Il piacere dell'intelligenza

André Corboz, Ordine Sparso.
Saggi sull'arte, il metodo, la città e il territorio, a cura di Paola Viganò, prefazione di Bernardo Secchi, Franco Angeli, Milano 1998 pp 264 Lire 45.000

Pubblicato su "L'Architettura cronache e storia" luglio-Agosto 1998

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 Antonino Saggio

André Corboz è un autore. Ma, si chiederà, "autore di cosa"? Di norma è una domanda legittima perché nel grande mondo della comunicazione abbiamo bisogno di generi e specialismi ma il field base del cognome Corboz è riempito solo da un sostantivo: intelligenza. Che si occupi di urbanistica attraverso l'analisi puntuale di un episodio (L'invenzione di Carouge) o in saggi di bilancio e proiezione al futuro ("L'urbanistica del XX secolo", "Il territorio come palinsesto", "L'ipercittà") oppure di storia dell'arte (Canaletto, Una Venezia immaginaria in cui rivela che le vedute del pittore sono in realtà costruzioni critiche, anziché viste oggettive) o di storia dell'architettura ("A proposito del tema del tunnel") quello che guida Corboz è una lotta intellettuale con in mondo. Leggere Corboz vuole dire essere presi per mano, lungo percorsi dolci e ondulati (magari quelli nei dintorni di Ginevra dove è nato nel 1928). Si cammina, si incontra e si osserva, si pensa insieme.

Questi viaggi sono ricchi di scoperte anche lungo itinerari che credevamo di avere già battuto in lungo e in largo, perché Corboz rivela angoli che non avevamo mai visto così. Per esempio nello scritto "Avete detto spazio?" spiega come la concezione del vassoio del funzionalismo Ciam (spazio illimitato, isotropo su cui poggiare architetture volume) si leghi al neopositivismo, all'illuminismo, all'utopia, alla concezione di Isaac Newton. Chissà, nel Medioevo parlare e passeggiare con un tale maestro sarebbe possibile solo dopo aver attraversato baratri, sconfitto draghi, superate foreste di spine; oggi si compra un libro-tesoro. Ecco perché la pubblicazione di Ordine Sparso con una serie di scritti selezionati che proseguirà a breve con un secondo volume, è un evento. È nato dall'incontro tra una casa editrice - Franco Angeli - che persegue una pubblicazione saggistica di qualità, in cui è il testo il valore, un direttore di collana come Bernardo Secchi e la curatrice Paola Viganò che muove la propria ricerca tra progettazione architettonica e urbanistica. Secchi tratta della categoria del nomadismo: "antiaccademico per eccellenza" Corboz "non si sente legato ad alcun campanile, ad alcuna chiesa; sa che le divisioni disciplinari sono un costrutto, esito di una divisione del lavoro sempre revocabile, che non riflette alcuna verità epistemica. Come il nomade Corboz pianta il proprio campo studiando il luogo, l'oggetto della sua ricerca, pronto a spostarsi, a modificare il modo di insediarvisi".

La curatrice oltre alla selezione dei saggi e alla revisione delle traduzioni il cui italiano fila sempre liscio ed elegante scrive un saggio di inquadramento che rivela come Corboz sia stato vicino a Bruno Zevi, autore che insieme a Marcello Fagiolo, Eugenio Battisti, Jean Starobinski e Paul Zumthor, rappresenta un riferimento. Inoltre la Viganò riassume con efficacia i lavori principali ed estrapola alcune citazioni che diventano guida per procedere. In particolare una: "Se diventa domanda lo sguardo genera un campo". Detto così sconcerta, in realtà vi è condensato il pensiero di Corboz. Lo sguardo è il nostro comunicare con il mondo. Senza sguardo (curiosità, amore, passione) non v'è relazione. Ma se lo sguardo diventa domanda allora c'è un passo, uno scarto perché quello che osserviamo entra intellettualmente in noi. Si formula cioè "l'ipotesi" che trasforma lo sguardo in azione attiva che genera "un campo". Che è quello della ricerca, delle sue strade, del suo processo di legittimazione (che si chiama "verifica" nelle scienze esatte o "efficacia" nelle scienze umane). Corboz ci parla di tutto questo nel saggio "Per l'interpretazione" che è quanto di più affilato abbiamo mai letto come teoria della critica contemporanea. Sembra che la lotta sia tra soggetto e oggetto (tra chi vede l'opera come "oggetto in sé" e chi la vede come proiezione del proprio io). Corboz invece fa centro sulla domanda, sull'ipotesi e appunto sul campo interpretativo quale ricerca costante di nessi e di rimandi che calamitano l'altrimenti informe massa dei dati in nuove domande e parziali risposte. In questo processo poniamo "d'assedio il reale fino alla resa" .

A poco a poco, anche se Corboz mai esplicitamente lo dice, capiamo: la vera relazione è sempre tra soggetti, tra noi e gli altri. Lo scienziato indaga solo apparentemente la materia, in realtà si misura anche sulle interpretazioni precedenti del fenomeno e sugli scarti e sui residui delle teorie precedenti. L'indagine nelle scienze umane (un quadro, un'architettura, un testo) si scontra anche con un secondo soggetto: l'autore dell'opera. Quando progettiamo vi è un terzo livello dove ci scontriamo anche con noi stessi, con quello che vogliamo, con la nostra tensione a divenire e migliorarci. D'altronde per Corboz, e non solo per lui, "il mondo non è mai da leggere", ma sempre da "scrivere". Ecco perché il destino ultimo dello sguardo è sempre e comunque il progetto.
Antonino Saggio
 
 

ENGLISH TEXT

André Corboz is an author. But, one might ask, "author of what"? Normally, it would be a legitimate question because in the great world of communications we need types and "specialisms", but the last name Corboz is in itself a substantive for intelligence. Whether dealing with urban planning through a timely analysis of some episode (Invention de Carouge), historical outcome and future forecasting ("L'urbanisme du XXe siècle", "Le territoire comme palimpseste", "Apprendre à décoder la nebuleuse urbaine"), art history (Canaletto, Una Venezia immaginaria) in which he reveals that the painter's views are really critical constructions rather than objective views), or architectural history ("Peinture militante et architecture révolutionnaire: à propos du thème du tunnel chez Hubert Robert"), Corboz is guided by an intellectual struggle with the world. Reading Corboz means being taken by the hand along pleasant and undulating paths (ideally, those around Geneva where he was born in 1928). With him, one walks, encounters, observes, thinks.

These trips are rich with discoveries, following routes we thought we knew but along which Corboz reveals corners never quite seen just that way. For example, in his "Avete dello spazio?", he explains how the conception of CIAM's functionalist vessel (an unlimited, isotropic space on which architecture, volumes may be rested) ties to neopositivism, to illuminism, to utopia, and to the conception of Isaac Newton. In the Middle Ages, speaking and walking with such a master would have been possible only after having crossed chasms, defeated dragons, overcome thorny woodlands; today, nothing more is asked of you than to buy a book?treasure. Here, then, is why the publication of the Italian edition of Ordine Sparso, a series of selected writings soon to be followed by a second volume, is an event. It is the result of a meeting between Franco Angeli's publishing house, which pursues quality non-fiction, the director of the series, Bernardo Secchi, and the editor, Paola Viganò, who also conducts research in architectural design and urban planning. Secchi deals with the issue of nomadism: "anti-academic par excellence" Corboz "does not feel bound to a single cause, to a single church; he knows that distinctions between disciplines are a construction, the result of a division of labor that can always be abrogated, that does not reflect any epistemic truth. Like a nomad, Corboz plants his field by studying the place, the subject of his research, ready to move, to modify his way of territorializing." Apart from selecting the essays and revising the translation (the Italian is even and elegant), the editor, Viganò, has written an essay that gives a complete picture. It reveals the close relationship between Corboz and Bruno Zevi, an author who, together with Marcello Fagiolo, Eugenio Battisti, Jean Starobinski, and Paul Zumthor, has been a reference. She sums up the main work effectively and extracts several quotations that serve as a guide in how to proceed. One, in particular: "If it becomes a question, the glance generates a field." A bewildering statement but one that sums up Corboz's thinking. A glance is our way of communicating with the world. Without a glance (curiosity, love, passion), there is no connection. But if the glance becomes a question, then there is a step, a gap, because what we observe enters into us intellectually. That is to say, "the hypothesis" that transforms the glance into the action generating "a field" is formulated. The field is that of research, of its roads, of its process of legitimization (called, in the exact sciences, "verification" or, in the human sciences, "efficacy").

Corboz speaks of all of this in his essay, "Per l'interpretazione", as refined a contemporary critical theory as we'll ever read. The struggle seems to be between the subject and the object (between one who sees the work as "object in and of itself" and one who sees it as the projection of their very self). Corboz hits the mark on the question, the hypothesis, and the interpretive field of such research full of links and references attracting the otherwise shapeless mass of givens in new questions and partial responses. In this process, we put "the real under siege until it yields". Slowly, we understand, even if Corboz does not explicitly say so: the true relationship is always between subjects, between us and the others. The scientist only apparently researches the material. In reality, he is measuring up against earlier interpretations of the phenomenon, rejects and left-overs of earlier theories. Research in the human sciences (a painting, a work of architecture, a text) also collides with a second subject: the author of the work. When we design, there is a third level where we also collide with our very selves, with what we want, with our tension to become and better ourselves. Besides, according to Corboz, and not only to him, "the world is never meant to be read", but always to be "written". This is why the project is always, and in any case, the ultimate fate of the glance.

Antonino Saggio