35. Roooma
Di fronte al nuovo Museo di Bilbao di Frank Gehry c'è
un enorme barboncino fatto di vasi di fiori costantemente annaffiati attraverso
l'armatura di sostegno.
E se a Roma, appoggiato al Monumento in Piazza
Venezia, vi fosse un grandissimo gatto, alto trenta metri e anch'esso
di fiori e vegetazione. Ma perché proprio a Piazza Venezia, perché
un gatto, perché la verzura?
Cominciamo con la vegetazione. Come si sa la conversazione
e valorizzazione del verde è al primo posto a Roma. Eccetto in pochissimi
punti, tra cui il Villaggio Olimpico dove si sta edificando - ormai da
troppi ani - il nuovo auditorium, dal paesaggio della città sono
sparite le gru. Un bene, per un verso, dato che a Roma si sono perpetrati
scempi non di poco conto: l'ampliamento clerico-piemontese che ha distrutto
il circuito delle grandi ville a corona della città, la soprelevazione
di quasi tutte le costruzioni del centro, l'edificazione degli argini lungo
il Tevere contro cui anche Garibaldi lottò intuendo che il rapporto
con il fiume sarebbe stato per sempre perso. E poi, e siamo in questo secolo,
gli sventramenti umbertini e mussoliniani, come il corso Rinascimento,
l'area dell'Augusteo, il quartiere tra il Colosseo e Piazza Venezia, i
Borghi al Vaticano.
Nel secondo dopoguerra i progetti guidati dall'Ina
Casa sono state isole di intelligenza, ma attorno sono nate feroci speculazioni
edilizie come quelle di Cinecittà, del Prenestino, del Tiburtino.
Ma anche i quartieri ricchi sono diventati assurdi perché si è
costruito senza pietà su una infrastruttura viaria fatta per densità
molte volte più basse.
A partire dagli anni Sessanta la mano pubblica ha operato
con grandi "pezzi di città" da lanciare nelle periferia: Corviale,
Laurentino, Vigne Nuove.
Si voleva fare una città diversa, dotata di servizi
civili. Ma spesso si sono rivelate solo buone intenzioni, ed è faticosissimo
fare funzionare ancora oggi i complessi per l'intreccio perverso di molti
problemi (i tipi edilizi adottati, un'utenza spesso volte ai limiti dell'emarginazione
sociale, il ritardo nei collegamenti, il mantenimento di estese terre di
nessuno). La città è cresciuta con enormi porzioni illegali.
E di fronte allo stato di fatto non ci si è che potuti arrendere.
Un altro stato di fatto è stata la progressiva costruzione lungo
ampi settori del raccordo anulare. Per cui, invece di una città
aperta e sbilanciata verso l'entroterra regionale come era stato pianificato,
abbiamo un sistema baricentrico, a macchia d'olio.
Il Piano regolatore del 1962 è stato non eseguito
nelle sue linee guida.
Quel piano cercava di mettere fine al sacco speculativo
del dopoguerra proiettando la città al futuro e al passato contemporaneamente.
Si basava su due grandi scelte: l'asse attrezzato (poi Sistema Direzionale
Orientale) che si estendeva su ottocento ettari e invertebrava la città
aprendola alla regione (e alleggerendo il centro), e poi una gigantesca
clessidra formata da due ampolle che combinavano natura, paesaggio, archeologia
per decine di chilometri verso l'entroterra. Una linfa storico-ambientale
era iniettata nel cuore della città penetrando da Nord attraverso
la villa Borghese e da Sud attraverso i Fori. Ora mentre per lo Sdo c'è
ormai poco da fare, divorato come è stato dall'abusivismo e dai
tentennamenti, il sistema Sud di quel disegno (che ha preso il nome di
Parco archeologico dell'Appia) è ancora sostanzialmente integro.
Integro quale possibilità, non quale progetto
realizzato e fruibile. Una serie di decisioni devono ancora essere prese.
Innanzitutto è necessario attuare lo smantellamento
della Via dei Fori Imperiali, l'ex via dell'Impero realizzata da Mussolini
per connettere con un asse-parata il Colosseo alla Piazza Venezia. Lo smantellamento
è decisivo non tanto alla micro scala, quale specifica necessità
archeologica come i nuovi scavi del Foro di Nerva testimoniano, ma per
l'intera città e per un suo ruolo vivo in Europa.
Proviamo a immaginare un sistema storico ambientale continuo
che parta dalle pendici del Campidoglio, attraversi una riconquistata unità
dei Fori, abbracci il Colosseo e l'arco di Costantino, continui per il
Palatino e il Circo Massimo, si estenda nella grande zona verde delle Terme
di Caracalla e poi nel sistema del Parco degli Scipioni a ridosso delle
mura aureliane e, superata la magnifica porta di San Sebastiano, risucchi
le Catacombe di San Callisto e si prolunghi lungo l'antico tracciato della
via Appia antica (con le sue emergenze paesistiche e archeologiche, con
i suoi ruderi e stratificazioni) per chilometri e chilometri. Incontrerebbe
nel suo percorso anche il mausoleo delle Fosse Ardeatine a prova che anche
l'architettura contemporanea, se di qualità, potrebbe avere un posto.
Questa struttura territoriale e storica a un tempo potrebbe
vivere di giorno e di notte: passeggiate a piedi e in bicicletta, un servizio
di pulmini elettrici, manifestazioni culturali e ricreative per tutte
le età e le culture vi si potrebbero svolgere a partire da un grande
edificio di servizi su via dei Fori (vedi immagine di P. Del Grande
e M. Carta). Soprattutto il grande parco sarebbe unico. Andiamo a Bilbao
per vedere la nuova architettura, a Parigi per le sue mostre, a Roma per
la storia e per la natura. Dove un simile luogo nel globo? Roma potrebbe
rilanciarsi in grande, puntando sulla sua stessa essenza. Ma bisogna partire
con coraggio proprio dallo smantellamento della via dei Fori. Su questo
non vi possono essere compromessi soprattutto da parte di una Giunta che
ha l'ambiente al primo posto del suo programma.
Ma il Parco, nonostante la conquistata unità dei
Fori, troverebbe nel suo naturale incunearsi a Piazza Venezia e quindi
alla Piazza del Campidoglio, l'ingombrante e del tutto estranea presenza
del Monumento a Vittorio Emanuele. Certo si potrebbe demolirlo, come voleva
Bruno Zevi. Ma il fatto che la maggioranza non voglia perseguire questa
via, non vuol dire che il Monumento non possa essere riassorbito dentro
un grande disegno storico ambientale. Ecco perché, tra le tante
proposte fatte in passato, quello di investirlo di vegetazione è
la più convincente.
Se il Sud d'Italia ha un imprinting greco, quello
di un'architettura come inno al cielo e al paesaggio, e il Nord, invece,
ha nei suoi germi l'artificialità dell'accampamento militare progressivamente
trasformato in città, a Roma l'imprinting è etrusco: quello
dello scavo nelle rocce delle necropoli rupestri, della combinazione
tra natura e architettura dei tanti centri dell'Etruria che si spandono
al Nord e al sud di Roma. Roma è anche città di storia,
anzi è la città "storica" per eccellenza, come Los Angeles
è regione, Parigi è cultura, New York cosmopolitismo.
Insomma nel suo sangue, e nel paesaggio, nelle famose colline, nelle forre
che arrivano dal Nord, nel tufo, nella vegetazione, nell'accumularsi delle
costruzioni in tremila anni di storia, Roma vive un organico sposalizio
tra architettura e natura.
E non è il gatto, di questa Roma umida, naturale, mista e stratificata, di ruderi e architettura, il simbolo? C'è nel luogo comune un pezzo di verità. Indiciamo un concorso internazionale serio e fattivo per segnare l'arrivo del parco Archeologico dell'Appia tra il Campidoglio e Piazza Venezia. Il gatto d'edera potrebbe essere un'idea tra mille. I segni servono, le architetture comunicano aspirazioni profonde di una collettività.
***
Si è aperto il cantiere del Museo dell'Ara Pacis di Richard Meier. Si tratta di un vero evento perché da decenni il centro di Roma non prevedeva la realizzazione di un disegno compiutamente architettonico. Inoltre, almeno per chi ritiene che la progettazione non debba avere zone off limits, questo cantiere rappresenta una svolta positiva e un'inversione di tendenza.
Lo slogan "C'è tanto da fare nelle periferie, lascino gli architetti il centro" è stato coerente con lo strapotere di sovrintendenti, con quello dei teorici della tipologia e con chi sostiene l'esistenza di una bellezza da congelare, imbalsamare, musealizzare. Al progetto di architettura si è così spesso sostituita nel centro una prassi basata su rimedi provvisori realizzata attraverso interventi su arredo, illuminazione, vegetazione, pavimentazione, facciate ciascuno autonomo dagli altri e governato solo dalle sue settoriali esigenze.
Rivendicare "No limits al progetto" vuole dire ricordare che la complessa pratica intellettuale e tecnica che chiamiamo progetto di architettura ha invece il compito di formare un quadro coerente e significante della realtà. Può anche tralasciare, in molti casi, azioni che modifichino la materia edilizia propriamente detta per lavorare sui materiali secondi (vegetazione, illuminazione, flussi fisici e virtuali grazie alle tecnologie elettroniche e interattive di oggi), ma il suo orizzonte culturale è quello comunque di indicare una direzione complessiva. Ora si comprende perché da questo punto di vista progettare nel centro o progettare in periferia cambia solo nelle possibilità, nei materiali concettuali e fisici e nel grado di consapevolezza critica richiesto al progettista. Perché, naturalmente, una cosa è operare un paziente giovane e forte altra è lavorare su un quadro antico, stratificato e delicatissimo. Per lavorare in questi contesti bisogna possedere mano ferma, grande capacità, istinto sicuro, coraggio e visione.
Con queste premesse come non aderire a quanto il sindaco Rutelli e i suoi consiglieri hanno deciso? Scegliere, per riaprire alla progettualità il centro di Roma, un architetto di chiara fama come Meier che, reduce dalla costruzione dell'impegnativo Getty Center e vincitore del concorso per la Chiesa del 2000 nella capitale, si pone saldamente al centro degli schieramenti architettonici: cioè né sulla sponda della tradizione post-modern né in quello della decostruzione. W. Meier, allora: un'ottima scelta. E con questo potremmo finire.
Si dà il fatto però che un poco per la stanchezza dell'architetto, un poco per compromessi nell'impostazione dell'incarico quello che Meier concepisce per Roma è un progetto di media qualità. Non brutto, non offensivo, non sgradevole, intendiamoci, anzi elegante per alcuni aspetti, ma nel complesso deludente perchè tutto centrato su una poco significativa simbologia antica (il gnomone della meridiana di Augusto) senza affrontare le molto più complesse sostanze che si sono stratificate nell'area. L'errore fondamentale da parte dell'amministrazione (anche se in buona fede perché mossa da un legittimo desiderio di concretezza) è stato quello di circoscrivere l'incarico a Meier al rifacimento della teca realizzata per proteggere l'Ara Pacis nel 1938. Ma il vero problema non è tanto la creazione di un Museo più efficiente dal punto di vista climatico, dell'illuminazione e della protezione dell'altare (e che abbia strutture commerciali, una biblioteca e un piccolo auditorium), ma bensì quello della sistemazione dell'intera area. Si tratta di una delle zone più irrisolte del centro di Roma perchè vi si somma errore a errore (a partire dalla distruzione del Settecentesco Porto di Ripetta per realizzare gli argini del Tevere per finire allo sventramento attorno al Mausoleo di Augusto). Oggi Meier stesso farà parte, si dice, della giuria di un Concorso per la sistemazione dell'area di Piazza Augusto Imperatore. Bene, ci domandiamo, ma non si poteva procedere diversamente? E cioè prima pensare a un progetto che ridesse senso all'ambito urbano che va dalla Trinità dei Monti all'ex Porto di Ripetta (infatti l'eliminazione del porto ha tolto il punto terminale a una delle più ricche sequenze spaziali barocche quella "dei Condotti"). All'interno di questo nuovo senso, si poteva decidere una coerente strategia per il "dente cariato" del Mausoleo di Augusto e della piazza mussoliniana, e infine prevedere, di nuovo "entro" questo disegno, il progetto del Museo dell'Ara Pacis.
Ci rendiamo conto che immaginare un tale processo è oggi fantasticare, ma giusto è rivendicarne la necessità. In ogni caso, pur con i suoi limiti, il progetto di Meier riapre una spiraglio al progetto di architettura anche nel centro. All'opinione pubblica misurarsi, dibattere, decidere.
Antonino
Saggio
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Pubblicato originariamente su
Costruire
Editrice Abitare Segesta, Milano. Direttore Leonardo
Fioro
CRITICA DELL’ARCHITETTURA. NO LIMITS AL PROGETTO
Costruire, n. 210, Novembre 2000 (p. 30).
dello stesso autore vedi
PROGETTI PER ROMA. ANSIOSO DORMIVEGLIA
Costruire, n.162, novembre 1996 (pp. 23-24).
Link
Sulla vicenda storia dell'Ara
Pacis e sul progetto Meier
www.comune.roma.it/cultura/italiano/musei_spazi_espositivi/musei/museo_ara_pacis/
"Prospettive dell'architettura Moderna a Roma. Modelli in esposizione"
http://www.arc.uniroma1.it/saggio/Filmati/SimposioMondiale/Mondiale.html
Il progetto di Meier è stato pubblicato anche su Zodiac 17 Casabela 639
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