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I Ciclo: L'impatto dell'informatica nella città e nella ricerca architettonica contemporanea. Il World Wide Web
Quarta Lezione:
Informazione e architettura
AGGIUNGI NUOVI CONCETTI DA SOLOMON corea
per esempio
non ci spono più boundries
le compagnie vendono con NOI invece eche a noi
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Saggio
da marzi 05
Rivoluzione Informatica in ArchitetturaEsisto in quanto rappresento
Esisto in quanto funziono
Esisto in quanto InformoIl problema della " Coscienza " estetica
Il Problema della Crisi e della Modernità
A. Il concetto Marsupiale dell'Informazione
Segui questo Intervento di A.S. (real Time 2 mega)
B. Architettura come Informazione
C. Concetti derivati dalla Pubblicità
D. Il concetto di Modernità
E. La sfida per l'architettura
Figure Retoriche
Comunicazione Oggettiva
Comunicazione Soggettiva narrativa
diller e Scofidio Bad press
see >
Kiasma Holl
To DO:
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Approfondimenti
a cura degli Studenti.
Mattone come un'ape operaia?
Giustino Di Cunzolo 2006 <giustinodicunzolo@libero.it>, http://digilander.libero.it/giu_arch6/concept.html
Perchè esiste il "mattone"?
Se oggi dovessimo interpellare un'architettura chiedendo il perchè della sua esistenza, essa darebbe per scontato il fatto che "rappresenta" così come "funziona", e risponderebbe senza dubbio che è "hic et nunc" per comunicare.
Allora penso alla sua minima parte, il "mattone": perchè esiste?
Di getto la risposta sarebbe "esiste in quanto rappresenta" l'elemento infinitesimo sul quale si fonda la costruzione di un edificio; ma non essendo questa la massima aspirazione del "mattone", correggerebbe l'affermazione facendo valere il fatto che "funziona", ovvero che opera una mansione per cui l'architettura ne acquista in efficienza.
Questo ancora non basta, poichè il "mattone" è solo uno degli innumerevoli "mattoni", tutti uguali, che compongono un edificio.
La soluzione è che anch'esso dovrebbe informare; ma come può un prodotto industriale uscire da un processo così serializzato ed alienante per calarsi nella dimensione del simbolo?
Ebbene il singolo "elemento_mattone" comunica in quanto, preso posizione all'interno di un "disegno divino", assurge al suo ruolo: permettere ad una "nuova Architettura" di proferire parola. Il "mattone" è, dunque, la corda vocale che da suono alla voce di un'Architettura altrimenti muta su di un foglio di carta; il "mattone" esiste in quanto parte di un destino.
Questa proprietà intrinseca, riportata a qualsiasi altro minimo elemento, anche il più apparentemente insignificante, presente in un determinato luogo, può rendere questo elemento fondamento necessario per la costruzione di una "nuova cattedrale culturale" che celebri l'unione di una "comunità laica".
Questo processo escluderebbe a priori la pur minima possibilità di scadere in un mero esercizio stilistico_formale.
Senza l'ambizione di quel "mattone" (inteso come materia_tecnologia), oggi le Architetture dei vari Libeskind, Utzon, Gehry, Kahn, non potrebbero esistere, se non nella dimensione mitologica della mente e nella sua estenzione digitale: il virtuale.
A proposito di Kiasma_chiasma (o chiasmo)
Per quel che riguarda il discorso avviato in aula sul Kiasma Holl_chiasma ottico ho svolto un piccolo approfondimento che porto alla sua attenzione.
La parola "chiasma" scevra di qualsivoglia contestualizzazione vuol semplicemente dire "incrocio". Calata in campo anatomico, e più specificatamente nei meccanismi ottico_nervosi, il chiasma ottico è la formazione posta tra i due emisferi cerebrali alla base del cervello, sotto il corpo calloso e davanti al tuber cinereum. Ha l'aspetto di una piccola lamina grossolanamente rettangolare, costituita da sostanza bianca, ed è il punto di incrocio dei nervi ottici che si continuano nelle benderelle ottiche (ho riportato in allegato delle immagini). Il campo visivo è la proiezione ottica della rappresentazione visiva del mondo esterno sulla retina. Come si vede dallo schema allegato, l'uomo presenta una visione binoculare molto ampia, cosa che gli consente di aver consapevolezza della distanza relativa degli oggetti; i due campi visivi laterali possono essere visti soltanto dall'occhio dello stesso lato. Un punto che si trovi per esempio in B, quindi nel campo visivo a sinistra dell'osservatore, verrà proiettato, nell'occhio destro sulla parte temporale della retina, mentre sull'occhio sinistro verrà proiettato sulla parte nasale. Il punto posto in A viene visto invece solo con la parte nasale della retina dell'occhio sinistro. Dal momento che le fibre nervose provenienti dalla parte nasale della retina si incrociano a livello del chiasma ottico (si parla di parziale decussazione), il tratto ottico sinistro contiene una rappresentazione completa di metà del campo visivo destro e il tratto ottico destro una rappresentazione completa di metà del campo visivo sinistro.
Detto ciò, ritornando all'opera di Steven Holl, penso che guardando l'ingresso principale, nella foto da lei posta nella lezione di ieri e che allego per completezza, si ha questa sensazione percettiva di scissione di due parti apparentemente diverse, una nella zona monoculare destra ed un'altra nella zona monoculare sinistra. Ma proseguendo con lo sguardo la visione del volume, si intuisce come le due parti, a parità dei nervi ottici, effettuino una decussazione parziale o meno in una sorta di chiasma.
Ora sorge il dubbio: ovvero è giusto paragonarlo ad un chiasma ottico?
Anche perchè scavando, la parola assume varie sfumature in base ai contesti in cui è calata: ovvero la planimetria o la pianta dell'edificio potrebbero suggerire il chiasma nel DNA (la figura intrecciata costituita dai quattro cromatidi che durante la meiosi cellulare, dopo essersi accoppiati in una tetrade, scambiano tra di loro dei segmenti appaiati); o, ancora, i volumi potrebbero significare la figura retorica chiasma (o chiasmo) per cui due termini concettualmente e grammaticalmente paralleli sono disposti in ordine inverso, come si intuisce sempre dalle due contrapposte volumetrie.
Scusi la prolissità ma mi sembrava necessario effettuare queste varie ipotesi.
Distinti saluti, Giustino Di Cunzolo
A dice "usami", B dice "guardami"!
Agnese Canziani 2006 <agnesecanziani_55@hotmail.com>
Potendo dare un'interpretazione differente ai "dati" del suo articolo, riassumerei brevemente la mia posizione in questo modo:
il primo dato A è il Guggenheim di Bilbao e l' altro è il Museo della Scienza di Piano. Il Museo di Gehry è di sicuro diventato "il simbolo" o uno dei simboli di Bilbao e forse della nazione intera, l' altro è un edificio simbolo della funzione che si svolge all'interno ed interpretazione figurativa del paesaggio circostante. L'edificio di Renzo Pianzo mi sembra più vicino all'architettura di Saarinen mentre Gehry si può benissimo paragonare alla Sidney Opera House. Da una parte il "simbolismo" nell'architettura, attraverso una comunicazione veloce immediata e figurativa delle funzioni dell'architettura stessa - mi vengono in mente i chioschetti che vendono il "bratwurst" in Germania che attirano l'attenzione con il gigantesco wurstel in 3d posizionato sul tetto; dall'altra l'architettura rappresentativa e metaforica che diventa monumento. A questo si affiancano due tipi di comunicazione: per il tema A una comunicazione più oggettiva e pubblicitaria (l'edificio di Saarinen a forma di uccello è un un Terminal aereoportuale) per il tema B una comunicazione astratta, probabilmente soggettiva ma tutto sommato tale da rendere il messaggio universale, tanto solenne e rappresentativa quanto la casa del Fascio di Terragni, il Museo di Libeskind, o il Denkmal per l'olocausto di Eisenman a Berlino.
La differenza che mi interessa studiare fra i due tipi di architettura è l'influenza che esercitano sullo spazio circostante:
" [...]E la gente vive tutto lo spazio pubblico, ci va di giorno e di notte, genitori con bambini, turisti, vecchi operai con il basco e teenager con i pattini. Insomma la sua architettura forma e conforma l'ambiente come la cattedrale gotica che intesseva attività e formava con le sue diverse strutture la piazza principale, quella adiacente del mercato, gli edifici, le zone per le manifestazioni e gli eventi "
probabilmente è ciò che rende il Guggenheim simbolo della città in quanto vissuto, utilzzato dai suoi abitanti; come Piano con il Beaubourg a Parigi, Gehry ha fatto di uno "spazio" un "luogo" ed è questo a mio avviso il fine ultimo dell'architettura, essere sì un polo, un miglioramento estetico-funzionale-formale di una città ma essere soprattutto utilizzato e vissuto in maniera soggettiva, "l'individuo" rende un'esercizio di stile e di presunzione in opera architettonica...aneddoto: a Berlino con grande sorpresa ho scoperto che la Neue Nationale Galerie di Mies van der Rohe non piace, ma con altrettanta sorpresa quando sono andata a visitarla, lo spazio esterno veniva utilizzato da skaters e da un gruppo di ragazzi per una performance di danza! In questo senso credo Il Guggenheim di Gehry assomigli di più al Beaubourg che al museo-nave di Piano entrambi comunicano al pubblico nello stesso modo, o per meglio dire si offrono ad interpretazioni soggettive...A dice "usami", B dice "guardami"!
I muri della Villa Savoye condizionano lo sguardo: i percorsi del museo ebraico di Libeskind condizionano le percezioni
On 24-03-2006 12:39, "Alessandra Cao" <amitielrm@gmail.com> wrote:
Trovo, d'accordo con lei, che il segreto del successo delle recenti architetture-simbolo, nate sul percorso che va da Utzon a Gehry, risieda nella loro capacità di dialogare con la società contemporanea a livello specificatamente informativo-comunicativo. Nell'era della "connessione globale", queste architetture ci appaiono più all'avanguardia di altre, poichè sfruttano il mezzo dell'informazione e della comunicazione per interagire con la società di massa.
Le architetture-simbolo esaltano l'aspetto dinamico dell'architettura moderna: interagiscono con l'individuo in una dimensione sociale, economica, globale, che va al di là del contesto locale. Come i muri della Villa Savoye condizionano lo sguardo e i percorsi del museo ebraico di Libeskind condizionano le percezioni , il Guggenheim di Gehry vuole condizionare, portare a reazione, un'intera collettività. Diversamente dinamiche, perchè condizionate e non condizionanti, sono anche le facciate degli edifici di Jean Nouvel e le piazze interattive proposte dagli architetti emergenti.
L'architettura che parla per simboli va oltre il linguaggio consolidato, "sfonda lo schermo" e risponde in maniera più ampia alle esigenze della nostra società, globale e globalizzata.
Il problema a mio parere è che quest'architettura, fatta di forme indipendenti, non crea una vera e propria famiglia di riferimento, come è stato invece nel caso del Bauhaus o delle cattedrali romaniche. Replicare oltre un certo limite il "fenomeno Bilbao" - ambito ora da molte città - non è possibile,significherebbe sminuirne l'efficacia .
Certo è che l'architettura contemporanea non può più prescindere dalle procedure di progetto adoperate da Gehry. Forse è troppo presto per dire quali risposte formali deriveranno dall'interpretazione di queste procedure. La società di massa cambia, anche nei suoi gusti, e l'architettura si adegua. Cito a questo punto un articolo che mi ha offerto un ulteriore spunto di riflessione "Oggi la più convincente interpretazione del nuovo scenario è quella che interpreta quest’ultimo come civiltà di minoranze, ovvero come un organismo tendenzialmente informe, dove il tessuto sociale è sempre più costituito da gruppi disomogenei che si ricompattano nei riti della mobilità e del consumo. In questo scenario, l'architettura dovrebbe esprimere senza ostentazioni un desiderio diffuso di coabitazione tra le diverse componenti del tessuto sociale, dovrebbe in definitiva avere la consapevolezza dei propri limiti figurativi, diluendo la propria potenzialità espressiva in invasi spaziali tendenzialmente neutri e disponibili."
Lo stesso Rem Koolhaas, le cui architetture sono tra i migliori esempi del contemporaneo "espressionismo" formale, parla di una tensione contemporanea verso un'architettura "generica", che riscopre i propri limiti figurativi.
Credo che nel campo internazionale l'architettura giapponese stia seguendo un percorso a cui prestare attenzione, poichè sembra conciliare il linguaggio figurativo-simbolico, con quello neutrale,astratto, conclamato dalla citazione precedente. L'architettura giapponese è un'architettura di sfondo, in cui non mancano figure e icone , ma quest'ultime sono sempre assoggettate alla configurazione di una atmosfera generale. Le figure giapponesi non hanno sempre valore simbolico ed esplicita volontà comunicativa; vanno invece considerate come degli "attrattori che conducono in un'ambientazione architettonica" e che, in definitiva, ci informano implicitamente di qualcosa. Al di là quindi delle caratteristiche propriamente giapponesi che limitano la possibilità di esportazione di quest'architettura, essa potrebbe rappresentare una sottile e importante alternativa all'architettura più propriamente simbolica.
Alessandra Cao
Domanda che fa?
Foto di AS Agosto 2005
La Storia Austrailiana
On 21-03-2005 16:10, "Francesco Becherucci" <malpathika@katamail.com> wrote:
Seguendo il programma "La storia siamo noi", produzione Rai educational,
direttore Giovanni Minoli, in onda questa mattina su Rai3, ho potuto verificare,
in maniera assolutamente casuale, come ci possa essere un ulteriore fattore
che portò Utzon alla costruzione della Sidney Opera House. Un fattore
propriamente storico- politico, che forse si allaccia all'ultimo fattore
da lei indicato, quello in cui si vedeva Utzon come architetto "interessato
all'uomo nelle sue diverse manifestazioni sociali".
Nel programma suddetto, si fa rifermento all situazione dell'Australia
all'inizio della seconda guerra mondiale e al luogo comune molto in voga
nell'Europa occidentale, che vede i soldati australiani e neozelandesi
come tra i più duri combattenti mai visti sui campi di battaglia.
Scoperta all'inizio del 17° secolo, l'Australia divenne colonia
britannica due secoli dopo e fu usata dalla madrepatria, in principio,
come colonia di deportazione penale. Nel corso degli anni si crearono i
primi insediamenti di coloni liberi, per lo più coltivatori (settlers)
o allevatori (squatters). Il vero boom di immigrazione ci fu solo con la
scoperta dei giacimenti auriferi, avvenuta nel 1851. La Federazione Australiana
nacque nei primi anni del 20° secolo, come difesa dal pericoloso espansionismo
tedesco nel sud del Pacifico, ma forte rimase il legame con la Gran Bretagna.
La prima guerra mondiale vide infatti l'Australia al fianco della Gran
Bretagna, ma l'occupazione delle isole Caroline, Marianne e Marshall da
parte del Giappone la avvicinò agli Stati Uniti.
Il definiivo declino del legame con la Gran Bretagna nasce dalla occupazione
giapponese dell'Indonesia, nel 1942. Lo stesso Churchill vide in maniera
preoccupata questa avanzata nipponica. In effetti, solo 4 giorni dopo i
giapponesi bombardarono le coste australiane, provocando numerose vittime
e parecchi danni alla flotta navale.
Gli australiani, sentitisi abbandonati dalla Gran Bretagna, pensarono
subito di allearsi con gli Stati Uniti che immediatamente mandarono
truppe a difesa dell'Australia, che in cambiò mise a disposizione
i suoi corpi speciali a fianco degli statunitensi nelle avanzate in Europa.
Questa alleanza, che sancì il termine dei legami, oramai solo
di discendenza, con la Gran Bretagna, vide l'Australia di fronte alla possibilità
di potersi ergere, finalmente, come stato indipendente a tutti gli effetti.
Il luogo comune, poi, di considerare i soldati australiani e neozelandesi
come tra i più duri combattenti tra quelli che presero parte alla
seconda guerra mondiale, fece crescere ancor più il desiderio di
sentirsi parte di una collettività finalmente indipendente e pronta
ad affrontare la vita politica ed economica mondiale con assolutà
libertà d'azione.
Ecco quindi, forse, un altro motivo per cui Utzon, partendo dal desiderio
di definitivo taglio del "cordone ombelicale" che legava la popolazione
australiana alla Gran Bretagna, decise di fare della Sidney Opera House
un simbolo in cui, come lei dice, " Vi si riconosco gli abitanti, i visitatori,
la città, il continente. (...) È un monumento di una collettività
che guarda al resto del mondo e che al domani si proietta con slancio."
Antonino di Raimo 04
http://digilander.libero.it/antoninodgl/COMMENTI/commentosimboli.html
....I nuovi paesaggi dunque, dove questi individui passano le proprie vite, appaiono sempre di più popolati da oggetti architettonici di cui oltre a sottolinearne la novità, impressiona sempre di più la carica simbolica e quindi comunicativa.
Il simbolo, infatti, svincolato dalle costrizioni di un vertice unico e assoluto, si carica di volta in volta delle idee più disparate e opportune. Appunto libera opportunità di esprimere, pare la "nuova sostanza" su cui il simbolo vive. ...
Città narrante
da Michele Lisena 03
Vorrei fare, in merito alla terza lezione su "Informazione e Architettura", una breve considerazione. Stando a quanto da lei detto "essere macchina funzionante è il valore fondamentale dell'architettura moderna". Credo che, nell'architettura moderna, fondamentale sia anche giustapporre "L' Architettura macchina" all'interno della "Città macchina". La "Città macchina", come "L'architettura macchina", deve funzionare. Le parti della stessa devono oggettivamente essere un "totale"di parti collaboranti. L'architettura contemporanea invece "informa", "comunica", "esprime", "narra" ed è, a mio avviso, in qualche modo soggettiva. All'interno della città "narrante" l'architettura è, credo, parte "comunicante" e non "collaborante". Da ciò ritengo che scaturisca una città "somma" di parti e non "totale" di parti che esige una contestualizzazione dell'architettura non più oggettiva ma soggettiva.
"La torre dei servizi": oggetto di architettura o prodotto
informatico?
Alessia Veneziani 03
Tralasciando le disquisizioni filosofiche su tale rapporto
complesso per rimanere nel campo della comunicazione per immagini, più
squisitamente attuale, mi è sembrato simpatico condividere questa
immagine. Sfogliando una rivista di architettura ho girato distrattamente
la pagina perché sembrava una semplice pubblicità, con ogni
probabilità, di tecniche edilizie, applicazioni per costruzioni
civili in cemento armato, solo successivamente ho capito trattarsi di un
oggetto più propriamente informatico. EMC2 Centriplex, server a
tecnologia Raid
(Frogdesign, Progetti e prodotti, in Domus 782, maggio
96)
"Un'arca solitaria in un paesaggio postindustriale a ricordo di un salvataggio biblico che traghettò l'arca in un mondo nuovo"
E' un'evocazione dovuta alla forma organico astratta
di questo showroom-deposito per legno; un progetto un po' datato di Baumschlager&Eberl
che si pone, un po' come il museo del mare di Piano ad Amsterdam, in un
periodo di trasizione tra ciò che è meramente funzionale
e la forma rappresentativa di un luogo o di una comunità. Esso presenta
un sistema organizzativo più vicino ad un' edilizia industriale
che a una forma libera, funzionale allo scopo cui è preposta ma
già elabora delle soluzioni, anche se ancora solo epidermiche,
di "pubblicizzazione" di se stessa; mostra nelle rifiniture esterne quella
precisione del lavoro artigianale, allusione alle tecniche manuali locali,
che si offre come servizio in questo edificio, fungendo così come
qualcosa di più di un particolare puramente decorativo.
PARLARE ATTRAVERSO METAFORE
LA FORMA DELL'ARCHITETTURA NON DEVE ESSERE UNO SPAZIO, MA TRASMETTERE UN MESSAGGIO, NON RAPPRESENTA UNA FUNZIONE, MA NE SINTETIZZA IL SIGNIFICATO IN UNA METAFORA
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da
On 23-03-2003 22:51, "luca biagini" <lucabgn@virgilio.it> wrote:
ISSEY MIYAKE:
LA FORMA DI UN ' IDEA
(INTERNI n. 508 ? gennaio febbraio 2001)
punto di vendita ?atelier-laboratorio
design by: Ronan & Erwan Bouroullec
IL CLIENTE PARTECIPA ALLA CREAZIONE DI UN ABITO A SUA MISURA
E' LA METAFORA DEL SISTEMA INVENTATO DA MIYAKE PER RINNOVARE RADICALMENTE
IL MODO DI FARE ABITI
L'AMBIENTE E' UN CORPO SENZA PELLE CHE MOSTRA IL RETICOLO DEL SUO SISTEMA
NERVOSO
UNA RETE DI TRASMISSIONE CHE MATERIALIZZA L'IDEA DI UN ABITO IN DIVENIRE
Dimensione Cognitiva
Cinzia Placco 03
Ciò che sta alla base è la rivoluzione linguistica che ha trasformato inevitabilmente il lessico figurativo dell'architettura, come quello di ogni altra arte; questa rivoluzione è prodotta dalla crisi ?copernicana? che ha investito ogni campo della comunicazione, a partire dallo stravolgimento operato dall'Informatica.
"Crisi" ( come ha precisato De Kerckhove) ?deriva dal greco antico e significa valutare, giudicare o decidere. [...] Di fronte ad una crisi, molte persone perdono tempo a guardare il vecchio ordine che crolla [...], ma in tempi critici occorre giudizio critico per capire che la storia è quella che sta inziando?.
Lo consideriamo noi stessi quando ci soffermiamo a valutare quanto è accaduto anche sol o nell?ultimo decennio, e in uno sguardo più ampio, durante l?arco di tempo che ci porta dal Beaubourg al Museo Guggenheim di Bilbao. La deflagrazione finale di una rivoluzione iniziata lentamente negli anni attraverso l?avvento dei primi computers e che ha subìto un?accelerazione esponenziale con il world wide web, è l?acme necessario ed inevitabile di un processo che interessa la struttura della società, se non addirittura la stessa struttura mentale dell? uomo: così come l?immaginazione è performante rispetto ai media, così i media lo sono rispetto a nuovi modi di pensare e di comunicare. Da qui la connessione di valori estetici e funzionali, non più alla ricerca di una gerarchia ordinata, ma in quanto elementi di una fitta rete che collegano in modo complesso l?osservatore e l?oggetto osservato.
Il World Wide Web in modo particolare, attraverso la possibilità
di operare trasformazioni nel reale tramite strumenti incorporei, diventa
simbolo di questa rivoluzione: l?automobilista contemporaneo crea quindi
la propria Smart; forse ^ in futuro prossimo - anche il proprio spazio.
Interessante, a mio parere, il contributo di Purini contenuto in "Spazi e maschere" (a cura di Umberto Cao e Stefano Catucci, Meltemi editore, 2001) il quale afferma:
"Negli ultimi anni il processo fin qui sommariamente esposto ( dal corpo organico all? edificio nell?età degli immateriali ) ha vissuto una fase ulteriore e in un certo senso estrema. La rete, insieme realtà telematica e metafora della sua stessa estensione, è diventata modello mentale attraverso il quale pensare il reale. La città diffusa è in sostanza un effetto conoscitivo della rete più che una realtà territoriale, così come è reticolare oggi l?idea dello spazio urbano in quanto moltiplicazione inarrestabile di sinapsi comunicative ."
In questo contesto l?architetto, liberato da regole gerarchicamente
ordinate, si riappropria di ogni strumento retorico e lessicale, occupando
il territorio di uno spazio nuovamente affabulatorio e sensuale,
senz? altro corrispondente alla 'generazione della rete'.
Architettura che si fa grafica
di Luigi Valente 02
L'architettura come simbolo.Cambia il concetto di "funzionalità" dell'architettura. Link
Nel'architettura passata (anche se non da molto) per funzionalità
architettonica si intendava il perfetto adempimento di ogni spazio progettato.
La nuova e ormai consolidata tendenza è quella di considerare
il termine "funzionalità" come un insieme di elementi che spesso
superano i confini del monumento stesso, dando forma ad un concetto che
racchiude tanti aspetti formali.
Esempio fondamentale è il Museo Guggenheim di Gehry che pur
non assolvendo a tutte le funzioni razionali e spaziali è certamente
funzionale alle esigenze progettuali che hanno voluto un monumento "simbolo"
efficace in tutti i suoi aspetti.
Il rischio (se di rischio si può parlare) è quello di
vedere in futuro un'architettura che sia funzione di se stessa o una "progettazione
funzionale al disegno". Come esempio valido si può assumere il design
di www.designgraphik.com <http://www.designgraphik.com> (imm.
allegata) che utilizza l'architettura come mezzo espressivo e dove si nota
l'utilizzo della "architettura funzionale al design", cioè un'architettura
che ha come unico scopo l'affermazione di se stessa.
Luigi Valente
E se pensassimo alla differenza nello stirare una camicia?
di Alessandra Cicotti 02
LA STIRATURA E LE NUOVE PIEGHE DELLA MENTE
La stiratura può essere vista come metafora dei cambiamenti antropologici della nostra società.????
Rispolverando le stanze della memoria mi sono ricordata di questa installazione
datata 1993 ad opera degli architetti Liz Diller e Ricardo Scofidio.
Mi sembrava interessante l'idea di come un oggetto, la camicia, e il
suo uso all'interno della quotidianità, potesse ben rappresentare
i cambiamenti della nuova sociètà contemporanea, che rifuggono
ogni schema pre-ordinato, prestabilito volgendo lo sguardo al caos, alla
casualità, all'interattività di differenti livelli che abbracciano
campo dello scibile.
L'antica scacchiera metropolitana, trasposizione nel contesto urbano,
dei rigidi formalismi della città industriale, lascia il posto alla
era delle informazioni, degli ipertesti, della tecnologia nuova.
Si attua una nuova lettura delle facoltà percettive e motorie
del corpo umano, l'esplorazione di nuovi linguaggi espressivi, l'ampliamento
della libertà di azione.
Bad Press prende in esame la stiratura, un'attività domestica ancora guidata da principi di economia del movimento progettata da ingegneri dell'efficienza a cavallo del secolo.
Nello stirare una camicia, ad esempio, con uno sforzo minimo è possibile ridarle forma trasformandola in un'unità bidimensionale e ripetitiva che occuperà uno spazio ridotto.
Lo schema standardizzato della stiratura "disciplina" sempre la camicia dandole forma piatta e rettangolare che trova il proprio posto all'interno di sistemi ortogonali di esposizione degli oggetti: gli imballaggi, i display espositivi, i cassetti del comò, gli scaffali degli armadi o le valigie.
Una volta che l'indumento sarà indossato porterà su di se i segni della logica ortogonale dell'efficienza.
Le pieghe parallele, gli angoli retti di una camicia pulita e stirata
sono diventati emblemi ricercati di raffinatezza.
Cosa succederebbe se l'attività di stiratura si potesse liberare
dell'estetica dell'efficienza?
Forse gli effetti della stiratura diventerebbero rappresentazione dell'era
postindustriale e l'immagine del funzionale si tradurrebbe in dis-funzionale.