Un intellettuale contro.
Ricordo di Bruno Zevi

Costruire, n.201, Febbraio 2000 (p. 21).
 

In memoria di Bruno Zevi.
 

di Antonino Saggio

- Dobbiamo lottare per le idee, non per le persone che hanno importanza relativa.

Forse questa frase, può  essere un inizio per riflettere con i lettori di "Costruire" sulla figura di Bruno Zevi, scomparso improvvisamente a Roma la mattina del 9 gennaio. Avrebbe compiuto 82 anni dopo pochi giorni.

Zevi, mentre scrivo, riposa accanto a un cuscino di fiori di Carlo Azeglio Ciampi. Entrambi sono stati membri del Partito d'azione ed hanno cercato una via di rigore, di onestà, di coraggio "individuale". Al di là delle ideologie, al di là dei partiti, al di là delle fedi laiche o religiose è l'integrità e il coraggio dell'individuo la vera etica. Il motore di Zevi per più di sessanta anni di accanito lavoro è stata la costruzione di una coscienza di libertà, una conquista che si doveva compiere costantemente, giorno per giorno. E sempre rinnovare con fermezza. Ecco perché, almeno ai più vicini, Zevi ricordava le idee di Aldo Capitini, il pedagogo e filosofo di cui si è appena celebrato il centenario della nascita.

Zevi quando doveva tracciare un profilo di sé, anche se solo di poche righe, scriveva sempre "seguace di Carlo Rosselli e membro del Partito d'azione". Se aveva più spazio ricordava la direzione in America dei Quaderni Italiani, e la partecipazione da Londra all'organizzazione della resistenza.

Quando nel 44 tornò in Italia, era stato costretto a lasciarla nel 1939 per le leggi razziali, affiancò all'attività politica quella culturale. In America, dove si era laureato a Harvard con il rispettato ma mai amato Walter Gropius, aveva scoperto con Wright il valore della libertà dell'architettura. L'architettura dà significato alla società. Una società democratica e libera deve avere un'architettura altrettanto aperta, libera, creativa. L'una cosa aiuta l'altra. Non c'è valore civile senza architettura libera e non ci può essere vera architettura se non come anelito di libertà.

Ecco perché tra le cose che sono state scritte su Zevi, una delle più giuste è la menzione alla sua elezione a Fellow dell'American Institute of Architects "Appassionato e tenace assertore dell'integrazione tra valori democratici e concezioni architettoniche, egli ha rilevato come gli edifici riflettano l'anima di una società".

Con Zevi la cultura italiana perde un intellettuale che appartiene alla sua tradizione più nobile e più alta. Quella che non vede mai il fare disciplinare come separato ma che al contrario sente che qualunque aspetto del proprio lavoro è immerso integralmente nella storia e nella società. Per Zevi parlare e studiare l'architettura (o l'arte o la musica o la scienza o il pensiero) non era mai scisso dalla sua azione di uomo, dai suoi valori di cittadino.

Nei primi anni della Ricostruzione italiana il suo contributo è travolgente. Fonda l'Apao (Associazione per l'architettura organica) cenacolo di lotte e dibattiti, di speranze politiche e architettoniche che si sono travasate nella ricostruzione italiana. Capeggia l'azione dei giovani architetti romani per fermare la costruzione "archi e colonne" della testata della Stazione Termini e riesce a far bandire un concorso in cui si afferma una soluzione tra le più belle e vibranti della nostra architettura del dopoguerra, contemporaneamente con Mario Ridolfi e Pier Luigi Nervi partecipa alla stesura del Manuale dell'Architetto, indispensabile strumento di aggiornamento professionale per i progettisti italiani. Co-dirige "Metron", che vedrà importanti scritti dei più anziani Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà, nel 1955 fonda "L'architettura" e tiene una rubrica su "L'Espresso" da cui affianca settimanalmente le battaglie architettoniche e urbanistiche che conduce anche attraverso l'InArch (Istituto nazionale di architettura) e l'Inu (Istituto nazionale di urbanistica) di Adriano Olivetti

Via via negli anni la sua azione civile punteggia l'azione critica e didattica.

Contro la legge truffa nel 1953, a fianco della contestazione studentesca nel ‘68 ma anche attento, sino al rischio personale, nel non svendere la cultura. È tra i primi a sentire il bisogno di usare la libertà dell'etere come strumento di comunicazione delle idee e fonda nel 1976 Teleroma 56. Si incontra e poi scontra con il Partito socialista all'inizio degli anni Ottanta, diventa presidente e deputato radicale, ma quando deve scegliere, posto in minoranza sulla adesione al raggruppamento per il Parlamento europeo, dice l'ennesimo "No".

Zevi è stato anche fermamente un uomo "contro", un uomo dei no. Formatosi negli anni dell'antifascismo conosceva se stesso solo contro la barbarie, contro la guerra, contro la dittatura, contro l'olocausto, contro l'architettura come espressione di sistemi, di ideologie, di apparati.

Questi tratti fondativi della sua personalità, sono noti agli architetti, ai lettori, agli studenti che lo hanno avuto per trent'anni professore prima allo Iuav di Venezia e poi a La Sapienza di Roma.

Del suo lavoro di studioso vanno ricordate almeno cinque tappe fondamentali.

A ventisette anni ha rilevato in un paese chiuso in se stesso e sconfitto, la lezione di Wright. Verso un'architettura organica (1945) profetizzava una rivoluzione nella concezione del rapporto architettura-natura-uomo che solo Edoardo Persico aveva intuito. La seconda acquisizione è contenuta in Saper veder l'architettura (1948) tradotto in venti e più lingue. L'architettura è ricondotta al suo centro: la creazione dello spazio, la capacità di plasmare il vuoto. L'idea era già presente negli scritti di Alois Riegl dell'inizio del secolo, ma è Zevi che ha fatto dello spazio la categoria interpretativa fondamentale della critica architettonica.

A trentadue anni dà alle stampe la prima Storia dell'architettura moderna (1950, ampliata nel 1975 e poi nel 1996). La chiave di lettura è anti Giedion: l'architettura moderna non è solo la linea cubismo-razionalismo, ma anche personalità divergenti: Olbrich o Gaudì, Mendelsohn o Scharoun e, "nella scia dell'impressionismo", Wright. La ricchezza delle informazioni, l'analisi delle opere rivolta al processo formativo, l'acutezza del giudizio hanno formato generazioni di architetti. A questa opera seguono approfondimenti sul Neoplasticismo, su Mendelsohn, su Terragni, su Wright.

Negli anni Sessanta si afferma la quarta conquista. Sulla scia degli studi su Biagio Rossetti, Michelangelo, Palladio, Borromini (e poi Brunelleschi), Zevi compie una lettura mirata del passato che viene interpretato con le stesse categorie spaziali che ha scoperto nel contemporaneo. La formula è quella della critica operativa, ma con più precisione si tratta di critica storica: solo attraverso la conoscenza storica "si può dimostrare che Michelangelo e Borromini hanno da offrire più di Gropius o Aalto perché, nel loro contesto linguistico, furono più coraggiosi e inventivi."

Nel 1973, l'ultima tappa. Il linguaggio moderno dell'architettura condensa tutto ciò in cui crede. Un anticodice stabilisce una serie di negazioni (no al monumentalismo, no alla simmetria) e i principi, non le regole, delle sette invarianti. Inventario di contenuti e funzioni, Asimmetria e dissonanze, Tridimensionalità anti-prospettica, Decomposizione quadri-dimensionale, Strutture in aggetto e a membrana, Spazio temporalizzato, Reintegrazione di edificio città e territorio. Un codice moderno che comincia dal paleolitico.

Il suo ultimo volume si chiama Controstoria e Storia dell'architettura (prima in fascicoli a mille lire, e dal 1998 riccamente illustrato in tre volumi in cofanetto): un lavoro durato oltre "Trent'anni per produrre una Controstoria dell'architettura in Italia, un ‘De Sanctis dell'urbatettura' (urbanistica + architettura)". Critica e architettura sono positive solo se negano: combattono consuetudini, norme e regole per affermare il valore originale della ricerca artistica. Il progetto di architettura, di per sé prosa compromissoria tra funzione, costruzione e bellezza, si deve spingere oltre. La funzione diventare tensione verso spazi umani e organici, la costruzione segnare l'audacia della conquista dinamica dello spazio, la bellezza essere annullata nel ricominciamento del Grado zero. Un'idea canonizzabile e imbalsamata di "bellezza", anzi, non esiste: è estranea a qualsiasi modernità. Il volume si chiude con questa frase:

"L'ultimo valore consegnato al terzo millennio attiene al rapporto tra architettura moderna e democrazia liberal-socialista. Su questo terreno vibra la testimonianza di Terragni, Persico e Pagano, per i quali la modernità ? quella che fa della crisi un valore, una morale contraddittoria, dice Baudrillard, e suscita un'estetica di rottura ? era sinonimo di vita etica e civile. L'architettura è il termometro e la cartina di tornasole delle giustizia e della libertà radicate in un consorzio sociale. Decostruisce le istituzioni omogenee del potere, della censura, dello sfascio premeditato, e progetta scenari organici. Fuori di una modernità impegnata, sofferta e disturbata non c'è poesia architettonica".

La modernità non è un valore temporalizzabile, è uno stato, una tensione, una coscienza, che "fa della crisi un valore". È questa idea di modernità credo una delle chiavi fondamentali al suo pensiero: la trasmise con grande forza in una delle sue ultime conferenze quando, indicando ciascuno dei presenti disse: "Io sono felice perché so che, in qualsiasi momento, sentendomi mancare, posso rivolgermi a voi dicendo continua tu, tu, tu, tu."



Antonino Saggio Home