allo calzante di una ipotesi di
lavoro dottorale nell'area della progettazione. Colin Rowe, (che
Eisenman
definisce come "il più importante dei miei padri" in Eisen 92)
oltre
Terragni gli fa scoprire Palladio e Serlio. Caratteristica di questa
fase
è Colin Rowe, Robert Slutzki, Transparence,
Réelle
et Virtuelle, (ed. francese introdotta da Werner Oechslin; di un
famoso
saggio scritto tra gli anni Cinquanta e Sessanta), Les Edition du
Demi-cercle,
Parigi 1992.
Il tema del Big bang anni sessanta in
rapporto alla scomparsa dei maestri
è stato introdotto in due scritti precedenti su Eisenman (la
recensione
al volume di Ciorra in "Domus", 7/8 1993 e Il teorico scende in
campo,
"Costruire", 9/93). Per quanto riguarda la sintesi qui proposta del
lavoro
su Kahn cfr. "Domus" 10/92. Per Tafuri 76 p. 9 sia Kahn che
Venturi
operano "un rovesciamento dell'architettura su stessa, che renda
legittimo
sprofondare nel pozzo senza fondo dell'autonomia formale". Ma una cosa
sono i fenomeni che Kahn innesta (senza dubbio, anche, un fortissimo
formalismo)
un'altra cosa è il senso del suo lavoro (l'esatto opposto del
formalismo,
anzi una concentrazione fortissima sull'unitarietà
dell'architettura,
della sua inscindibilità in sfere autonome). I due volumi chiave
degli anni Sessanta sono Robert Venturi, Complexity and
Contradiction
in Architecture, Mit y 1966, e Christopher Alexander, Note
sulla sintesi della forma (titolo inglese y) 1963. entrambi
disponibili
in edizione italiana
2. Architettare testi e manifesti
1. Architetto-artista concettuale. Sul
manhattanismo cfr. il
saggio di Herbert Muschamp in Thinking the present. recent
american
architecture, (cura di M. Hays e C. Burns) Princeton architectural
press, Princeton 1990 discusso da Ciorra 93). Alcuni dettagli sulla
vita
di Eisenman, come la partecipazione alla guerra di Corea, si devono a
Suzanne
Frank (Frank 93) tra l'altro committente insieme al marito di House VI.
Sull'Iaus un saggio specifico è Joseph Rykwert, The
Institute
for Architecture and urban Studies, in "Casabella" n.359-360 1971
ma
esistono anche lunghi passaggi e commenti in Frank 93, Smith 84, Wines
89 e nell'intervista con Jencks (Eisen 89). In tutti questi scritti,
pur
se in diversa dose, il pettegolezzo si mescola alle notizie e ai
giudizi
sulle varie fasi di attività dell'istituto. Sulla sua
diversità
rispetto a Venturi e Rossi, Eisenman scrive "Venturi ha trasformato il
linguaggio; Rossi ha trasformato il linguaggio, ma sempre all'interno
del
linguaggio. Parlo di due personaggi che hanno riformulato gran parte
del
linguaggio post-bellico dell'Architettura. Il mio lavoro invece
ri-formula
il linguaggio, o sposta (disloca) il mio linguaggio dall'esterno, dalla
fisica dalla biologia, dalla teoria delle catastrofi, dalla matematica
..., in altre parole spinge sempre nuove cose dentro l'Architettura
dall'esterno"
(Eisenman intervistato da Fabio Ghersi in "Controspazio" 1/2 92 p. 13)
Eisenman dice una cosa vera e una errata. Chi ha portato dentro
l'architettura
l'esterno (il kitch il popolare il quotidiano il Pop) è stato
proprio
Venturi. Rossi, poi, in tutta una fase legava la sua ricerca a ragioni
socio-politche di attacco alla società capitalistica. Il
problema
non è quindi così semplice. Il fatto è che per i
due
architetti citati vi era un problema di "contenuti" ( o se si vuole di
valori) mentre per Eisenman almeno all'inizio il dislocamento era una
tecnica,
un esercizio intellettuale. Ma nel suo lavoro a forza "di spingere
sempre
nuove cose dentro l'architettura dall'esterno", lui stesso, vi
torneremo,
riscoprirà dei (molteplici, sfaccettati, pluri direzionati sin
che
si vuole) contenuti. Il manifesto concettuale di Eisenman di cui si
parla
è in "Design Quarterly", n.78-79 1970 (e anche "Casabella" 12/71
e Tafuri 76) un secondo apparirà in varie testate tra cui
"Casabella"
2/73. Di Noam Chomsky bisogna almeno ricordare Generativism,
Mit press y, di Umberto Eco, La struttura assente,
Bompiani
Milano 1969 y originariamente redatta come dispensa della
facoltà
di Architettura di Firenze in cui Leonardo Ricci lo aveva chiamato ad
insegnare.
I critici e storici d'arte che hanno esercitato influenza su Eisenman
sono
ricordati da Jencks 89. La frase su Terragni è stata pronunziata
a Harvard nel 1985 ed è riportata in Giorgio Ciucci, Ennesimeanamnesi (bel
titolo: Anamnesi - esame dell'anima su una serie di indizi - di un bel
saggio) in Ciorra 93.
2. Cultura è un business. Sulle
capacità promozionali
di Eisenman si soffermano molti autori Ciorra 93 p. 22, per esempio,
sostiene.
"La sua costruzione teorica è un vero e proprio apparato di
propaganda,
tendente a dimostrare come la sua immagine di questo nuovo sistema di
relazioni
sia l'unica e la più efficace" Sul valore delle scelte
"esotiche"
e controcorrente scrive Diane Ghirardo . "La soluzione è
assumere
una posizione teorica esclusivista, (...): se funziona questa diventa status"
(Peter Eisenman Il Camoufflage dell'avanguardia, "Casabella" 6/94
p.
27). Sull'impostazione quale individualità e business y
dell'architettura
statunitense cfr. Eisen 92
3. Nascita dei Five. Il catalogo
della mostra dei Five a New
York con gli scritti di Rowe, Frampton, Drexler e La Riche è: Five
Architects, George Wittenborn & Company, New York 1972. testi
(anche
molto critici) sui Five appaiono sul numero unico di "Architectural
Forum",
5/73. Tafuri 76 dà delle definizioni molto calzanti e
profetiche:
Se Eisenman è il teorico e il terrorista formale, Graves
è
un illusionista, Meier un meccanico delle funzioni (aggiungeremmo che
Hedjuk,
forse, un prestigiatore che lancia e poi raccoglie i suoi pezzi nello
spazio,
Gwathmey associato con Siegel, un colto mediatore). Mario
Gandelsonas pubblica saggi sui Five su "Progressive Architecture" 3/73 e
"Casabella"
2/74 in cui a pagina 22 scrive "Paralizzando la dimensione semantica,
la
dimensione sintattica assume un peso inusitato". Definizione
assolutamente
perfetta di questa fase di Eisenman, che viene citata anche da altri,
in
un articolo che appunto si intitola Linguistic in Architecture..
La definizione della "energia didattica" del suo lavoro è di
Jencks
89. Del tutto naturale dato che il suo dottorato è
specificamente
in progettazione architettonica.
3. Partiture di carte e di dadi
1. Peter Terragni. I saggi di
Eisenman sono: Dall'oggetto
alla relazionalità: la Casa del Fascio di Terragni,
"Casabella",1/70
e From object to relationship: Giuseppe Terragni, Casa Giuliani
Frigerio,
II, "Perspecta", n.13-14 1971. Cfr. su quanto sintetizzato su
Terragni
nel testo Giuseppe Terragni, Vita e opere, Laterza, Roma Bari
1995.
Nella propria bibliografia in Eisen 85 appare anche il titolo Giuseppe Terragni, Cambridge 1985. Manfredo Tafuri scrisse la premessa
all'ipotetico
volume (che poi sarà pubblicata come saggio autonomo nel 1978,
"Lotus",
n.20) perché né l'Mit, né successivamente Rizzoli
international, che pure annunziò con tanto di copertina, il
volume
mai hanno dato alle stampe il lavoro. Certo che il continuo annuncio
del
libro-fantasma ha dato più aura alla sua immagine di una
superficiale
e affrettata pubblicazione.
2. Differenze e diagrammi. Tra i
molti critici che si sono occupati
di Eisenman in questa fase una delle osservazioni più pertinenti
è contenuta in Heyer 93 che a p. 138 scrive "Nel lavoro di
Eisenman
le componenti sono inestricabilmente bloccate, come se diventassero
collapsed
inward, ... [y] curare traduzione] In eisenman'work components are
inextricably
interlocked as they become collapsed inward, almost slid onto
organizing
and regulating line and entwined as they reemerge outward as layered
exterio
form". Sullo sviluppo successivo di Meier cfr. "Domus" 12/93,
recensione
al
volume Richard Meier , a cura di P. Ciorra e L. Sacchi, Electa
Milano
1993
3. Perversioni dell'arbitrario. Naturalmente
privilegiare il
momento del disegno è un fenomeno comune a tutta l'avanguardia
architettonica
degli anni Settanta. A questo proposito non si può non ricordare
(assieme al lavoro di Rossi, Scolari, Grassi e altri architetti della
"Tendenza")
soprattutto quello dell'italiano Franco Purini. La cui forte
vocazione
teorica (L'architettura didattica, Casa del libro, Reggio
Calabria
1980) innerva tutti i propri testi: vuoi disegni, progetti o scritti.
Su
alcune convergenze tra il lavoro di questo architetto romano e Eisenman
cfr. Franco Purini, Fra Futurismo e metafisica, Costruire,
4/94
e F. Purini, recensione a P. Eisenman la fine del Classico, "Casabella",
12/87
4. La casa del pendio. Eisenman
wrightiano? Su House VI cfr.
"Architectural Design" 1/78 Cfr. anche Peter Eisenman, House X,
Rizzoli International, New York 1982 che ripubblica un saggio di Mario
Gandesonans, From Structure to Subject apparso sia su
"Oppositions"
n. 17 1978 che su "A+U" 1/78.
5. Trivellazioni nell'inconscio. "Fu
allora, che decisi di intraprendere
la terapia psicoanalitica. Ero veramente preoccupato, dopo aver
impiegato
così tanto tempo a progettare House X, nel non vederla
costruita.
In quel momento cominciai ad andare verso il mio inconscio attraverso
le
mie sedute di analisi: divenni meno orientato verso la testa. Questo
causò
una modifica nella mia architettura: andò verso la terra" (Eisen
89 p. 142). Cfr. anche, riassuntivo sull'intero ciclo delle case, Peter
Eisenman, House of cards, Oxford University press, Oxford 1987
(con
saggi di Rosalind Krauss e Manfredo Tafuri).
4. Dislocare il Post.
1. Sterro, tracciati, metafore. Jencks 89 p. 127, scrive: "Il
progetto Cannaregio per Venezia del 1978 indica questo cambiamento
verso
quello che io chiamo il suo ëNon Post-Modernismo' cioè
l'uso di
norme Post-Moderne in una maniera invertita o Decostruita". Molto vi
sarebbe
da discutere, in parte vi torneremo, su questa implicita (anche se
invertita
paternità che Jencks si attribuisce). Ma l'osservazione è
stimolante. Comunque molto prima Bruno Zevi aveva intitolato un
suo editoriale L'anti-memoria di Peter Eisenman ("L'architettura
- cronache e storia", 10/82)
Molti autori si soffermano sulle
incongruenze funzionali delle case
di Eisenman. Una sintesi efficace è quella di Ray Smith in
Eisen 85. " le scale non hanno ringhiere, le colonne non toccano il
suolo
ma risultano appese, i requisiti funzionali di bagni e cucine sono
negati,
si abbisogna di aria condizionata sul lato nord. (...) Nella House VI
per
Suzanne e Richard Frank, una scala è troppo bassa per scendere
senza
saltare aduck y, una porta è troppo stretta per entrare senza
girarsi,
un pilastro cala tra le sedie del tavolo da pranzo". La svolta di
Eisenman
tra il 1982 e il 1983 è ricordata tra l'altro proprio da
(Susanne)
Frank 93 p. 235: "L'11 agosto 1982, festeggiando nel suo piccolo studio
il cinquantesimo compleanno, Peter Eisenman ha fatto un breve discorso
per affermare: "Ho passato i miei primi cinquant'anni a lavorare per
l'istituto
(l'Iaus), i prossimi cinquanta saranno per lo studio e la progettazione
attiva" " Del 1982 sono infatti le dimissioni da direttore dell'Iaus e
la chiusura di "Oppositions" e altre vicende della sfera personale.
2. Eisenman riemerge a Berlino. Sull'Iba berlinese vi è
una sterminata bibliografia, un buon testo riassuntivo in italiano
è
stato redatto in occasione della mostra Berlino capitale...Multigrafica
y. È interessante notare che su alcune strategie simili di town
design, Eisenman si è misurato anche per la città di
Roma,
e in particolare per l'area del borghetto Flaminio. Nessuno,
apparentemente,
nella affannosa rincorsa ai commissari esteri per giudicare il Concorso
espletato nel 1995, si è ricordato di questo progetto redatto
otto
anni prima (cfr. Triennale di Milano, le Città invisibili 1987).
Il progetto romano completa idealmente una triade con quello per
Venezia-Cannaregio
(1978) e quello a Verona denominato Moving arrows, eros and other
errors:
Romeo e Giulietta del 1985. Di questi lavori si tratta anche nel volume Peter
Eisenman , La fine del classico (a cura di Renato
Rizzi)
Cluva, Venezia 1987 in specie nel saggio di Franco Rella, Figure
nel
labirinto.
3. Collage di tracce. Eisenman spiega la differenza nell'uso
del termine testo tra la sua prima fase (quella grosso modo della Cardboard
Architecture) e la seconda (caratteristica, tra gli altri del
progetto
per la Villette con la consulenza di Derrida): "Nella prima di queste
elaborazioni,
il testo non è più considerato come la rappresentazione
di
una narrazione, quanto piuttosto come la rappresentazione della
struttura
formale di una narrazione. Nella seconda, il testo ënon è
più
qualcosa di completo, racchiuso in un libro e nei suoi margini, ma
è
piuttosto un sistema differenziale. Un tessuto di tracce che rimanda
all'infinito
a qualcosa di diverso e altro rispetto al testo stesso". In
quest'ultimo
senso, il testo "rimuove l'idea convenzionale o naturale' del lavoro
letterario.
e se il concetto di testo come struttura dell'opera si riferiva ad un
processo
interno all'opera stessa, questa seconda nozione di testo crea una
condizione
fondamentale di "spiazzamento"; non dipende più da alcuna
relazione
interna, come la struttura. (...) Il testo non corrisponde mai a un
solo
significato; ogni singolo elemento che vi appare ha più di un
significato".
In Eisen 88 p. 206. Sul progetto della villette vedi "Domus"3/87.
4. Il "tra". Il progetto del
Wexner center for the arts ha avuto
un grandissimo eco sulla stampa specializzato e non quando è
stato
aperto al pubblico nel 1989. "Raramente un edificio è stato
inaugurato
allo stesso modo del Wexner Center a Columbus Ohio, dove l'anziano
statista
dell'architettura Philip Johnson, si è unito con alcune delle
più
brillanti leve della nuova generazione - Charles Gwathmey, Michael
Graves,
Richard Meier, Harry Cobb - per non citare i rappresentati del
cosiddetto
circolo delle avanguardia delle arti, come Laurie Anderson, il Kronos
Quartet
e Twyla Tharp" (Ghirardo cit. "Casabella" 6/94 p. 23). Diane Ghirardo
aveva
trattato con toni critici del lavoro di Eisenman nel volume da lei
curato Out
of site, A social criticism of architecture, Bay press, Seattle
1991
in particolare nel saggio Two Institutions for the Arts. Indubbio
che il clamore della stampa ( Rizzoli international nel 1989 stampa un
intero libro sull'edificio con saggi di rafael Moneo e Jonathann Green)
è adeguato più al ruolo culturale dell'autore e alla
novità
del suo primo grande edificio pubblico in America che al valore
intrinseco
dell'opera, inferiore, e di molte spanne, ad altre opere pensate in
seguito
per la stessa Columbus.
5. Il futuro del passato. Frank
Gehry e Peter Eisenman sono stati
associati in diverse occasioni negli ultimi anni di nuovo
dall'autorità
di Philip Johnson (basti ricordare la sua Introduzione a Peter
Eisenman & Frank Gehry, catalogo della V mostra internazionale
di Architettura alla Biennale di Venezia, Rizzoli international New
York
1991). Un anticonvenzionale ritratto Gehry Eisenman amici -nemici, di Andrea
Stipa, "Ricerca e progetto" n. 3 1994 y. Heyer 93,
attraverso
il montaggio mirato che opera nel suo volume, accosta Johansen a Gehry.
Sulle nuove concezione dello spazio pubblico di cui Gehry rappresenta
il
massimo artefice e su alcune evidenti reinterpretazioni operate da
Gehry
dello stage set di Charles Moore Cfr. Il vuotometrico. Se
il
vuoto si fa progetto, "Costruire", 5/95 ma giusto ricordare che
nella
bibliografia di questo volume si trova la seguente affermazione "Frank
Gehry ha sviluppato lo spazio Post-Moderno di Charles Moore e altri con
una attitudine Tardo-Moderna". (Jencks 89 p. 119) In questa operazione
Gehry è letteralmente un architetto decostruttivo. Decostruisce
cioè stereotipi scenografici in un sentire opposto. In altre
occasioni,
per spiegare gli stessi fenomeni di ibridazione (cfr. Scenari futuri
inedito
a questa data ) abbiamo usato la metafora del lievito: un enzima malato
che diventa lievito fragrante di una nuova sintesi. L'importanza del
Museo
californiano è sottolineato bene dal seguente paragrafo:
"Nella proposta per il Long Beach Art
Museum, del 1986, una delle prove
migliori dell'ultimo decennio, l'idea della rivelazione delle tracce,
della
sovrapposizione indifferente delle varie ëforme urbane' genera un
insieme
complesso ed efficace, meno letterario delle coeve sperimentazioni
fatte
per la biennale del 1985 (Moving arrows...) o per la Triennale del 1987
(proposta per via Flaminia a Roma), ma più credibile e
interessante,
capace di suscitare curiosità vera su come sarebbe un pezzo di
città
(o di paesaggio) progettato da Peter Eisenman." (Ciorra 93 p.19)
Il giudizio è assolutamente condivisibile, (a parte l'aggettivo
"indifferente": forse si tratta semplicemente di "differente": delle
tracce
si usano qui solo le porzioni che contribuiscono alla struttura
spaziale
del progetto). Il progetto è pubblicato con un testo di Eisenman
in "Lotus" n. 50 1987 e in "GA international 18" 4/87. Cfr anche a cura
di Pippo Ciorra, Botta Eisenman, Gregotti Hollein: Musei,
Electa, Milano 1991.
5. Rivoluzione permanente e grandi
conquiste
1. Lotta al Cubo. Delle diverse
teoriche scientifiche applicate
da Eisenman alla progettazione architettonica tra cui appunto la
geometria
di Boole, il Dna, il frattale un utile compendio è in Gerhard
Schmitt,Architecture et Machina. Computer Aided Architectural
Design
und Virtuelle Architecktur, Vieweg, Wiesbaden, 1993 in particolare
perché qui ne viene studiato il possibile sviluppo elettronico.
Il progetto per Carnegie-Mellon è stato discusso a più
riprese
tra Schmitt (docente e collega di chi scrive alla medesima
università)
e Eisenman (che in quel periodo teneva un corso al Dept. of
Architecture).
La citazione di Susan Condé è in Marco De Martino, Euclide
da Vinci, "Panorama" 18/2/94 pp. 152-156.
2. Il cagnolino Balla sulla sabbia. Eisenman
scopre il Chora
di Platone ("il ricettacolo" come qualcosa tra luogo e oggetto) via
Jacques
Derrida che stava lavorando al Timaeus Timeo y di Platone al tempo del
Progetto della Villette, ma l'idea si decanta solo tre anni dopo in
questo
progetto spagnolo. Eisenman per spiegare le vibrazioni che assume la
forma
base propone "arabesque": termine pieno di equivoci, almeno in
italiano.
Crediamo che "sfocamento" o l'inglese Blurring sia estremamente
più appropriato. Mai abbiamo trovato né in Eisenman,
né
in altri autori alcun cenno a Duchamp né tanto meno a Balla. Ma
le fonti di ispirazioni più autentiche, anche negli
iper-teorici,
devono viaggiare sotterraneamente!.
3. Cavi audaci per insegnare
architettura. Il progetto viene
presentato in AdA 92 con la datazione 1991 e risulta redatto in
collaborazione
con Lorenz e Williams inc. A questo splendido progetto, nell'ampio
servizio
a cura di Levrat, spicca il saggio "Le génie de la
matière"
nel quale Standford Kwinter dedica all'opera una dettagliata analisi
una
volta tanto non "letteraria" ma estremamente pertinente alle tecniche e
alle idee che effettivamente guidano lo strutturarsi di questa
"materia".
6.. Eisenman realista
1. Decostruire, ma cosa?.. Sul
fenomeno decostruttivista ormai
la letteratura è vasta. In Italia, tra altri Livio Sacchi, ne
è
stato un critico attento (Cfr. Sacchi 90 e il suo scritto Architettura,
ermeneutica, decostruzione in Bianca Bottero Decostruzione in
architettura
e in filosofia, Cittàstudi, Milano 1991) ma la fonte
bibliografica
per cogliere la complessità del fenomeno è De89. Questo
corposo
volume (294 pagine di grande formato) una volta tanto dà credito
al titolo Decostruction Omnibus volume. L'interesse
dell'opera,
che raccoglie anche scritti apparsi sul catalogo della mostra al MoMA
di
New York o su "Architectural Design", è anche dare voce ad
autori
come Jencks (Deconstruction: the pleasure of absence) e
soprattutto James
Wines (The Slippery Floor) che da posizioni opposte
destabilizzano
le nuove ipotetiche certezze. Si tratta di una linfa critica, che i
curatori
Papadakis, Cooke e Wigley, hanno l'acume di comprendere e che dà
ancora maggior prestigio al volume e al movimento che vi viene
presentato.
I due saggi della Cooke sono estremamente pertinenti. In Russian
precursors,
in particolare, l'autrice mette a confronto rivoluzioni scientifiche
costruttivismo
e decostruttivismo anche con uno stimolante raffronto di immagini.
Alcune
delle sue osservazioni e le citazioni di Fritjof Capra (The Turning
point, New York 1982 traduzione italiana y) hanno innestato la
quinta
domanda del capitolo conclusivo.
2. Edifici in tre continenti. Una
carrellata alla produzione
recente di Eisenman come quella compiuta in questo paragrafo è
possibile
oggi solo attraverso lo studio di Ciorra 93, la prima vera
monografia
dedicata ad Eisenman. Grande merito a Ciorra e all'editoria italiana
nell'aver
redatto questo lavoro spianando la strada agli studi successivi.
3. Rebstock Park. Sulle
caratteristiche del progetto di Fox Hill
all'interno della problematiche residenziale e sul ruolo dell'Iaus in
onnessione
all'Udc cfr. Sistemi distributivi e architettura residenziale ,
"Ricerca e Progetto", 12/90. Sulla posizione teorica di Kenneth
Frampton (che firmò diversi progetti residenziali Iaus-Udc) vedi
il suo famoso saggio L'evoluzione del concetto di abitazione
1870-1970,
"Lotus" 10 1975. In questa fase Frampton è molto vicino a
Eisenman
e "certo prima o poi - come abbiamo scritto in altra occasione -
vedremo
un Kenneth & Peter che indaghi le convergenze e le
successive
evidenti diversità - come nel Giovanni e Giuseppe di
Cattaneo
-Terragni") Gli studi e progetti residenziali di questa fase -
bruscamente
interrotta per il cambio di interesse verso l'edilizia economica e
popolare
che in tutti gli Stati Uniti caratterizza la seconda metà degli
anni Settanta. sono stati diffusi in AA.VV., Another Chance
for
Housing: Low Rise Alternatives, Museum of Modern Art, New York
1973;
"Low Rise, High density", Progressive Architecture, Dicembre
1973
e su "L'Architecture d'Aujourd'hui", 8-9/76
Il concetto di Tessuto (e tutte le
implicazioni tecniche, costruttive,
economiche metodologiche, sociologiche) sono affrontate in diversi
altri
lavori soprattutto in Using Goals In Design, Carnegie-Mellon,
Pittsburgh
1988 difficilmente però consultabile in Italia. Per
approfondimenti
e riscontri bibliografici si può confrontare Un architetto
americano.
Louis Sauer, Officina Roma 1988. Specificamente sul
Rebstock
Park cfr. John Rajchman, Perplications: on the space and
time
of Rebstock park, catalogo della mostra dei progetti, .Ernst &
Sohn, Berlino 1991 e l'ARCA y. Sulle teorie ondulatorie cfr. Charles
Jencks, An
architecture of waves and twists, "Architectural Design" 5/6 1995 e
anche The architecture of the jumping universe, Academy
Editions
Londra 1995 di questo tema mostrando connessioni tra il lavoro
urbanistico
degli architetti Costruttivisti e quello di Tschumi aveva trattato C.
Cooke
(Russian precursors cit. in De89)
7. Sei Domande e una risposta
Alla fine mi rimane impressa una frase
del nostro ".i.Terragni; non
esiste, .i.Terragni; non c'e' .i.Terragni; l'ho inventato io" . Per un
attimo mi sorge un dubbio: l'Eisenman di queste pagine c'e' veramente,
o è quello che vorremo che fosse?. Questo Eisenman, l'ho forse
inventato
io? |