Fili e Fibre.
di Antonino
Saggio
Commento Alla 7 Mostra
Internazionale di Architettura a Venezia Pubblicato su la rivista
"Costruire" n. 207 Settembre 2000
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Negli anni Sessanta, quando Lord Richard Rogers e il
Pritzker Renzo Piano erano giovani architetti visionari, e Massimiliano Fuksas
era uno studente estremo e ribelle, chi scrive collezionava fumetti per
preadolescenti. Nei Classici dell’audacia Mondadori vi fu per mesi una doppia
pagina che si chiamava "Il mondo di domani". Vi erano illustrate
stazioni orbitanti abitate, cupole geodetiche con atmosfera controllata,
edifici meccanici e mobili. Insomma ipotesi non lontane da quanto gli Archigram
disegnavano nella loro rivista pop che "Costruire" ha da poco
ricordato.
Ora, camminando per le corderie all’arsenale accanto al
muro luminoso e drammaticamente vivo che di questa Biennale è il simbolo, mi
domandavo: è questo il presente che quelle immagini mi promettevano? Visto dal
1964 il 2000 era lontano e sconosciuto. Ma noi nel futuro ci siamo e questa
vuole essere certamente la Biennale del futuro. Non è poco, se pensiamo a
quella del 1980 che fu invece la Biennale della memoria e del passato.
Da dove
partiamo, allora, per orizzontarci? Credo che bisogna partire dalle Corderie all’arsenale:
da quel lunghissimo edificio ruvido in mattoni scrostati su cui si alza il muro
immateriale di 258 metri per cinque.
Alle
Corderie la Serenissima fabbricava le cime che dei suoi bastimenti erano le
indispensabili strutture nervose. E quei velieri, segnando rotte sul mare,
costruivano le reti di traffici e commerci di Venezia regina.
Oggi, e
gli architetti di questa Biennale se ne sono accorti, le reti che uniscono il
mondo sono altre. Sono le telecomunicazioni, i doppini, i cavi ottici che
permettano ai dati di viaggiare alla velocità della luce. Le merci che si
muovono sono soprattutto le "informazioni" perché sono quelle che
organizzano la borsa, che spostano i capitali, che danno i turni e i processi
produttivi anche delle fabbriche o dei campi.
Ora,
quando si cammina lungo il muro animato dentro le antiche e insieme nuovissime
Corderie, non abbiamo dubbi su quali siano le reti che determinano valore oggi.
Alle pietre delle strade militari romane, alle canape intrecciate del mondo
mercantile, all'acciaio e ai nastri d'asfalto della civiltà industriale e
meccanica si sostituiscono nuovi fili e nuove fibre. Altre reti si
sovrappongano alle antiche e sono quelle che determinano le accelerazioni dell’oggi
in tutti i campi, inclusa l’architettura.
Il muro
spettacolarizza questo sentimento, ne fa oggetto e soggetto, determina l’orizzonte
per capire e sentire. La città di questo nostro futuro è globale, deve essere
cioè necessariamente insieme nei suoi drammi, nei suoi squilibri e nelle sue
vitalità.
Molte delle novanta installazioni puntualizzano questi
temi. Per esempio la ricerca di una architettura intelligentemente consona ai
paesi in via di sviluppo. Chi conosce l’africa riconosce nel bus mobile - un
autoambulanza della coscienza architettonica - una risposta possibile e allo
stesso tempo autentica; chi intuisce lo sfruttamento frenetico delle risorse
dei paesi del lontano oriente, sente il perché di una architettura erosa e
mangiata dal verde, chi studia i processi magmatici di creazione dei tessuti
spontanei si sintonizza con una possibilità di utilizzo dei medesimi processi
nei tessuti consolidati. Molti gruppi si muovono in questo territorio tra
sviluppo e sottosviluppo, tra globalizzazione e marginalità; anche in Europa,
anche nelle aree dilapidate dei ghetti delle grandi e opulente metropoli nord
americane scosse periodicamente dalle rivolte dei poveri.
Paragon Architects, sinistra. Gaetano Pesce
Vi è poi
il lavoro e la ricerca sul tema dellambiente per una architettura ecologica sì,
ma mai rassicurante perché indagata attraverso le lenti delle teorie del caos,
delle catastrofi, dei frattali, delle mutazioni. L’architettura è naturalizzata
quanto la natura è archetitturarizzata ed ecco i sensori al neon di un canneto
ondeggiante e fluttuante o gli edifici che si calano nelle viscere della terra
come sezioni stratigrafiche.
Ma naturalmente il
tema che pervade e attraversa tutta la Biennale è quella delle nuovi rete
elettroniche e informative. Se volessimo ricorrere a una formula facile diremmo
certamente che questa è una Biennale digitale e questo nostro futuro è nei
fatti molto più avanzato di quello che nel 1964 potevamo immaginare.
Ma attenzione, per orientarsi veramente
bisogna andare a fondo.
Visitare
il padiglione americano, che come spesso alla Biennale fa tendenza, dovrebbe rivelarlo:
il vero problema non è come progettare con il computer, né quali facilitazioni
tecniche e tecnologiche siano possibili, ma bensì come lavorare ad un
architettura "informatizzata". Se negli anni Novanta si è compreso
come fare un architettura che ponga "la comunicazione" al primo
posto, oppure come fare un architettura che risponda alla natura, la frontiera
di oggi è fare in modo che l’architettura stessa possa essere effettivamente interattiva. Si tratta di
utilizzare informatica ed elettronica per modificare i tradizionali aspetti di
staticità e chiusura per consentire agli edifici e agli spazi di interagire con
il cambiamento delle situazioni, dei comportamenti, degli usi. Una vecchia
utopia ma oggi, che siamo nel futuro, resa possibile dall’elettronica.
Marcos Novak, Padiglione Grecia
Quello che molti lavori di questa biennale
presentano è come questo orizzonte di interattività possa diventare anche una
grande occasione estetica; e in questa luce bisogna guardare ai lavori dei Nox,
di Diller e Scofidio, di Kas Oosterhuis, di Watanabe e anche dei giovani
italiani di Futurama e naturalmente al padre e pioniere di questa idea che è
Toyo Ito.
see
DilleR+Scofidio.mov 2 mega
Il vero problema,
come sempre, insomma è almeno doppio. Ha una componente tecnica (come
incorporare sistemi interattivi di mutazione al variare delle condizioni
esterne, degli scenari di uso, delle situazioni sin nelle fibre stesse dei
materiali degli edifici, ormai anchessi diventati "intelligenti") e
una componente estetica. Come lavorare, cioè, a unarchitettura che abbia la
"consapevolezza" di poter essere interattiva, di poter avere
strutture e spazi e situazioni, navigabili e modificabili come un ipertesto.
Navigare in questa Biennale del futuro insieme a questa idea, non è facile, ma
credo che questo terreno, sia pur duro, difficile e a volte frustrante, è
quello più fertile e quindi quello su cui puntare le proprie azioni nel futuro.
Larchitettura
nuova consentirà a ciascuno di essere attore e protagonista del proprio
ambiente? I nostri figli potranno interagire non solo con il monitor ma con
lambiente e il mondo e soprattutto con lo spazio dellarchitettura? Ripensare
con questa idea a quelle immagini che nel 1964 descrivevano questo nostro 2000
ci permette di capire che siamo per alcune cose molto più avanti di quanto
avessimo mai pensato. E per altre, invece, ancora disperatamente, assurdamente,
indietro. Più etica meno estetica, puntare insieme a tutte le sostanze, non va
dimenticato.
Antonino
Saggio
Progetto Aqua Alta 2.0/ Absorpption R&Sie.D/B:L conPerrin
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