Antonino Saggio'sPrefaces and Introductions to the books of

It Revolution in Architecture Series
La rivoluzione Informatica


 

This writing was published as PostPreface at the book:

Luigi Prestinenza Puglisi, HyperArchitecture Spaces in the Electronic Age,
Birkhäuser 1999 e HyperArchitecture Spazi dell'edta elettronica,Testo&Immagine,
Torino 1998
 

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HyperArchitettura

Postfazione di Antonino Saggio







I.1. Fluidità al quadrato

Riprendiamo alcuni fili. Fluidità è parola chiave dell’informatica. Il singolo atomo informativo non è fissato su supporti (pietra, pergamena, papiro, tela, carta) ma è costituito da un impulso elettrico. Muta con la velocità della luce, ma soprattutto sono le relazioni che lo legano agli altri atomi che mutano istantaneamente. Il mondo informatico è infatti come una ragnatela mobile il cui elemento fondamentale sono le interconnessioni. Se la fluidità descrive, è la dinamicità che caratterizza questo mondo. Possiamo riaggregare nuclei l’uno all’altro, gerarchizzarli in una miriade di relazioni e creare dei modelli. E al variare di un atomo verificare il cambiamento dell’intero sistema oppure, cambiando il senso, l’ordine o l’intreccio delle connessioni, formare mondi diversi.

Facciamo il più semplice degli esempi. Anche se spesso non ne siamo coscienti, scriviamo in maniera diversa al computer. Il cervello si muove con più velocità, possiamo sempre migliorare e cambiare le parole, immaginiamo e metaforizziamo di più, ma quanti hanno chiaro che è proprio l’interconnessione la chiave? Gli artisti, come sempre, capiscono prima. Un romanziere d’avanguardia, per esempio, scrive buttando giù un flusso spontaneo e caotico di avvenimenti, di storie, di personaggi. Vi si abbandona come a un torrente. Sulla montagna dei dati, indicizza poi le informazioni (cioè mette una serie di parole chiave "uomo, natura, Claudia" ai fatti) e ricava, attraverso ricerche guidate dal computer, le associazioni, le strutture, le forme narrative. Nascono così varie storie da cui selezionare la più significante oggi. Il suo universo è malleabile.

Ora è chiaro che se ci occupiamo di spazialità architettonica, di che tipo di "scrittura" architettonica dobbiamo usare per capire il senso della rivoluzione informatica, la risposta non può risiedere solo nel primo livello, gli atomi e la loro capacità di mutamento, ma deve affondare proprio nella loro interconnessione dinamica. È questa relazione, questo pattern come lo definisce Fritjof Capra, il vero motore di tutta questa era, ivi compresa l’architettura. Ma come?
 

I.2. Metaforizzazione

Proiettare, mutare, simulare sono attraversate da un tema su cui riflettere ancora: quello delle figure retoriche (ossimoro, metonimia e molte altre ancora ma fermiamoci, per semplicità, solo sulla metafora). Le figure retoriche, che hanno uno sviluppo fortissimo proprio nella scrittura al computer, in fondo creano proprio un interconnessione, un modo di relazionare dati per lanciare messaggi, per convincere. La figura retorica ha un aspetto potenzialmente dinamico che altre relazioni (causa ed effetto, prima e dopo, sopra e sotto) non hanno. Se viene detto: "Sei bella come la luna" il messaggio è polidirezionato: c’è una chiave di lettura ma altre sono possibili (al variare delle culture, dei momenti, dei paesi eccetera).

I messaggi della nostra epoca elettronica sono sempre più metaforici e sempre meno assertivi. È l’enorme mole delle informazioni che impone nessi, ma nessi più liberi, più aperti. Un esempio? La pubblicità del mondo industriale è stata assertiva. Questo sapone lava più bianco, questo jeans è più resistente. Sappiamo che la pubblicità oggi manda dei messaggi tutti traslati tutti metaforici. Induce, sostanzialmente attraverso l’uso delle figure retoriche, a una associazione tra una serie di elementi e il prodotto. Spesso senza neanche farlo vedere, il prodotto, e spesso senza neanche descriverlo. Si compra prima la narrazione, l’utopia di vita, che il prodotto promette, poi la sua forma e si dà assolutamente per scontato che esso funzioni. Il contenitore stravince sul contenuto.

Ma questo processo di metaforizzazione, indotto da un sentire che supera i meccanicismi industriali per aprirsi ad una sfera più libera, e polidirezionata di messaggi, questo processo basato sulle interconnessioni dinamiche della metafora, investe tutto ai nostri giorni. Basti vedere il design e la stessa sfera per altro più resistente ai cambiamenti dell’architettura.

Un edificio non è più buono solo se funziona, è solido, spazialmente ricco, vivibile eccetera ma perché rimanda ad altro da sé. Libeskind fa una Z drammatica per raccontare il dramma dell’olocausto, Eisenman un ballo di zolle telluriche per la sua chiesa, Gehry un fiore di loto nel suo auditorium, Domenig crepacci che si scontrano nella sua casa. Sappiamo che il processo di metaforizzazione investe buona parte dell’architettura di oggi e che il suo campo fondamentale è una nuova interiorizzazione del paesaggio e del rapporto tra uomo e natura. Questo è acquisito, o quasi. Per andare ancora avanti e battere il terreno dove è ancora duro dobbiamo tornare all’elettronica e soprattutto al suo centro: le interconnessioni.
 

I.3. A Bill

Dopo l’invenzione del personal computer, siamo attorno al 1977, la prima rivoluzione dell’informatica è avvenuta nel 1984 quando fu diffuso un sistema operativo (cioè il modo in cui l’utente utilizza il computer) rivoluzionario. La base fu, naturalmente, la metaforizzazione.

Non più codici astrusi che apparivano su uno schermo inanimato, ma oggetti su uno schermo ? scrivania. Per aprire o duplicare un documento lo si indicava con un puntatore e vi si cliccava, per copiarlo lo si trascinava in un altra localizzazione, per cambiargli nome, semplicemente si riscriveva sulla sua piccola icona, per buttarlo lo si metteva in un cestino. Questo modo di procedere per metafora, metafora del mondo reale applicata all’elettronica, fu assimilata anche dai programmi. Per disegnare c’era una tavolozza di strumenti, per scrivere un rullo simile a una macchina da scrivere, per disegnare un tecnigrafo. Questo primo livello di metaforizzazione fu fondamentale perché introdusse milioni di persone al computer e fu talmente importante che divenne uno standard su più piattaforme.

Ma la seconda invenzione fu ancora più importante e fu così innovativa che solo oggi si comincia effettivamente a capirne la portata. Eravamo nel 1987 e un genio, William Atkinson, dopo aver contribuito sostanzialmente alla costruzione della metafora della scrivania, sviluppò una nuova idea. Perché non dare all’utente non solo una metafora preconfezionata, ma la possibilità di creare egli stesso delle metafore? Perché non lavorare, cioè, a uno strumento "creatore" di metafore?

Bill creò così Hypercard, che è appunto un ambiente informatico creatore di metafore. L’utente butta giù informazioni sotto qualunque forma (disegni, scritti, numeri, tabelle, sequenze animate, oggetti tridimensionali e quant’altro) e al contempo, o dopo, fa due cose fondamentali: crea le connessioni e organizza un ambiente metaforico.
 

17a. Vasily Kandinsky, Composition n. 8, 1923

Il più banale di questi ambienti è la card (la scheda) dove sono contenute le informazioni e dove cliccando su ciascuna si può procedere nella rete delle relazioni, ma accanto alla scheda vi possono essere milioni di altri ambienti metaforici. La produzione di un artista è nel suo studio virtuale, su una lavagna si svolge una lezione virtuale, si fa lo shopping a casa in un negozio vero e soprattutto si possono sognare e costruire mondi che non esistono.

Questo è il breve ciò che si chiama Hypertesto. La base è l’interconnessione tra gli atomi informativi e la creazione di un ambiente metaforico in cui le interconnessioni hanno luogo. La conseguenza è che l’utilizzatore ha dei tragitti non obbligati, non sequenziali. Può seguire percorsi già prefissati o trovarne suoi nuovi. In qualche modo, è come se il romanziere di prima desse la sua struttura significativa ai dati e allo stesso tempo lasciasse aperta al lettore la possibilità di creare una sua.

Ormai questo sistema è dappertutto perché mentre nel 1987 si era relegati a un singolo computer oggi Internet è una ragnatela planetaria che lega tra loro tanti mondi informativi.
 

I.4. Pittore dell’Hypertesto

Torniamo all’architettura e domandiamoci: possiamo lavorare anche in architettura a questo secondo livello? Possiamo lavorare a una architettura che sia non solo metaforica, ma anche "creatrice di metafore", che lasci aperta, libera, strutturata/non strutturata la propria decodificazione e che suggerisca e lanci all’utente la possibilità di fare "la propria storia"?

Insomma il fine vero non è solo la metaforizzazione di primo livello, ma quello di secondo. Riuscire non solo a immaginare un’architettura fluida, metaforica, aperta, che giochi sulla pelle come nuovi immateriali sensori, che inglobi e faccia tesoro di una multimedialità che si spinge nei sistemi di controllo e in quelli informativi ma che sia soprattutto capace di generare e far generare altre metafore, che sono quelle della vita, e del suo svolgersi in questa nuova dimensione: tutto il passato e tutto il futuro.

Possiamo lavorare attorno a quest’idea ambiziosa e difficilissima come frontiera del nostro impegno? Infine: esiste una parola più adatta di HyperArchitettura per descrivere questa sfida?

Cosa ci può aiutare? Può essere mai che questo sentire, questo bisogno in un secolo così ricco di eventi, di personalità, di geni, non sia stato già almeno intuito?

Nell’architettura di quest’ultimo decennio si sono fatte alcune scoperte importantissime guardando all’arte figurativa.

L’ultimo Gehry deve moltissimo a Boccioni e al suo concetto di traiettoria, a quello sforzo di superare la plastica dell’oggetto isolato per una vibrazione atmosferica. Peter Eisenman ha mutuato più di una tecnica dalla vibrazione di Duchamp e di Balla. Il dripping di Pollock è sfiorato in alcune ricerche sulle nuove forme del paesaggio e della costruzione della natura, ma chi ha veramente intuito la spazialità insita in un Kandinsky?

Atomi e mondi geometrici sono inseriti nei suoi quadri in una ameba liquida, ma queste figure si interconnettono con linee, con sovrapposizioni, con interconnessioni. L’insieme emana energia e sembra come un Hypertesto perché può continuamente muoversi, ha una struttura fotografata in un attimo ma il suo valore non è l’attimo statico di un Mondrian, ma la possibilità di divenire, di essere libero e aperto.

Certo sappiamo che senza la rottura della scatola e l’orientalismo impressionista non c’è Wright, che lo spazio di Braque prelude al Bauhaus, che il vigore del gesto e della deformazione espressionista si apparenta a Mendelsohn e a Scharoun, che i piani neoplastici trasmigrano quasi direttamente in Rietveld e Mies. Sappiamo che gli artisti hanno una spazialità che trasmigra in architettura.

Ma la spazialità fluida, liquida, sottomarina, metaforica, simbolica e interconnessa di Kandinsky (e di Mirò e di Klee) è, senza l’informatica, impossibile da concettualizzare in architettura. Ma con l’informatica essa diventa almeno nebulosamente intuibile.

Questo è forse quello che cercheremo di fare con questa strana parola: Hyperarchitettura.

Antonino.Saggio@uniroma1.it


Hyper-Architecture
 
 

Afterward by Antonino Saggio







1.1. Fluidity Squared

Let us again reconsider several lines of thought. "Fluidity" is the key word in information technology. The single unit of information is not set on a support (stone, parchment, papyrus, canvas, paper) but is made up of an electric impulse. It changes at the speed of light, but it is above all the relationship connecting it to other atoms which changes instantaneously. The world of information technology is, in fact, like a mobile web, in which the fundamental elements are the inter-connections. If this fluidity describes it, then it is the dynamic quality which characterizes this world. We can regroup units, one with the other, put them into a hierarchy of innumerable relationships and create models. And, with the variations of an atom, verify change in the entire system or, changing the sense, the order or interfacing of the connections, forming different worlds.

Let’s take the simplest of examples. Even if often we are not aware of it, we write differently on the computer. The brain moves faster, we can always improve and change the words, imagine more and create more metaphors, but how many clearly understand that it is precisely the interconnection which is the key? As always, it is artists who understand first. An avant-garde novelist, for example, writes by putting down a spontaneous and chaotic flow of events, stories and characters. He abandons himself like a torrent. On a mountain of data, he then records information (that is he adds a series of key words, "man, nature, Claudia" to the facts) and, by way of computer-guided research, builds associations, structures and narrative forms.

Thus various stories are born, from which can now be chosen the most significant. His universe is malleable.

Now, it is clear that if we are dealing with architectural spatiality, where we must use a type of architectural "writing" to understand the meaning of the information technology revolution, the answer cannot reside only in the primary level, the atoms and their capacity for change, but must go deeper, right into their dynamic interconnection. It is this relationship, this pattern, as defined by Fritjof Capra, that is the real engine of this era, including architecture. But how?
 
 

1.2. Metaphorization

Project, mutate, simulate; these are words run through by a subject which once again should be reflected upon: that of rhetorical figures of speech (oxymoron, metonymy and many others still, but let us stop, for simplicity, at metaphor). Rhetorical figures of speech, which develop powerfully specifically when writing on the computer, basically create actual interconnections, a method of relating various data in order to send messages and convince. The rhetorical figure of speech has a potentially dynamic aspect which other relations (cause-effect, first-last, above-below) do not have. If one says, "You are beautiful like the moon," the message is multi-directional: there is a key to reading it but others are possible (with variations in culture, moments, countries, etc.).

The messages of our electronic age are ever more metaphorical and ever less assertive. It is the enormous mass of information which imposes links, though freer, more open links. An example? Advertising in the industrial world used to be assertive. This soap washes whiter; these jeans are more resistant. We know that advertising today sends out messages which are all figurative, all metaphorical. It induces, substantially through the use of rhetorical figures of speech, an association between a series of elements and the product; frequently without even showing the product and often without even describing it. The narration is bought first, the living utopia that the product promises, then its form, and it is absolutely taken for granted that this works. The container wins completely over the content.

But this process of metaphorization, induced by a sense which goes beyond industrial mechanisms to open up a freer and more multi-directional sphere of messages, this process based on the dynamic interconnections of the metaphor, permeates everything in our era. It is sufficient to look at the design and the sphere of architecture, itself more resistant to change.

A building is no longer good only if it works, is solid, spatially rich, livable, etc., but also because it recalls something other than itself. Libeskind traces a dramatic "Z" to tell the drama of the Holocaust; Eisenman, a dance of tellurian plates; Gehry, a lotus flower in his auditorium; Domenig cracks and fissures which collide with one another in his house. We know that the process of metaphorization permeates a large part of the architecture of today and that its fundamental field is a new interiorization of the landscape and the relationship between man and nature. This has been learnt, or almost. In order to go further into still tough terrain, we must return to electronics and especially its center: interconnections.
 
 

1.3. To Bill

After the invention of the personal computer (we are speaking of around 1977), the first revolution in information technology occurred in 1984 with the wide-scale distribution of a revolutionary new operating system (in other words, the method utilized by the user to operate the computer). The basis was, naturally, metaphorization.

No longer were there abstruse codes which appeared on an inanimate screen, but objects on a desktop-screen. To open or duplicate a document, one highlighted it with a cursor and clicked on it; to copy it, it was dragged it to another location; to change its name, one simply rewrote it on its small icon; to throw it away, it was dumped into the trash. This method of proceeding by metaphor, a metaphor taken from the real world and applied to electronics, was also incorporated into the programs. There was a large table of instruments for design; to write, a scroll similar to a typewriter; to design, a universal drafting device. This first level of metaphorization was fundamental; since it introduced millions of people to using the computer, it was important that it become a standard on more platforms.

However, the second invention was even more important and so innovative that only today is its significance being effectively understood. It was in 1987 and a genius, William Atkinson, after having made a substantial contribution to the construction of the metaphor of the desk, developed another new idea. Why not give the user not only a pre-packaged metaphor, but the possibility of creating metaphors himself? Why not work, in other words, with a metaphor "creating" tool?

So Bill created Hypercard, which is just that; a computer environment which creates metaphors. The user puts down information under any form (designs, writing, numbers, tables, animated sequences, three-dimensional objects and many others) and either at the same time, or later, performs two fundamental actions: creates the connections and organizes a metaphorical environment.

The most banal of these environments is the card, where the information is contained and where, clicking on each, the user can proceed in the network of relations; but along with the card, there can be millions of other metaphorical environments. The production of an artist is in his virtual studio, a virtual lesson is held on a blackboard, shopping is done at home in a real store, but more importantly the user can dream and build worlds which do not exist.

In brief, this is what is called Hypertext. The basis is the interconnection between the units of information and the creation of a metaphorical environment in which these interconnections are located. The end result is that the user has methods which are non-compulsory, non-sequential. He can follow courses already preset or find his own new one. In some way, it is as if the novelist mentioned earlier gave the data his structure of meaning and at the same time left the possibility open for the reader to create his own.

By now, this system is everywhere, since, while in 1987 it was only relegated to the single computer, internet today is a planetary web which connects many worlds of information to each other.
 
 

1.4. Hypertext Painter

Let us return to architecture and ask ourselves: can we also work in architecture on this second level? Can we work on an architecture which is not only metaphorical, but also a "creator of metaphors", which leaves its own decodification open, free, structured/non-structured and suggests and offers to the user the possibility of constructing "his own story"?

To put it briefly, the true end is not only the metaphorization of the first level, but that of the second. To manage not only to imagine an architecture which is fluid, metaphorical and open, which plays on the skin like new, immaterial sensors, which completely assimilates and values a multimediality which moves into systems of control and information, but which is above all capable of generating other metaphors and causing others to be generated, those of life and its advancement into this new dimension: the entire past and the entire future.

Can we work on this ambitious and very difficult concept as the frontier of our task? Finally, does a more adequate word exist than Hyper-Architecture to describe this challenge? What can help us? Can it really be that this sense, this need, in a century so rich in events, personalities and geniuses, has not already been at least guessed at?

In the architecture of this last decade, several very important discoveries have been made regarding the figurative arts.

Gehry in his last period owes quite a lot to Boccioni and his concept of trajectory, to that force of going beyond the plastic quality of the isolated object toward an atmospheric vibration. Peter Eisenman has adopted more than one technique from the vibration of Duchamp and Balla. The dripping technique of Pollock is touched upon in various types of research into new forms of landscape and the construction of nature, but who has really understood the spatiality inherent in Kandinsky.

Atoms and geometric worlds are inserted into his paintings in a liquid ameba, but these figures interconnect with lines, superimpositions, interconnections. The overall whole emanates energy and seems like a Hypertext because it can continuously move itself; it has a structure photographed in a brief moment, but its value is not the static moment of Mondrian, but rather in the possibility of evolving, being free and open.

Certainly, we know that without impressionist orientalism and the breaking of the square box, there would be no Wright, that the space of Braque foreshadowed the Bauhaus, that the energy of movement and expressionis deformation were related to Mendelsohn and Scharoun, that neo-plastic designs transmigrated almost directly into Rietveld and Mies. We know that artists have a spatiality which transmigrates into architecture.

But the fluid, liquid, submarine, metaphorical, symbolic and interconnected spatiality of Kandinsky (and Mirò and Klee) is, without information technology, impossible to conceptualize in architecture. With information technology, on the other hand, this become almost vaguely intuitable.

This is perhaps what we are attempting to do with this strange word: Hyper-Architecture.

Antonino.Saggio@uniroma1.it
 




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